«La Sicilia, nel suo insieme, è metafora della mafia» 

L'OPINIONE DELL'AVV. GUARNERA. «E la città di Catania, in particolare, rappresenta un clamoroso esempio di come la cultura mafiosa sia divenuta «sistema». Un sistema di potere silente, in apparenza legale e condiviso, ma sostanzialmente illegale nelle sue vaste, articolate e sinergiche connivenze.»

«La Sicilia, nel suo insieme, è metafora della mafia» 

A Catania l'illegalità è diventato un fattore quasi endogeno. Storicamente si è realizzata una saldatura trasversale tra settori del mondo politico, sociale, imprenditoriale, istituzionale, della informazione e della mafia.

Comune è stato ed è l'interesse a gestire le pubbliche risorse in maniera verticistica, a vantaggio di pochi, abbandonando ampie zone della città al degrado educativo, culturale, economico, antropologico.
La criminalità mafiosa dei clan talora ha trovato facile sponda in quella economica, politico-amministrativa, dei "colletti bianchi".

Per decenni i Prefetti e i vertici delle Forze dell'Ordine sono stati scelti dalla politica con un criterio prevalente: non disturbare i grandi manovratori. Anzi, ove possibile, sono stati cooptati nella cerchia dei potenti, godendo di favori, privilegi, promozioni.
Collante di tale sistema è la presenza, in apparenza discreta, di certa massoneria, sia locale che di rango più elevato.

Determinante si rileva anche il ruolo di alcuni esponenti delle libere professioni. Avvocati, commercialisti, ingegneri, notai, medici, agronomi, si mettono al servizio di coloro che necessitano di dare parvenza di legalità ad operazioni spregiudicate nella gestione delle risorse collettive e del territorio, anche occultando gli arricchimenti illeciti.

Né può trascurarsi il ruolo svolto, in modo particolare nel passato, da settori della magistratura, incapaci di cogliere i fenomeni di corruzione e di illegalità dei potenti. Anche perché, in qualche caso, cooptati nella cerchia di quelli che contano. Fortunatamente da alcuni anni il Palazzo di Giustizia della città è molto attento e meno "distratto", senza alcun riguardo per i piani alti del potere.

Gli "intellettuali", o presunti tali, in parte organici al potere di turno in attesa di incarichi e prebende; in parte, narcisisticamente rinchiusi nella loro "torre d'avorio", disdegnano la compromissione con la realtà degli umani:  non si sporcano le mani, non rischiano. Loro!

E i partiti? Alcuni dentro il "sistema", altri più o meno assenti: "tamquam non essent!" dicono i latini.

Infine la Chiesa Cattolica catanese, quella istituzionale, ha spesso benedetto i potenti della città e le loro opere. Non si ricordano denunce clamorose e concrete sui mali di Catania e sui poteri corrotti. Anzi, in diverse occasioni a tali poteri è stato tenuto bordone e fornita pubblica legittimazione.

Catania potrà risorgere?

Certamente, ma occorre ripartire dalle positive realtà d'impegno sociale diffuse nel territorio, dai cittadini consapevoli e di buone intenzioni, dalle giovani generazioni. Occorre diffondere la conoscenza dei fenomeni e impegnarsi in un'opera di formazione ai valori alti della legalità.

Occorre recuperare la capacità di indignarsi e di denunciare. Occorre affermare un'etica personale e pubblica volta esclusivamente al bene comune. È un dovere provarci, sempre e senza arretrare.
Per impedire che Catania sprofondi in modo definitivo e non abbia futuro.