L’eredità del 2020: la ricerca di verità e giustizia

Si tratta di una serie di procedimenti penali che, sulla base del loro esito, potrebbero riscrivere parte della Storia del nostro paese. O forse tutta, almeno quella dell’Italia repubblicana.

L’eredità del 2020: la ricerca di verità e giustizia

Di solito quando muore qualcuno si comincia a parlare di eredità. Non solo. Molto spesso, quando muore qualcuno, si scatena una lotta intestina, tra gli eventi diritto, per l’eredità, di qualunque dimensione essa sia.

Alla luce dei fatti possiamo considerare il 2020 morto e sepolto.

 

L’anno sicuramente è morto ma non la sua eredità e, per la prima volta, nessuno si sta scannando o la sta reclamando. Il 2020 non è solo stato l’anno della pandemia dovuta al Covid-19 ma è stato anche l’anno in cui importanti processi hanno avuto il loro svolgimento e, anche a causa della pandemia in corso, non hanno trovato la loro conclusione. Ciò è abbastanza normale, potrà dire qualcuno di voi.

Questo succede tutti gli anni, potrà dire qualcun altro. Entrambe le vostre possibili eccezioni sono esatte ma questa volta c’è un però. Di nuovo qualcuno di voi potrà dire che, alla fine, c’è sempre un però.

 

Ed è proprio per questo però che il defunto 2020 ha lasciato in eredità al 2021 il peso di una serie di procedimenti penali che, sulla base del loro esito, potrebbero riscrivere parte della Storia del nostro paese. O forse tutta, almeno quella dell’Italia repubblicana.

Ma cerchiamo di andare per ordine. Già, l’ordine.

Se mi permettete di giocare un po’ con le parole, è proprio l’ordine il cardine che muove i processi cui sto sottintendendo.

 

Rimettere in ordine le carte per cercare di capire se qualcuno voleva creare un nuovo ordine. Troppo criptico? Troppo cervellotico? Spero che la domanda non venga da quel gruppo di temerari leoni da tastiera che alimentano i social e che si sentono depositari della verità solo perché scrivono post incollando stralci di sentenze o delle relative motivazioni e che mescolano sentenze di primo grado con quelle di secondo, o viceversa, con la disinvoltura con cui si possono spostare gli ingredienti all’interno della lista necessaria per eseguire una ricetta. A questi, non sufficientemente compiaciuti di se stessi, aggiungono articoli di giornali e stralci di interviste, ancora una volta senza leggere la data di pubblicazione e, soprattutto, se alle dichiarazioni che riportano è seguita una denuncia ed è stata richiesta una ritrattazione che, forse non è mai stata pubblicata. Inoltre, e sono costernato per loro, il famigerato “Grande Fratello” non arriva ovunque e molto spesso le loro esternazioni, che diventano illazioni, passano inosservate proprio perché oramai l’arena dei social si può considerare zona franca e la visibilità dei loro post è l’equivalente di quella che potrebbero ottenere uscendo dalla porta di casa e urlando lungo la tromba delle scale.

 

Nella peggiore delle ipotesi possono disturbare qualche loro condomino dopo aver raggiunto tutti quelli che erano a casa in quel momento. Risibile. Ma non sono sicuramente risibili, invece, i processi cui sottintendevo prima.

 

A Roma, mercoledì 23 dicembre 2020 si è tenuta l’ultima udienza del "Processo per la fuga di notizie nell'ambito della vicenda Consip" chiusa con il rinvio al 26 gennaio. Si tratta di un processo che vede tra gli imputati l’ex ministro dello Sport Luca Lotti.

Lotti è accusato del reato di favoreggiamento: secondo la procura, il 3 agosto del 2016 avrebbe rivelato all’allora ad di Consip Luigi Marroni “l’esistenza di una indagine penale che interessava gli organi apicali passati e presenti di quella società e, in particolare, di una attività di intercettazione telefonica sull’utenza in suo uso”. Circostanza sempre negata dall’ex ministro dello Sport (“Non potevo dire ciò che non sapevo”).

