Ranucci: «Ilardo poteva diventare il secondo collaboratore più importante, dopo Buscetta»

Il 22 febbraio è stato presentato a Siena il libro «Il Patto».


Presenti, insieme all'autore, l'avvocato Fabio Repici, il referente 'Agende Rosse' Giuseppe Galasso e il coordinatore di 'Avviso Pubblico' Massimo Borghi. L'incontro è stato moderato dal direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni.

“Mi rendo conto che la libertà di pensiero viene attentata, ma in un modo diverso. La ‘mordacchia’ la vogliono mettere in altre forme, mentre vogliono bruciare il grande valore che rappresenta la libertà di espressione: il libero pensiero”,

queste le parole di Bongiovanni che poi ha passato la parola a Ranucci.

“Il rischio principale sta avvenendo a livello di libertà di informazione sulle inchieste giudiziarie”, ha dichiarato il conduttore di Report. “Le riforme della giustizia prevedono che tu non puoi parlare degli arresti, delle persone che sono interrogate. Senza considerare che non puoi parlare nemmeno dei reati. Quindi, non saprai neanche chi potenzialmente è stato autore di un fatto”

Ha continuato:

“La mole di informazioni che Ilardo ha consegnato ad un uomo dei Carabinieri, il colonnello Riccio, avrebbe potuto fare di Ilardo, se solo avesse fatto in tempo, il secondo collaboratore di giustizia più importante della storia del nostro Paese, dopo Tommaso Buscetta. Tra il ‘93 e il ‘95, Ilardo ha raccontato le fasi della trattativa, in diretta. Riesce a fornire informazioni fondamentali: nomi e cognomi dei responsabili di Cosa Nostra e dei vari referenti politici. Racconta per la prima volta che dietro le stragi non c’è solo la mano di Cosa Nostra, ma anche quella della massoneria, dei servizi segreti deviati e della destra eversiva. Corpi diversi che nel momento del bisogno si uniscono per produrre dei risultati, anche quando vedono che il loro sistema è a rischio. Ilardo ha fornito anche i nomi. Tra questi, anche quello di ‘faccia da mostro’, il poliziotto identificato con il nome di Giovanni Aiello, presente sui luoghi delle stragi. Addirittura, Ilardo porta i Carabinieri del Ros fino al covo di Bernardo Provenzano, che però non sarà arrestato per la presenza eccessiva di pecore e di pastori. E’ dopo il mancato arresto di Provenzano, che il colonnello Riccio intuisce che c’è qualcosa che non va. Le ultime fasi di questa narrazione, che raccontano la trattativa Stato-mafia e le stragi, appunto attraverso la vita di Luigi Ilardo, si svolgono all’interno della Caserma del Ros, luogo dove Ilardo incontra il colonnello Mario Mori, protagonista della trattativa Stato-mafia, prima come imputato e poi assolto. Voi sapete che dietro le stragi non c’è solo Cosa Nostra, ma anche lo Stato’. Poi, l’incontro di Ilardo con tre magistrati: Giovanni Tinebra, all’epoca deputato a indagare sui mandanti esterni delle stragi, Gian Carlo Caselli, all’epoca procuratore capo a Palermo, infine il magistrato Teresa Principato, che ha condotto le indagini per la cattura di Matteo Messina Denaro. In quel momento, Ilardo, che non si fida di Tinebra, inizia a dare delle informazioni. Si rivolge a Caselli e inizia a raccontare, a dare delle informazioni e a ripetere quelle cose già dette al colonnello Riccio, fino a quando fu proprio Tinebra a fermarsi per stoppare la testimonianza di Ilardo. In quel momento avviene qualcosa di anomalo: i magistrati non mettono a verbale le dichiarazioni di Ilardo. Da quel momento in poi, il colonnello Riccio intuisce che Ilardo sta rischiando seriamente la sua vita”. Luigi Ilardo morirà sotto la sua abitazione, poco tempo dopo, e con il risultato che non riuscirà mai a collaborare ufficialmente con la giustizia: un danno enorme per le indagini di quegli anni”.

Poi prende la parola l'avvocato Repici:

“Esistono dei legami nelle vicende dei gravi delitti avvenuti nel nostro Paese. Per spiegarlo, basta richiamare la sentenza del processo ‘Borsellino quater’, che riguarda la strage di via d’Amelio: uno dei delitti più clamorosi della nostra storia repubblicana. Attraverso quella sentenza è stato descritto, in modo plastico, un depistaggio di Stato compiuto da personaggi importantissimi per perseguire interessi che non erano di Cosa nostra, ma di sfere del potere. Il depistaggio, realizzato con le false dichiarazioni di Vincenzo Scarantino e messe in bocca dal Viminale, era servito ad occultare la verità e a nascondere la responsabilità dei concorrenti esterni a Cosa nostra nella strage di via d’Amelio. Per la prima volta è stato messo nero su bianco quello che in molti già sospettavano: quei depistaggi servivano ad occultare la responsabilità di personaggi del potere nella realizzazione dei delitti che ognuno di noi immagina che siano stati commessi dai criminali professionisti. Questo vale sia per le stragi di mafia che per le stragi che rientrano nella cosiddetta strategia della tensione. In ogni occasione, i depistaggi sono stati commessi da uomini dello Stato. Il patto e le stragi producono la seconda Repubblica, dove i veri continuatori del potere sono stati gli apparati. Gli stessi soggetti che prima erano nella Polizia, nei Carabinieri, oppure nei servizi segreti, continuarono a detenere il potere senza più la resistenza di un potere politico forte. Negli anni ‘70 erano i politici a dare ordini ai servizi segreti. Dal ‘94 in poi sono stati i servizi segreti a dare gli ordini ai politici”.

 

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