Per la camorra un futuro esercito di manovalanza?

INTERVISTA al testimone di giustizia Luigi Coppola, presidente del Movimento per la Lotta alla Criminalità Organizzata: «chi denuncia le mafie dovrebbe essere prioritario in uno stato normale che normale non è».

Per la camorra un futuro esercito di manovalanza?
Luigi Coppola (pagina fb)

Le mafie non vanno mai in vacanza e in un periodo di emergenza come quello attuale si riorganizzano e si preparano a sfruttare ogni occasione. Mentre chi denuncia la criminalità organizzata troppo spesso viene lasciato solo di fronte a drammatiche difficoltà.

Sono questi i temi che abbiamo affrontato in quest’intervista con Luigi Coppola, testimone di giustizia da vent’anni e presidente del Movimento per la Lotta alla Criminalità Organizzata. Da anni si susseguono appelli per la condizione dei testimoni di giustizia e nei giorni scorsi un allarme è stato lanciato proprio per chiedere che lo Stato impedisca che dall’emergenza la camorra esca rafforzata.   

Testimoni di giustizia e collaboratori di giustizia sono nettamente diversi ma molto spesso viene fatta confusione, può descrivere le due figure e rimarcare le differenze?

«La differenza è palese, il testimone di giustizia è colui che ha denunciato reati che sono stati consumati a suo danno dalla criminalità organizzata, c’è il testimone di giustizia che ha denunciato il racket, chi ha denunciato l’usura, c’è chi è stato testimone di un omicidio o altri reati consumati dalla criminalità organizzata. La confusione che viene fatta avviene sulla parola collaborare, che è quasi una diffamazione del testimone di giustizia, perché con la parola collaborare quasi si unisce chiunque sia dalla parte della giustizia e della magistratura. La differenza, invece, è netta: il testimone non ha mai commesso reati associati alla criminalità organizzata mentre il "pentito", come viene spesso chiamato il collaboratore di giustizia, è colui che ha fatto parte di organizzazioni criminali.»  

Lei è testimone di giustizia da tantissimi anni, può raccontare ai nostri lettori la sua vicenda e come la sua vita è cambiata?

«Oltre ad essere testimone di giustizia sono stato vittima di estorsione, quindi faccio parte anche della categoria delle vittime della criminalità organizzata. L’estorsione risale agli anni 1998/1999 ed è proseguita nel 2000 quando, stanco di questo anti-Stato, che pretendeva che i guadagni di Coppola servissero ad irrorare le casse della camorra società per azioni, ho deciso (come tutti dovrebbero fare) di non sottostare a questo vortice e di denunciare. Ci sono stati così i primi arresti, Coppola è stato lasciato solo con la sua rivendita di auto mentre le minacce si facevano sempre più pressanti e continue, proposte di denaro per rimettere tutte le accuse qualora fosse chiamato davanti ad un magistrato.

Ci sono registrazioni in mano alla Direzione Distrettuale Antimafia che le provano, registrate incontrando appartenenti ai boss della camorra di Pompei, Boscoreale e delle zone del vesuviano, a seguito delle quali fu deciso seduta stante che Coppola doveva allontanarsi da Pompei e dalla Campania. Venne così chiuso l’autosalone e stabilito che si dovesse abbandonare la casa dove si viveva con moglie e due figlie piccolissime con l’allontanamento in poche ore. Inizio in quel momento un nuovo cammino in diverse località della penisola di cui la prima fu Saluzzo in Piemonte. Lì mi sono ritrovato spaesato in un luogo diverso dalle origini e con una vita da reinventare anche per i familiari senza molte cose della propria quotidianità. Da commerciante di auto ero conosciuto in varie regioni d’Italia ed esponenti vicini ai clan che avevo denunciato un giorno mi ritrovarono, sulle prime non venni creduto dal servizio centrale di protezione che pensavano probabilmente preferissi altre località magari di mare.