Favoreggiamento e rivelazione di segreto sono i reati attribuiti al generale Del Sette che nell’estate del 2016, stando sempre all’impostazione accusatoria, avrebbe informato Luigi Ferrara, all’epoca presidente di Consip, che c’era un’inchiesta penale sul conto dell’imprenditore campano Alfredo Romeo e di essere cauto “nelle comunicazioni a mezzo telefono”.

 

Tra gli imputati troviamo anche il generale dell’Arma Emanuele Saltalamacchia, cui è contestato il favoreggiamento per aver rivelato nell’estate del 2016 a Marroni che la procura di Napoli indagava su Consip. A processo ci sono anche Filippo Vannoni, presidente della società Publiacqua, società partecipata del Comune di Firenze, e l’imprenditore di Scandicci Carlo Russo.   

 

Rinviata invece all’8 gennaio l’udienza del “Processo Alessandro Casarsa ed altri” ossia quello relativo depistaggi nel caso della morte di Stefano Cucchi che si è tenuta a Roma lo scorso 22 dicembre.

La prima udienza preliminare si tenne il 21 maggio 2019 e, il 16 luglio 2019, il GUP del Tribunale di Roma ha accolto tutte le richieste del PM e disposto il rinvio a giudizio di tutti gli imputati.

Il processo per depistaggio ha visto la prima udienza il 12 novembre 2019, con comparizione delle parti civili costituite da Ministero della Difesa e Arma dei carabinieri, nonché dal militare dell'Arma Riccardo Casamassima.

In tale sede peraltro il giudice monocratico Federico Bona Galvagno, su istanza del legale della famiglia Cucchi, si è astenuto in quanto carabiniere in congedo. Il processo quindi è proseguito il 16 dicembre 2019, giudice Giulia Cavallone, e nel gennaio 2020 il ministero della Difesa viene ammesso come responsabile civile nel processo, nonostante sia anche parte civile.

 

Bisognerà invece aspettare il 21 gennaio per udienza di "Processo al clan Gambacurta" dopo quella che si è tenuta a Roma giovedì 17 dicembre 2020.

Il processo è nei confronti dei vertici e affiliati al clan dei Gambacurta attivi nella zona di Montespaccato, a nord della Capitale. Gli imputati sono accusati, a seconda delle posizioni, di associazione a delinquere finalizzata all'usura, estorsione, riciclaggio, intestazione fittizia dei beni e spaccio e traffico di sostanze stupefacenti il tutto aggravato dal metodo mafioso.

 

Rinviata in vece al 12 febbraio l’udienza del "Processo Mafia Capitale Ter" dopo l’udienza che si è tenuta a Roma lo scorso 21 dicembre mentre, dopo l’udienza del 18 dicembre, è stata rinviata all’11 gennaio l’udienza del "Processo d'appello Bagarella ed altri”, quello sulla trattativa Stato – mafia.

Al processo prosegue la disamina dei vari testi e di Pietro Riggio, il collaboratore di giustizia sulle cui escussioni sono in corso i riscontri necessari per validarle e, quindi, renderle utilizzabili all’interno del procedimento. La Corte ha deciso che devono essere sentiti al processo proprio i due colonnelli della Dia, Angiolo Pellegrino e Alberto Tersigni, che avevano gestito Pietro Riggio e appurato le millanterie di Peluso e del napoletano “zio Tony”.

 

Dopo l’udienza di che si è tenuta a Palermo lo scorso 17 dicembre del "Processo a Saverio Masi e Salvatore Fiducia per calunnia" si attende quella del rinvio, ossia del prossimo14 gennaio.

 

Rinviata invece al 15 gennaio la prossima udienza del "Processo a Mario Bo ed altri" dopo quella che si è tenuta a Caltanissetta l’11 dicembre. Alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di calunnia aggravata in concorso.

Nel corso dell’ultima udienza l’ex Presidente del Senato Nicola Mancino, rispondendo alle domande dell’avvocato Fabio Repici, ha ripercorso la sua carriera politica e in particolare il suo ruolo da ministro dell’Interno, a partire dal 28 giugno 1992. Nel “Processo trattativa Stato-mafia” Nicola Mancino era imputato per falsa testimonianza ma è stato assolto in via definitiva.

