La città di Torino si prepara al voto: intervista al professor Angelo D'Orsi, candidato sindaco
Sogno una città solidale, unita, che aiuti chi è più indietro, che sconfigga i fantasmi della paura, che sappia reinventarsi, con politiche del lavoro buono e ben retribuito, che dia spazio a tutti, che produca sapere, in ogni campo, che integri i migranti e li sappia trasformare da problema in risorsa- Non è il catalogo dei sogni, ma un programma politico, mi creda.

Abbiamo intervistato il Prof. Angelo D'Orsi, candidato sindaco di Torino alle promessime elezioni amministrative. Ordinario di Storia del pensiero politico all'Università degli Studi di Torino, Direttore di "Historia Magistra. Rivista di storia critica" e di "Gramsciana. Rivista internazionale di studi su Antonio Gramsci"
Professore come nasce la sua candidatura a sindaco di Torino e perché ha deciso di impegnarsi in prima persona?
«La candidatura nasce direi “a mia insaputa”: ossia i rappresentanti di pressoché l’intero schieramento a sinistra del PD, da settimane ragionavano di ipotesi unitarie, e alla fine hanno trovato nel sottoscritto la figura utile a rappresentare quell’aggregazione di forze politiche e sociali. E solo a quel punto mi hanno avanzato la proposta. Perché a me, questa proposta? Perché da sempre sono un intellettuale impegnato, un intellettuale militante (a sinistra), che ha condotto innumerevoli battaglie culturali, civile e direttamente politiche, ma sempre indipendente da qualsivoglia partito e mai assumendo il ruolo di attore politico. Ho accettato, dopo una breve esitazione, perché ho riflettuto a un dato: è una vita che studio la politica (la mia disciplina ufficiale nel mondo accademico è Storia del pensiero politico), forse era il caso di provare e mettere a frutto tanto studio, tanto insegnamento, tanta produzione di testi (la mia bibliografia conta 53 libri, un centinaio di saggi, un migliaio di articoli).»
A suo dire quali sono le maggiori criticità della città in questo momento?
«Il problema generale, complessivo di Torino, è la sua riconversione da città industriale e manifatturiera a una nuova realtà da inventare, che non rinneghi i settori produttivi tradizionali, ma li trasformi, connettendoli a uno sforzo di ridisegnare la città nei suoi fondamenti. Questo implica riconoscere che ci sono tre grandi criticità: a) il lavoro. Da reinventare, riqualificare, pagare decentemente, e secondo una parità di genere, connettendolo a una economia di transizione verso produzioni sostenibili; b) l’Abitazione, decine di migliaia di cittadini e cittadine, di intere famiglie sono in situazioni abitative precarie o semplicemente senza casa, mentre sono assai numerosi i vani sfitti, sia di privati sia di enti pubblici. c) l’Ambiente. Torino è in testa alla classifica delle città più inquinate d’Italia e tra le primissime nel Continente europeo.»
Ascolto e trasparenza sono due parole che si leggono spesso nelle sue dichiarazioni; la politica, secondo lei, ha smesso di ascoltare i cittadini e di agire in trasparenza?
«I miei maestri (a cominciare da Norberto Bobbio con il quale mi laureai) mi hanno insegnato che democrazia vuol dire potere visibile, ossia controllabile dai cittadini. Dove esiste un qualche potere invisibile non può esistere autentica democrazia. Perciò: trasparenza. Intendo che la mia amministrazione, e in generale il ruolo che potrò svolgere in Municipio, dovrà essere e sarà sempre pubblica, sempre visibile, sempre sotto gli occhi della cittadinanza. Non dovranno esserci riunioni segrete, decisioni sottobanco, trattative condotte in una villa in collina o in una sala riservata di un caffè. Non ci dovranno essere decisioni formali contraddette da decisioni sostanziali. Ecco che cosa intendo per trasparenza. Quanto all’ascolto ritengo che se lo Stato, e anche un Comune è uno Stato sia pure di ridotte dimensioni, non sia (non deve essere!) come scriveva Botero nel XVI secolo, “dominio fermo sui popoli”, bensì governo del popolo, ossia democrazia, il potere deve nascere dal basso. L’autorità deve essere espressione di quel popolo, e ad esso deve dar conto del proprio
operato, e il fine da perseguire è il benessere del popolo. E per arrivarci, occorre che si pratichi l’ascolto, appunto: io ho intenzione di chiedere, in ogni modo possibile, quali siano i bisogni di donne e uomini che abitano a Torino. Raccogliere la loro sofferenza, i loro desiderata, le loro doglianze.»