E qua c’è un altro aspetto da sottolineare: da persecutore della criminalità organizzata diventi un perseguitato dello Stato. Quando si sono accorti, grazie all’Arma dei Carabinieri che ha incrociato queste persone in una pizzeria dove hanno fatto il mio nome, fui spostato seduta stante a Pesaro, dove sono stato rintracciato dopo tre mesi e il servizio centrale di protezione mi chiese di assumermi la responsabilità sulla permanenza in quel territorio. Responsabilità dello Stato di cui non potevo farmi carico, affermai che potevo rimanere lì se mi fosse stato detto che potevo farlo in sicurezza, la decisione non poteva essere mia. Fu deciso così un nuovo spostamento, fino all’ultimo giorno in cui sopportai il programma di Sprotezione sono rimasto a Vicenza finché non decisi di uscire e tornare a Pompei.»   

I testimoni di giustizia vivono molte difficoltà e avversità da sempre, la pandemia che ha travolto le esistenze di tutti come hanno cambiato la vita dei testimoni di giustizia?

«Riassumo in poche parole come funziona il programma di protezione (che secondo me protezione non è) in una località definita protetta. La vera protezione viene affidata a te stesso, non devi esporti e fare una vita monacale, non devi far capire chi sei, sei costretto ad una vita che non è vita e, sicuramente, non adatta a persone oneste che col proprio sudore cercavano di crearsi delle posizioni nella società. Poi con un atto normale in uno Stato Italiano dove non si sa cosa sia la normalità vieni messo nelle condizioni di colui che deve sopportare determinate cose. Il testimone di giustizia dovrebbe essere protetto nel suo luogo, dove denuncia e lo Stato deve alzare la bandiera della legalità al fianco di chi denuncia per sconfiggere la criminalità organizzata per dare il segnale che è presente nei luoghi dove la criminalità organizzata è fortemente presente. Non dobbiamo dimenticare che senza le denunce dei testimoni di giustizia arresti e condanne non ci sarebbero. Il ragionamento è quindi semplice: esprimere vicinanza alla persona che denuncia dovrebbe essere non portarlo via dal proprio territorio, farlo è una perdita. A maggior ragione in casi come l’omicidio di due anni fa a Pesaro - non ho mai considerato quando era ministro dell’Interno Salvini perché quando gli scrissi sulla situazione dei testimoni di giustizia rispose con un tweet in cui mi definì qualcosa tipo radical chic – se lo Stato vuole dimostrare la sua forza contro le mafie la prima cosa dovrebbe essere tutelare le persone dove vivono, senza costringerli a chiudere attività economiche e diventare elemosinante dei propri diritti verso lo Stato stesso e disoccupato a vita. Nel 1998 il mio autosalone registrava 200 milioni di lire all’anno, attualmente sono ancora iscritto nelle liste di disoccupazione come vittima della criminalità organizzata, una categoria protetta che dovrebbe ottenere un’assunzione per chiamata diretta ma ad oggi vivo grazie alla mia famiglia.

Quando mi espongo con i miei appelli arrivano anche ritorsioni istituzionali, quando chiedo più attenzione con gli appelli non lo faccio per apparire sulla stampa ma perché rappresentano realtà di fatto: nel 90% dei casi il testimone di giustizia resta eternamente disoccupato. Appelli che non hanno mai portato ad attenzioni dello Stato, ancor di più in questo periodo. Proseguo con questi appelli perché mantengo ancora forza ma molti testimoni di giustizia sono stati ridotti a vivere nelle peggiori condizioni possibili. Non dimentichiamoci la prima testimone di giustizia Rita Atria che non è l’unica morta suicida, in molti casi non lo sappiamo neanche. Oggi non sappiamo quanti sono i testimoni di giustizia, nel 2001 che mi ricordi i testimoni di giustizia erano 81, ad oggi non c’è un numero preciso ma nei suoi «volantinaggi su Facebook» l’ex sottosegretario Gaetti dichiarò che c’erano 54 testimoni di giustizia sottoposti a protezione. Ciò significa che, molto probabilmente, non ci sono nuovi testimoni di giustizia ed è un pessimo segnale.

