Magistratura e potere. E le papere mute d’Abruzzo

Le anime belle a comando in questi giorni hanno scoperto le comunicazioni tra Palamara, politici e giornalisti. Ma in buona parte sono notizie note dall’anno scorso e sono gli stessi che esaltarono il suo avvento contro le toghe cattive che si sono azzardate negli anni ad indagare su mafie e potenti. Eppure ora usano la bufera contro gli stessi giudici. Coinvolto anche l’ex vicepresidente abruzzese del Csm ma la regione di Flaiano e Silone ancora una volta si conferma la regione del silenzio.

Magistratura e potere. E le papere mute d’Abruzzo

«Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa… l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere. Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere», (Pier Paolo Pasolini, Corriere della Sera del 14 novembre 1974).

Il potere in Italia da sempre s’identifica nell’intreccio di interessi, potentati, mafie, marcio, sovversivismo delle classi dirigenti, impunità per i ricchi e delinquenti manovratori e persecuzione, massacro, disprezzo per le vittime. È il potere che si è arricchito e si arricchisce sulle lacrime e la disperazione dei più deboli e impoveriti, che ha considerato l’interesse pubblico e i beni comuni terreno di caccia di cricche e congreghe varie. Un potere a cui si sono contrapposte poche voci libere, quasi sempre isolate e delegittimate: giornalisti con la schiena dritta, attivisti politici e sociali, magistrati indipendenti.

Soprattutto tra la metà degli anni Ottanta e i primi anni Novanta del '900 questa contrapposizione ha affidato molte sue speranze nella magistratura, nei giudici che arrivarono a toccare i fili scoperti della corruzione della politica e dei sistemi criminali mafiosi. Tra i primi sicuramente i magistrati di Palermo Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e i loro colleghi di quegli anni.

Costa e Chinnici furono tra i primi assassinati dalle bestie mafiose, Falcone e Borsellino furono assassinati diversi anni dopo ma prima vissero sulla loro pelle la macchina del fango e della delegittimazione, l’ipocrisia sporca e connivente dell’intellighenzia italica. Ripercorrere tutti gli insulti, i riprovevoli attacchi e le campagne contro di loro è impossibile ma un dato su tutti in questo momento andrebbe sottolineato: tutto fu nutrito abbondantemente anche dall’interno della magistratura e clave imponenti arrivarono dal Consiglio Superiore della Magistratura.

Quel Csm che avviò un tentativo di demolizione dell’impegno antimafia palermitano, era il 19 gennaio 1988 e non scegliendo Falcone come successore di Caponnetto l’organo di autogoverno della magistratura si mostrò più sensibile ad altri interessi che all’indipendenza del potere giudiziario da ogni potere marcio. Trentadue anni fa, tra gli applausi e i cori di settori della grande stampa, della politica, dell’imprenditoria e della società italiana stessa. Qualche anno dopo Falcone e Borsellino furono assassinati e, come ha sottolineato su queste pagine Brizio Montinaro nell’intervista pubblicata il giorno dell’anniversario della strage di Capaci, tutti si scoprirono loro amici. Siamo nel Paese del Gattopardo, i decenni passano e la storia si ripete ciclicamente in nuove farse.

In questi ultimi giorni è esplosa una nuova bufera mediatica intorno alle chat di Luca Palamara, in realtà sarebbe notizia dell’anno scorso e tanto già era emerso, ed è partito il coro delle anime belle e dell’indignazione a comando. In quelle chat, tra conversazioni inutili, irrilevanti quanto non scontate (che ci siano giornalisti che cercano le notizie e approfondiscono le notizie giudiziarie dovrebbe essere la scoperta dell’acqua fredda al polo sud … vivaddio che c’è chi lo fa ancora), emergono contatti, complicità, connivenze e interessi tra settori del mondo politico, magistrati e velinari. Intrecci che puntavano alla procura di Roma, a quella di Perugia e quella di Firenze, la procura che ha indagato tra gli altri sul «giglio magico» renziano e sui genitori dell’ex primo ministro e oggi senatore.

Emerge la pretesa d’impunità di certi manovratori del potere politico e di alcuni colletti bianchi, emerge che in questo Paese le speranze di opposizione al potere (marcio) diventa potere, che esistono cenacoli di interesse in cui tutto si cercare di aggiustare e pilotare. Eppure, da certa stampa ai social, la canea si sta scatenando contro la magistratura tutta, mettendo in dubbio e delegittimando ogni inchiesta, indagine e processo.

