«…leggiamoli, i Vangeli, leggiamoli»… E allora…Leggiamoli!

Lettera semiseria di un teologo allo (s)Governatore di Calabria!

«…leggiamoli, i Vangeli, leggiamoli»…  E allora…Leggiamoli!
Il monumento al Migrante dell’artista canadese Timothy Schmalz, inaugurato nel 2019 da Papa Francesco (ph Avvenire.it)

Il mio direttore sa che gli voglio bene. Sa che gli voglio un gran bene, siamo buoni amici. E quando ieri mi ha detto “ti giro delle cose, mi piacerebbe sapere cosa ne pensi”, ho risposto subito “sì”, con entusiasmo. Mai avrei pensato che avrebbe scaricato nella mia chat di whatsapp una tale quantità di immondizia. Perché, spero di non offendere nessuno dicendo che quanto ho letto da quel blog, il Giornale.it a proposito di Vangelo, Chiesa e Papa sia spazzatura nel senso più autentico dell’espressione.

Una lunga carrellata di citazioni del Vangelo che, ahimé, si sono sempre fermate un attimo prima di permettere allo scriba di capire, o forse meglio, di cogliere il senso di quanto andava citando.

Non basta sventolare il Vangelo per dirsi cristiani, bisogna anche sforzarsi di capire cosa vi è scritto.

Esordisce dicendo: “…e finiamola con questa sciocchezza che Gesù Nazareno fosse palestinese, immigrato, clandestino, rifugiato, senzatetto eccetera eccetera. Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, nacque in Giudea, nella famiglia di Giuseppe e Maria della stirpe di Davide, che non erano in fuga, ma si recarono a Betlemme per un normale censimento” … e dopo una dotta scarrellata di citazioni bibliche conclude con un … leggiamoli i Vangeli, leggiamoli!

E allora leggiamoli. Mi fermerò semplicemente a riflettere su quanto lei ha evidenziato. Se allargassi il mio discorso anche all’Antico Testamento, sa, il discorso per lei si farebbe addirittura imbarazzante: penso, così senza approfondire troppo, alla storia di Abramo, o a quel piccolo capolavoro che è il libro di Rut, la Moabita, penso al Salmo 145, a tanti e tanti passi di Isaia…come il cap.19 e ancora più il cap. 25; basta pensare a brani di Geremia, di Ezechiele, della terza parte di Isaia che hanno inquadrato e visto molto bene che cosa Dio chiede su questo fronte del rapporto con l'altro, ma mi fermo qui!

Vede ha iniziato la sua riflessione citando Matteo ai capitoli 1 e 2… per dimostrare la sua bizzarra teoria. Peccato che si sia fermato al versetto 12 del capitolo 2, proprio mentre era lì per lì per capire. Peccato. Le sarebbe bastato arrivare al versetto 13, un rigo dopo. Accidenti, era ad un passo. Vede lì si dice che Giuseppe “si alzò nella notte, prese il bambino e sua madre e fuggì in Egitto”. Giuseppe e Maria, della stirpe di Davide – vede ho capito che le piace questo aspetto, ma nel merito scoprirà cose clamorose – sono stati costretti a fuggire.

Sono stati profughi… hanno dovuto nascondersi, come clandestini… hanno dovuto raggiungere, pena la vita del piccolo Gesù, un paese diverso dal loro: sono stati immigrati.

E tutto questo, sa quando? Dopo averlo partorito in una stalla quel bambino. Ha ragione non era un senzatetto Gesù bambino: è nato in una stalla tra le bestie! Rifiutato, come accade a tanti rifugiati… è stato rifiutato, relegato nel puzzo di una stalla. Il Figlio dell’Onnipotente Dio, consustanziale al Padre, relegato in un stalla… e le dirò di più, è un lusso, più avanti gli toccherà una croce. Ma andiamo per gradi.

Dicevo… è nato in una stalla. Mi dirà, è vero ma è stato omaggiato da grandi sovrani venuti dall’Oriente. Beh sì, ma i primi a ricevere l’annuncio sa chi sono stati? I pastori. E vede a quel tempo, pastore era quasi sinonimo di delinquente. I pastori erano una categoria abietta, tenuta ai margini perché ritenuti pericolosi. Insomma non proprio un vanto per il Figlio di Dio. Eppure sono stati scelti per primi. A loro è stato affidato il primo annuncio. E quel bambino durante la sua vita prediligerà sempre proprio quel tipo di persone: quelli rifiutati, denigrati, ritenuti indegni, lo scarto della società. Le faccio un po’ di nomi, magari le viene in mente qualcosa: la Samaritana, il Centurione, Maria Maddalena, Zacchèo, Matteo (che addirittura sarà apostolo ed evangelista), la prostituta sorpresa in flagrante adulterio…

Ha trascorso la sua vita abbattendo i confini stolti dei nazionalismi. Ha scelto i suoi discepoli nel territorio di Zabulon e di Neftali, cioè la terra dei pagani, il territorio in cui dopo la deportazione degli Assiri (721 a.C.) si erano stabilite le popolazioni straniere!

Stranieri… quante volte nella vita e negli insegnamenti di Gesù torna questa parola. Le consiglio nel merito il dialogo fantastico tra Gesù e la Samaritana, al pozzo di Giacobbe (Gv 4).

