Ne usciremo come persone migliori, dicevano
L'emergenza Covid-19 doveva renderci persone migliori. Era un'occasione, ci hanno detto. Una brutale circostanza che avrebbe dovuto ridisegnare le nostre vite e la nostra percezione del mondo. E, in effetti, il coronavirus ci ha sventolato in faccia una realtà che non avevemo la forza di considerare: una realtà in cui siamo piccoli, fragili, indifesi. Questo virus saltato fuori da non si sa dove si è insinutao nei nostri corpi, nei nostri affetti, nelle nostre vite. Ha scattato un'istantanea di quello che eravamo diventati: indifferenti, ipocriti, apatici, egoisti.
Ci ha insegnato che in natura non esistono distinzioni che tengano, che davanti a questa tragedia siamo stati tutti davvero uguali per una volta. Abbiamo capito che il mondo, senza di noi, respira. Che l'altro, quello che guardavamo con ostilità e diffidenza, in realtà è la cosa a cui più siamo legati. Il virus ha cambiato la nostra percezione del tempo, ha ridisegnato i nostri rapporti personali, stilato una nuova lista delle priorità.
Il mondo si è fermato. Non lo credevamo possibile, eppure è successo. Proprio a noi, proprio nel nostro tempo. E allora ci è sembrato logico pensare che da questa tragedia saremmo riemersi come persone nuove, persone migliori.
Ma già Francesco Guccini ci aveva messo in guardia: "dopo il coronavirus non cambierà nulla. Gli uomini non imparano. È nella natura umana dimenticarsi presto delle tragedie passate per riprendere la vita di sempre". Persino troppo ottimista. Perché la verità è che noi non abbiamo neppure aspettato la fine della pandemia per tornare a essere esattamente quello che eravamo prima. Forse peggio di prima.
Continuavamo a ripetere che sarebbe andato tutto bene e che ne saremmo usciti presto, tutti insieme. E mentre lanciavamo arcobaleni dai balconi, da sotto la mascherina gettavamo sguardi carichi di disprezzo ai cinesi delle nostre città. Cercavamo di tirarci su considerando che, in fondo, questo virus "colpisce solo gli anziani" e che la perdita, dopotutto, ci sembrava tollerabile. Poi è stata la volta dei runners, gli untori senza coscienza in scarpette e pantaloncino. Poi ce la siamo presa con quelli che volevano tornare agli aperitivi, con quelli che uscivano senza mascherina, con quelli che dimenticavano di compilare l'autocertificazione. Persino con quelli che si sono beccati il virus. Perché, accidenti a voi, ma non ci pensate alla nostra salute?
Poi è venuto il 25 aprile, festa della Liberazione. E via con il solito rabbioso frastuono di nostalgici di un regime che non hanno neppure mai vissuto. Si sperava che almeno la pandemia potesse mettere un freno al fiele di fascisti improvvisati e odiatori di mestiere. E invece no, la Liberazione ha diviso ancora, persino dopo settantacinque anni. E le svastiche sulle lapidi dei caduti della guerra al nazifascismo, apparse anche quest'anno, stanno là a ricordarci quanto irrimediabilmente danneggiate siano le coscienze di molti individui.
Abbiamo assistito inermi a uno dei dibattiti politici più sconfortanti degli ultimi tempi. Abbiamo giurato vendetta alla Cina e morte all'Europa e, per dare sfogo a quel poco di bile che ancora fermentava dentro, abbiamo lanciato qualche cinguettìo contro i migranti. Giusto perché si sappia che non ci siamo dimenticati di loro.
E poi, abbiamo toccato il fondo. Così in basso da poter solo annaspare nei residui umidi delle nostre anime sporche. Perché nel giorno della festa della mamma, quando la rabbia montante non ha più trovato sfoghi, abbiamo deciso di rovesciarla addosso a una ragazza di ventiquattro anni che sorrideva alla vita ritrovata. Silvia Romano è riemersa da un inferno per trovarne un altro. Più subdolo, più codardo. L'inferno indrofobo del rancore insensato, della spazzatura intellettuale, dell'odio cieco e famelico che spopola sui social e serpeggia tra i commenti in maniera più inquietante del virus.
Il problema è che poi esiste un mondo al di là dei social, un mondo in cui un parlamentare della Repubblica italiana può tranquillamente insudiciare la sede delle Istituzioni con dichiarazioni vergognose e prive di qualsiasi fondamento di verità, senza che ne paghi alcuna conseguenza. Il Parlamento non lo ha allontanato, il partito non lo ha espulso. Magari qualcuno gli perdonerà la marachella con qualche pacca sulle spalle e un tweet a metterci una pezza. O chissà, in un Paese in cui Silvia Romano è "una neo-terrorista", il deputato della Lega Alessandro Pagano potrebbe finanche essere un eroe.
C'è un'altra pandemia di cui dovremmo occuparci una volta sparito il Covid: la pandemia delle coscienze guaste, incagliate in una spirale d'odio che non conosce vergogna.