Questa pandemia ha rallentato ai testimoni di giustizia l’iter per la proposta di legge della deputata Piera Aiello, componente della commissione parlamentare antimafia. Proposta depositata che potrebbe intervenire sull’assunzione lavorativa dei testimoni di giustizia nella pubblica amministrazione. Con l’avvento del primo governo Conte c’era stato un decreto attuativo sulla legge sui testimoni di giustizia e che si auspicava, anche lo stesso Luigi Coppola, sarebbe stata un grande miglioramento. Invece si era rivelata una beffa e un danno, portata avanti anche dall’ex sottosegretario Gaetti, perché impedisce la chiamata per i testimoni di giustizia fuoriusciti. Cosa che posso provare in ogni sede perché ho una lettera che mi inviò l’ex sottosegretario Gaetti in cui si sostiene che non è possibile tale assunzione in quanto già avrebbero capitalizzato diversamente. Questo ha creato delle categorie A, B, C e D tra i testimoni di giustizia. In Sicilia con lo statuto autonomo ci sono state assunzione, anche in altre parti e molti che non verranno mai assunti per il tramite del Ministero dell’Interno nella pubblica amministrazione perché il Ministero ritiene sia stato congrua l’elargizione economica data nel momento in cui sono usciti dalle misure di protezione in località protetta. Questa è un’ingiustizia che più ingiusta non poteva essere. La proposta di Piera Aiello punta a cancellare questo, l’iter è attualmente fermo davanti all’emergenza dovuta alla pandemia. Nell’ultima interlocuzione con la segreteria del vice ministro dell’interno Crimi, che è il responsabile del servizio centrale di protezione, ho sollecitato la giusta attenzione per la condizione di tutti i testimoni di giustizia che si trovano in queste condizioni, stiamo aspettando che Crimi ci dedichi tempo. Non sappiamo se i testimoni di giustizia riusciranno a resistere in queste condizioni e se non ci sono state forme di manifestazioni davanti ai palazzi governativi è dovuto alla pandemia, quando finirà (speriamo presto) ci dovranno dire cosa vogliono fare. E non è una questione «politica», ho notato che tutti coloro che assumono determinati ruoli politici e arrivano sulla poltrona che governa il servizio centrale di protezione cambiano rispetto a prima. Ho conosciuto Luigi Di Maio che viveva non molto lontano da me, nelle nostre lunghe chiacchierate ci ha promesso tantissimo e conosce la situazione ma non è stato capace di risolverla. Se non c’è riuscito neanche lui che la conosce benissimo credo che questa situazione non avrà mai fine. Sono vent’anni dalla nascita della legge 41/2001 che ci sono state modifiche su modifiche ma non è mai cambiato nulla. Finiti i processi e arrivate le condanne il testimone di giustizia cessa di esserlo per lo Stato, non per la criminalità organizzata che è stata denunciata per cui rimarrà sempre una persona da abbattere, il giorno in cui i testimoni di giustizia spegneranno i riflettori sulla loro situazione ci sarà una morìa. La criminalità organizzata le sue «sentenze» le porta a termine altrimenti non si chiamerebbe tale.

Il testimone di giustizia è alla ricerca continua di soluzioni ai suoi problemi, la primaria fonte a cui attingere un minimo di attenzione e probabile soluzione o almeno palliativo sono le istituzioni. In questo momento prese da questa gravissima situazione e quindi non rispondono ai testimoni di giustizia, non lo fanno in periodi normali e ancor di più adesso. Questo incide tantissimo su condizioni già gravi per la propria sopravvivenza. In caso un testimone prova a contattare il direttore del servizio centrale di protezione generale Paolo Aceto si può ricevere una risposta che rinvia qualsiasi interlocuzione a quando finirà l’emergenza dovuta alla pandemia. Già solo un normale cittadino che non può comprare il pane per i figli adesso per la pandemia e dovesse avere in risposta che se ne può parlare dopo la fine della pandemia che dovrebbe fare?»  