In un suo post su facebook, ha annunciato un programma in 7 punti: ce ne può anticipare due che
ritiene irrinunciabili per Torino?
«La tutela della salute pubblica, che si deve praticare attraverso la pratica istituzionale della medicina diffusa, territoriale, e non con la costruzione di megastrutture costose e lontano anche fisicamente dalle persone (alludo ora in particolare alla Città della Salute, progetto che sta per essere realizzato). La rinuncia ad aggiungere anche un solo mattone al costruito; il che non vuol dire fermare l’edilizia, tutt’altro! Ma soltanto dare una diversa destinazione non alle costruzioni ex novo, ma praticando il riuso, il recupero dei vecchi edifici pubblici e privati abbandonati o dismessi, la ristrutturazione, la messa in sicurezza (per esempio degli edifici scolastici, prima anche altre tragedie accadano) e così via. Smettere di costruire significa proteggere quel che rimane di verde pubblico, il che significa lottare contro l’inquinamento, e aiutare i torinesi e le
torinesi a godere di un po’ di bellezza, negli ultimi prati rimasti liberi da cemento, con gli ultimi alberi che producono ossigeno, invece di anidride carbonica...»
Cosa si sente di contestare, da cittadino prima e da candidato a sindaco ora, alle precedenti amministrazioni Pd e 5 Stelle?
«Al PD rimprovero di avere voltato le spalle ai ceti proletari, e in parte anche alla piccola borghesia; e di aver dato vita a un “sistema”, una connessione permanente tra partiti e banche e potentati economici, un sistema che ha procurato danni ambientali e danni economici, con un debito enorme che grava sulla città. E per sostenerlo si fanno altri debiti, per pagare gli interessi dei primi. Un cappio al collo della città. E i 5 Stelle hanno fatto la loro campagna elettorale cinque anni fa, proprio contro il “sistema Torino”, hanno ottenuto la maggioranza nel 2016, e hanno potuto governare da soli, indisturbati, e si sono perfettamente accomodati nella stanza dei bottoni, diventando parte integrante di quel sistema che proclamavano di sgominare. Non c’è stata alcuna soluzione di continuità fra le amministrazioni di centrosinistra e quella cinquestelle, i cui rappresentanti hanno mostrato, nell’insieme, una impreparazione politica e una ignoranza di carattere generale, che li ha mostrati persino peggiori dei mediocrissimi esponenti della generazione dei 40-50-60enni piddini.»
Lei è un professore universitario, uno storico, un uomo di cultura: le chiedo, si potrebbe ricominciare proprio dalla cultura per rinnovare seriamente una politica sempre più distante dai cittadini e con amministratori pubblici sempre meno "amati" dagli elettori?
«Nel mio programma dò un grande spazio alla cultura, che ritengo possa svolgere una doppia funzione: innanzi tutto un collante capace di superare la disgregazione sociale della città, dando spazio all’invenzione culturale, all’espressività popolare, e giovanile in specie, nelle periferie, che sono i luoghi abbandonati di questa città post-industriale. In secondo luogo, la cultura è un volano economico importante, troppo spesso sottovalutato. E può essere una delle vie della ripresa di Torino. E la cultura, come il deficit dell’amministrazione in carica dimostra in modo lampante, è una base fondamentale per fare politica, una politica nuova, onesta, capace di ascolto e trasparenza, appunto…E cultura è anche quella della notte, quella dei giovani, e dei loro disperati blues…, a cui bisogna saper offrire ascolto e saper anche “giocare” con loro.»