 

Dopo l’udienza del 9 dicembre 2020 a Caltanissetta è invece stata rinviata al 18 gennaio la nuova udienza del "Processo Cuva ed altri”, uno dei procedimento aperti sul caso dell’ex padrino dell’antimafia Antonello Montante.

 

Dopo la richiesta di una condanna a 11 anni e mezzo per Pino Maniaci, direttore di TeleJato durante la requisitoria del pm Amelia Luise che si è tenuta a Palermo lo scorso 7 dicembre, la successiva udienza del "Processo a carico di Pino Maniaci per estorsione" si terrà il prossimo 12 gennaio.

 

Si è concluso, invece, lo scorso 20 ottobre a Caltanissetta, il "Processo a Matteo Messina Denaro accusato di essere uno dei mandanti degli attentati di Capaci e Via D'Amelio". Dopo le condanne inflitte dalla corte si è in attesa delle “motivazioni” che, speriamo possano essere pubblicate nel mese di gennaio.

 

Udienza preliminare lo scorso 27 novembre per i quattro indagati nella nuova inchiesta sulla strage alla stazione di Bologna, che causò 85 morti e oltre 200 feriti, per i quali la Procura generale di Bologna ha chiesto il rinvio a giudizio il 19 maggio scorso.

Si tratta di Paolo Bellini, ex di Avanguardia nazionale, (oggi in aula per la prima volta dopo 40 anni) considerato un informatore dei servizi segreti e ritenuto dalla procura esecutore materiale dell'attentato, dell'ex generale del Sisde, Quintino Spella, e dell'ex carabiniere Piergiorgio Segatel (anche lui in aula), ai quali viene contestato il depistaggio, e di Domenico Catracchia, amministratore dello stabile di via Gradoli 96 dove abitarono durante il sequestro Moro i leader delle Brigate Rosse Mario Moretti e Barbara Balzerani e dove, nel 1981, avrebbero trovato rifugio alcuni appartenenti ai Nar, che è invece accusato di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini in corso.

 

La vicenda vede inoltre coinvolto Licio Gelli, ex capo dalla loggia massonica P2, morto nel 2017 e considerato, dai magistrati di Bologna, il vero mandante della strage che rientra nella più articolata stagione delle bombe conosciuta con il nome di strategia della tensione. 

Potrebbe trattarsi del procedimento che sarà ricordato come la “madre di tutti i processi” perché per la prima volta dichiaratamente sono alla sbarra massoneria, uomini dello Stato e dei servizi di sicurezza corrotti, eversione di destra e criminalità organizzata di stampo mafioso.

 

Dopo la requisitoria del sostituto procuratore generale Domenico Gozzo lo scorso 18 dicembre, proseguirà il processo nei confronti del boss Nino Madonia accusato del duplice omicidio aggravato per il delitto del poliziotto Nino Agostino e della moglie Ida Casteluccio, uccisi il 5 agosto 1989 in un’udienza che si terrà il prossimo 11 gennaio nell’aula bunker del carcere di Pagliarelli.

Dalle attività d’indagine compiute dalla Procura generale emergere l’operato di Agostino al di fuori dalle attività di servizio ufficiale con il ruolo di agente sotto copertura o infiltrato, partecipando ad attività che coinvolsero anche Emanuele Piazza e in alcune occasioni anche il poliziotto Guido Paolilli, che in passato è stato indagato per favoreggiamento in concorso aggravato ma, per avvenuta prescrizione, l’inchiesta fu archiviata dalla Procura di Palermo.

Sempre il Paolilli aveva rapporti personali con l’agente del Sisde Bruno Contrada che, a partire dal 1987, aveva assunto la direzione del Coordinamento dei Gruppi di Ricerca Latitanti. L'udienza preliminare per gli altri due indagati, il boss Gaetano Scotto, accusato di duplice omicidio aggravato, e Francesco Paolo Rizzuto accusato invece di favoreggiamento aggravato, riprenderà il 14 gennaio.

 

Un’eredità importante, quella che il 2020 ha lasciato alla giustizia e, anche se non sempre la verità giudiziaria coincide con la verità storica, si prospetta un mese di gennaio da seguire con attenzione.

 

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