Lei è il fondatore e presidente del Movimento per la Lotta alla Criminalità Organizzata, ci racconti come è nato il movimento e quali sono le sue attività?

«Il Movimento per la Lotta alla Criminalità Organizzata è nato nell’aprile di quattro anni fa. Dopo che una persona denuncia ci sono i processi e la maggior parte delle persone vengono avvicinate da una marea di associazioni, alla fine dei processi spariscono e quando ci sono da affrontare le numerosissime problematiche con il servizio centrale di protezione non ci sono ad appoggiare chi denuncia. Perché ci presentiamo da soli a denunciare, da soli ci ritroviamo davanti a questi essere innominabili che fanno parte delle organizzazioni criminali, dovremmo aver bisogno di altre associazioni? Noi stessi già siamo una forma associativa, che facciamo tutto e rischiamo la vita, e così abbiamo fondato quest’associazione di promozione sociale per non rimanere soli o essere strumentalizzati da altri. Il Movimento sprona alla denuncia e nominare le problematiche dei testimoni di giustizia, che sono normalmente nominati solo una volta all’anno mentre dovrebbero essere nominati tutti i giorni non perché eroi ma per aver fatto una cosa normale in un Paese che normale non è».

Negli ultimi giorni ci sono stati vari allarmi, a partire dal Ministero dell’Interno e c’è stato un suo appello sul rischio che le mafie possano approfittare della crisi economica per fomentare disordini e costituire una sorta di welfare state parallelo criminale. Quale riflessione si può fare su questo?

«Il cittadino normale preso da mille problemi economici e di sopravvivenza si sente solo, ancor di più in questa porzione di territorio che è la Campania, non ci metterebbe nulla a bussare alle porte della camorra. E’ una cosa che non deve essere fatta, su questo dobbiamo essere intransigenti, ma avviene e per la camorra – forte dei capitali illeciti accumulati – investire centinaia di migliaia di euro per costruirsi un esercito di migliaia di sudditi è quello che cerca. La situazione di Coppola è diversa, non penserebbe mai di farlo. Lo Stato sta creando le condizioni perché la camorra in Campania possa far crescere un esercito di persone che diventeranno tutti dipendenti della società per azioni camorra. Passata la pandemia la camorra avrà tantissime persone che saranno sentinelle, vedette, detentori in luoghi dove nasconderanno droga e armi. In questo periodo, che lascerà morti e disperazione, la camorra cresce per poi incassare diecimila volte in più, al di là dell’aspetto meramente economico perché si approprieranno di intere famiglie che saranno a disposizione della camorra stessa. Non so se lo Stato non arriva a capire tutto ciò o c’è altro, non è possibile che in una regione come la Campania ad alto impatto criminale lo Stato sia indietro di anni luce nel soccorrere le persone. E purtroppo interviene la Camorra.

Non ci dovrebbe essere bisogno di Gratteri o dell’ex procuratore antimafia Roberti per capire che la Camorra sta approfittando delle condizioni che stiamo vivendo per coinvolgere persone che sono lontane dalla criminalità. La parte sana di questo territorio deve rimanere lontana dalla criminalità ma lo Stato dovrebbe essere fondamentale nell’aiutare i cittadini. Abbiamo i dati di una forte disoccupazione che secondo me non è reale, il 50% delle persone che lavorano in nero e che oggi non stanno lavorando e non percepiscono aiuti dallo Stato da chi verranno sostenuti? Quelli che non hanno ricevuto il reddito di cittadinanza perché molto probabilmente con lavori in nero guadagnano di più ora cosa stanno facendo? Saranno probabilmente i futuri alleati della criminalità organizzata. Se le istituzioni vogliono smentire Coppola devono farlo con i fatti».