L’altro giorno milioni di tonnellate di fazzoletti per Falcone ma a quanto pare fino al 19 luglio sono tornati tutti nel cassetto. Ci sono conversazioni contro Di Matteo, che non doveva per lor signori assolutamente essere nominato nel pool stragi e sappiamo (o dovremmo) quel che l’anno scorso accadde, contro Woodcock e le sue inchieste su politica, mafia e massoneria, e quello che viene definito «sistema Palamara» appare sempre più figlio e simile a quanto accadeva oltre trent’anni fa contro Falcone e Borsellino e – poco più di dieci anni fa – contro lo stesso Woodcock, De Magistris, Ingroia, e poche altre toghe con la schiena dritta che hanno avuto il coraggio di indagare e mettere sotto inchiesta le elite della mafia e della politica connivente. «Sono sorpreso della sorpresa – dichiarò Antonio Ingroia il 6 giugno dell’anno scorso quando il cosiddetto «sistema Palamara» emerse - È  da anni che alcune voci isolate, fra cui la mia, denunciano il crescente condizionamento della politica sulle carriere dei magistrati e dell'influenza nefasta del correntismo che ha cancellato la prevalenza di ogni forma di merito ed anzianità per premiare gli omologati e punire i 'ribelli' al sistema».

Una posizione ribadita dieci giorni dopo quando Ingroia rimise in fila alcuni fatti e svelò l’ipocrisia del coro e come Palamara fu esaltato ed innalzato contro quella magistratura indipendente e coraggiosa dalle anime belle che oggi fanno i (finti ed a comando) scandalizzati.

«Perché pensate che io ad un certo punto, nel 2013, abbia tentato di cambiare la politica e attraverso questa la magistratura con il progetto RIVOLUZIONE CIVILE (poi non riuscito soprattutto per mancanza di tempo, di alleanze e per l'ostilità dell'allora Presidente Giorgio Napolitano e di tutti i media coalizzati)?

Proprio perché ero stato facile profeta di tutto questo: avevo già visto e sentito l'involuzione della magistratura e soprattutto dei suoi vertici, Capi degli Uffici, CSM e ANM in testa, arrivati al disastro di oggi (altro che, caro Ministro Bonafede! Non mettiamo la testa nella sabbia come gli struzzi, come nella sua intervista a La Stampa, dove sembra che tutto va bene in magistratura e gli attuali capi degli uffici giudiziari sono i migliori magistrati! E no, caro Ministro, non è così. E quindi MOLTO non va...Perché Ingroia e De Magistris non sono più in magistratura? Perché Di Matteo è in un angolo? […]  

Insomma, non è un caso che Luca Palamara fosse il Presidente dell'ANM quando 10 anni fa, col plauso di tutto l'arco costituzionale e di (quasi) tutta la stampa e i media, non sollevò un dito mentre noi, i PM della Trattativa, venivamo massacrati quotidianamente per avere “osato" fare quell'indagine (io massacrato più di tutti, ragion per cui poi decisi di lasciarla alla vigilia del processo per "salvare" il pool e il processo da tutte le polemiche scatenate contro di me). Ed è un caso che Palamara era "fidatissimo" dal Presidente Napolitano, al punto da designarlo per un'improbabile "mediazione" fra la Procura di Palermo e il Quirinale quando scoppiò il conflitto di attribuzioni? No, non è un caso.

Come non è un caso che all'epoca lo stesso partito trasversale (col gruppo Repubblica-L'Espresso in testa), che mi attaccava quotidianamente, blandiva Palamara come prudente magistrato con grande senso delle Istituzioni, ed oggi lo attacca solo perché Palamara, che prima "proteggeva il culo" all'ex Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone (così emerge dalle intercettazioni pubblicate in questi giorni), ne è improvvisamente divenuto "avversario" per ragioni oscure e che solo loro due potrebbero spiegare se qualcuno solo glielo chiedesse (ma qualcuno glielo chiederà mai in questo Paese di omertosi?)».

L’Abruzzo e le papere mute

Quando si pensa ad affari sporchi ed omertà il pensiero troppo spesso va alle regioni «a tradizionale presenza mafiosa» dove invece abbiamo sempre avuto associazioni, giornalisti e preti coraggiosi per esempio che le mafie le hanno sempre denunciate per nomi e cognomi. È un’associazione quindi del tutto sbagliata e fuorviante, le congiure del silenzio e prosperano in ben altre regioni, quelle regioni che continuano (violentando la realtà ogni santo giorno) a definirsi isole felice e il conformismo interessato è più che egemone.