Si parla molto di green economy: Torino, come molte altre città italiane, vive un importante problema legato all'inquinamento. Come pensa di affrontarlo?
«Come ho già detto, l’inquinamento ambientale è uno dei problemi principali di Torino. Occorre dirottare i fondi destinati alle “grandi opere” e ai “grandi eventi”, dirottarli sui mezzi di trasporto urbano ed extraurbano (Torino è “città metropolitana”, non dimentichiamo), in particolare nei mezzi sotterranei. Torino ha una linea di underground ridicola. E dovrebbe essere moltiplicata per un fattore “N”. Il traffico privato veicolare in città dovrebbe essere ridotto, proporzionalmente al potenziamento della rete di trasporto pubblico. In secondo luogo controllo sull’efficienza energetica degli edifici, controllo sugli impianti di riscaldamento, installazione di pannelli solari ovunque sia possibile.»
Tav: quale è la sua posizione su questa infrastruttura che da anni divide il paese tra favorevoli e
contrari?
«Da quanto ho detto sulle “grandi opere” è chiara la mia posizione. La Tav è un’opera inutile, ambientalmente devastante, costosissima e potenziale attrattore di interessi malavitosi, del grande e medio crimine organizzato. La Tav è una sciagura, che del resto sono pronto a scommettere che non giungerà mai a conclusione. Faccio rilevare che anche su questo tema il Movimento 5 S si è dimostrato principe dell’incoerenza e della cialtroneria: tutta una campagna elettorale contro la Tav e appena accomodati in Municipio, mentendo, hanno sostenuto che altro non si poteva fare che accettare l’opera. Scandaloso.»
Una candidatura la sua, molto "a sinistra"la sua. L'avanzare delle destre (alla luce almeno dei sondaggi e dall'esito degli ultimi appuntamenti elettorali sull' intero stivale), sembra non arrestarsi.
A suo dire è anche colpa della mancanza di proposte e di un soggetto unitario a sinistra? E, soprattutto, lei teme il ritorno di un moderno fascismo o, come dice qualcuno, il riaffermarsi di una destra estrema che non è mai svanita?
«Come ho accennato, ho accettato questa temeraria avventura, questa “sfida”, come si dice oggi, perché intorno a me si è coagulato una consistente pattuglia di forze di sinistra: di sinistra autentica. E quello che è accaduto a Torino, può essere un esempio e uno stimolo per il resto d’Italia. Il Risorgimento della Sinistra come il Risorgimento della Nazione a metà Ottocento… Ma una volta ciò ribadito, personalmente intendo rivolgermi a una platea assai più ampia, quella che non è già di sinistra, e che magari pencola verso destra, o verso l’astensione, o semplicemente non vota più, da anni. E il disinteressarsi della politica, l’allontanarsi anche dalle forme della democrazia, comporta il rischio dell’essere fagocitati dalla destra. Io sono certo inquieto per l’eterno fascismo italiano (ma con forte presenza in Europa e altrove), ma mi preoccupa di più il
lento passaggio verso la “post-democrazia”, ossia il superamento della democrazia con regimi di fatto autoritari e basati sul controllo sociale, mantenendo le mere apparenze dei sistemi democratici.»
Quale città sogna il candidato Angelo D' Orsi e quale sarà la sua Torino?
«Una città da (ri)costruire insieme, dalle macerie della deindustrializzazione ma anche dalle chiacchiere e distintivi delle amministrazioni precedenti, che l’hanno indebitata in modo indecoroso, ne hanno avvelenato l’aria, l’hanno disgregata, separando con fossati medievali la città dei ricchi dalle altre città, quella dei meno abbienti, quella dei proletari, e quella dei marginali. Sogno una città solidale, unita, che aiuti chi è più indietro, che sconfigga i fantasmi della paura, che sappia reinventarsi, con politiche del lavoro buono e ben retribuito, che dia spazio a tutti, che produca sapere, in ogni campo, che integri i migranti e li sappia trasformare da
problema in risorsa- Non è il catalogo dei sogni, ma un programma politico, mi creda.»
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