Di tutti, Gesù ci ha insegnato non a considerarli prossimo, ma a farci prossimo, condensando tutto il suo insegnamento nel grande comandamento dell’Amore, in cui ci dice a chiarissime lettere che non ameremo mai Dio, senza amare il prossimo. Tradotto significa che non saremo mai cristiani senza amare ed accogliere il prossimo. Quale prossimo? Mi spiace deluderla, ma Gesù anche per spiegarci questo sceglierà uno straniero! Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti, che lo derubarono, lo lasciarono mezzo morto e andarono via. Sa chi si fermò a prestargli soccorso? Non un sacerdote, né un levita, ma… uno straniero: un Samaritano (Lc 10,29).

Fino poi a dirci beati perché “ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito” (Mt 25). C’è un di più, caro (s)Governatore. E qui forse il discorso si fa un po’ più serio e il Vangelo si fa attuale.

Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione. Di questo rispetto la coscienza ci chiede conto qui e ora, di questo rispetto un giorno verrà chiesto conto a ciascuno. 

Il piccolo Alan Kurdi, 2015

 «Ero straniero e mi avete ospitato», oppure no? È questo l’interrogativo che non cessa di risuonare da quando l’evangelista Matteo l’ha posto in bocca a Gesù nella sua descrizione del giudizio finale, descrizione che non mira tanto a raccontare quanto accadrà alla fine dei tempi, ma piuttosto a plasmare l’atteggiamento quotidiano dei discepoli e a fornire loro un criterio di giudizio sul proprio e l’altrui comportamento.

Del resto, fin dall’Antico Testamento, la categoria dello straniero era quella che meglio raffigurava le diverse sfaccettature del bisognoso: lontano dalla propria casa, lingua e cultura, privo dei diritti legati all’appartenenza a un popolo, sovente lo straniero finiva per cadere ben presto nelle altre situazioni di emarginazione e sofferenza: malato, carcerato, affamato e assetato…, condizioni non a caso citate anch’esse da Gesù nel suo racconto sul giudizio.

Nella tradizione veterotestamentaria l’attenzione, la cura e il rispetto per lo straniero si fondavano su una memoria esistenziale prima ancora che storica: l’invito «amate il forestiero perché anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto» (Dt 10,19) risuona pressante e attuale anche per generazioni ormai da tempo saldamente insediate nella terra promessa.

A questa consapevolezza si aggiunge nei vangeli l’inattesa identificazione di Gesù con il bisognoso, lo straniero che attende accoglienza e che sovente incontra rifiuto: ciò che si fa o non si fa al «più piccolo», al più indifeso è dono elargito o negato a Gesù, come se egli fosse presente e recettivo ogni giorno al nostro agire.

In questo senso un dato complementare emerge con forza dalle pagine del Nuovo Testamento: Gesù stesso, il Gesù storico che ha abitato in mezzo agli uomini come uno di loro, è percepito e narrato come uno straniero, in quanto ha vissuto «altrimenti», manifestandosi come «altro» agli occhi di chi lo ha incontrato e ne ha poi raccontato l’esistenza.

L’incomprensione di questa alterità conoscerà il suo culmine quando il Figlio sarà «ucciso dai vignaioli» – proprio quelli a cui era stato inviato – «e gettato fuori della vigna» (Mt 21,33-44; Mc 12,1-11; Lc 20, 9-18 e nell’apocrifo Vangelo di Tommaso, cap. 65)!

Paradigmatica in questo senso è la presentazione di Gesù quale straniero fatta da Luca nell’episodio dei discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35): il Risorto, con i tratti di un viandante, si accosta a due discepoli e cammina con loro, mentre essi parlano con tristezza della morte del profeta Gesù di Nazaret. Alla sua domanda sull’oggetto del loro discorrere, essi ribattono: «Tu solo sei così forestiero da non sapere ciò che è accaduto in questi giorni?»: egli è lo straniero che cammina con gli uomini, che resta nascosto fino a quando, invitato a tavola, viene riconosciuto nel gesto di condividere il pane.

Sì, nella condivisione del pane, nello stare a tavola insieme, nel conversare, nel fare memoria di ciò che si è vissuto, avviene il riconoscimento e lo straniero si rivela.

Forse possiamo allora cogliere meglio tutta la pregnanza di un ammonimento come quello che Gesù rivolge ai suoi discepoli: se egli può identificarsi con lo straniero fino al punto da considerare come rivolta a se stesso ogni cura prestata – e ogni offesa arrecata – a uno straniero nel bisogno è perché ha voluto vivere nella carne l’esperienza di estraneità, il venire in mezzo ai suoi e non essere riconosciuto, il vedersi negata quella dignità fondamentale di ogni essere umano.

Perché, come ha ben ricordato papa Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate, «ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione».

Di questo rispetto la coscienza ci chiede conto qui e ora, di questo rispetto un giorno verrà chiesto conto a ciascuno.

E allora… leggiamoli i Vangeli, leggiamoli!

Vede, scoprirà un aspetto di Gesù che forse (o senza forse) cozza inesorabilmente con il suo modo di intendere il Vangelo.

Lo sGovernatore della Calabria 

Ho letto poi di preti comunisti e di un Papa che proprio sembra non aver mai letto il Vangelo… ma questa è un’altra storia e su questo le darò fastidio la prossima settimana.

 

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