Un esempio: l’Abruzzo. Qualche mese fa uno dei più potenti imprenditori abruzzesi fu interessato dalle inchieste sulle fondazioni renziane ma la stampa locale praticamente non se ne accorse e solo un movimento politico si espresse, da un porto abruzzese una ditta abruzzese spedì anni fa rifiuti in Marocco che furono bloccati e poi rimandati indietro (l’unico che scrisse e documentò tutta la vicenda fu il sottoscritto e, per capire il livello della situazione, uno delle principali testate giornalistiche web copiò togliendo alcuni riferimenti e dettagli i miei articoli e a sua volta fu copiato, riducendo ancor di più all’osso e condendolo con vari errori gravi, dal principale quotidiano cartaceo locale) e dopo quell’episodio lo stato nordafricano non accettò più nessuna spedizione dall’Italia, nel 2014 la Romania rifiutò una nave di rifiuti italiana che per mesi venne definita sulla stampa rumena la «nave dei veleni italiana» e questa fu un’altra vicenda che negli ultimi anni ho citato in solitaria.

Nelle migliaia di conversazioni di Palamara è comparso anche l’abruzzese Giovanni Legnini, ex vicepresidente del CSM, ex sottosegretario nei governi Letta e Renzi, candidato l’anno scorso a presidente della regione dal PD, da decenni tra i protagonisti della scena politica, nel 2011 per un periodo (altra vicenda ormai taciuta e dimenticata da tante papere mute e ammutolite) sembrò che da una sua proposta potesse finalmente sorgere il Parco Nazionale della Costa Teatina, bloccato da lobby e veti interessati dal 2001. Prima di proseguire un atto rivoluzionario per questa regione: pubblichiamo i fatti. Queste le frasi tra Palamara e Legnini (che in un’intervista a Repubblica ha definito l’altro giorno le sue «espressioni infelici» e affermato di non aver nessuna influenza sulla linea del quotidiano):

Palamara: e tu dici che con Liana lo posso fare?
Legnini: si ma Liana conta poco la dentro
Palamara: no … Claudio Tito
Legnini: Claudio Tito conta ..il tema è orientare il gruppo,adesso Repubblica su un linea diversa … Io non so il Fatto Quotidiano adesso La Verità, su cosa virerà perché la loro posizione è contro Pignatone.
Palamara: esatto
Legnini: quindi c’è una operazione di orientamento
Palamara: e allora devo parlà pure con Repubblica..
Legnini: se vuoi parlo io , ho rapporti al massimo livello … dimmi tu … riflettici…
Palamara: io con Claudio Tito ho un rapporto …
Legnini: lo conosci bene … e allora parla con lui deve passare la linea della vendetta nei tuoi confronti

Sono intercettazioni rese note domenica 24 maggio, passano i giorni e la notizia non conquista nessuna attenzione mediatica e politica, persino sui social (impegnatissimi a commentare quel che accade in Lombardia o la stessa bufera sul Csm, in Cina piuttosto che a Lampedusa, dove impazzano anche sindaci, consiglieri comunali – tra cui spicca colui che ai tempi delle tangentopoli abruzzesi qui nel vastese salvò il suo dominus affermando davanti al giudice di essere ancora stupido e inesperto per capire le carte) – su tutto e il contrario di tutto ma su questo passaggio nulla.

Dopo giorni e giorno si registra solo l’intervento della capogruppo regionale del Movimento 5 Stelle Sara Marcozzi che ha scritto in un post facebook: «Questo NON è certo ciò che ci si aspetta da quello che si dice un “uomo delle istituzioni dall’alto profilo”. Il M5S dovrebbe seriamente riflettere sulla opportunità di chiederne le dimissioni dall’importante ruolo che gli è stato di recente affidato».

Vista la vastità della vicenda, l’importante ruolo oggi svolto dallo stesso Legnini (commissario governativo per il post terremoto 2016) e le tante riflessioni possibili su tutta questa vicenda abbiamo contattato Marcozzi per chiedere un’intervista e approfondire con lei la posizione che ha richiesto da capogruppo regionale al Movimento 5 Stelle e tutti gli altri aspetti della vicenda. Proposta rifiutata dalla stessa che ci ha risposto di avere nulla da aggiungere e che possiamo fare copiaincolla di quanto ha scritto su face book. Il copia incolla rifugio di tanto più o meno presunto «giornalismo» abruzzese che conferma la distinzione di Giancarlo Siani: ci sono i giornalisti giornalisti e i giornalisti impiegati. Da queste parti di impiegati non ne abbiamo…