Trattativa Stato-mafia, difesa Subranni: «un bel libro di inchiesta»

DIFESA SUBRANNI. Con l'arringa dei difensori del generale Antonio Subranni, termina la parte dedicata alle difese dei carabinieri del ROS condannati in primo grado per minaccia a corpo politico dello Stato nell'ambito del processo sulla Trattativa Stato-mafia. Per i legali del generale, la Trattativa non sarebbe mai esistita, i contatti con Vito Ciancimino sarebbero stati funzionali alla cattura dei latitanti e la minaccia non si sarebbe mai concretizzata.

Trattativa Stato-mafia, difesa Subranni: «un bel libro di inchiesta»
Antonio Subranni

L'ultimo dei difensori degli ufficiali del ROS a prendere la parola al processo d'Appello sulla Trattativa Stato-mafia è stato l'avvocato Cesare Placanica che, insieme a Fabio Ferrara, ha cercato di smontare la sentenza di primo grado che ha condannato il suo assistito a 12 anni di reclusione per minaccia a corpo politico dello Stato. Per i difensori del generale, la Corte di Assise ha emesso una sentenza con un “substrato probatorio che vacilla”. “Subranni sarebbe stato quello che ha ideato la trattativa. Il vero oggetto di questo processo è la trattativa, l'elemento che avrebbe innescato la mutazione di strategia di Cosa nostra. Ma quali sarebbero le prove?”.

Per gli avvocati, le oltre cinquemila pagine della “titanica” sentenza si riducono a questo: la mancata proroga del 41 bis da parte del ministro Conso sarebbe l'oggetto del reato, mentre la trattativa sarebbe partita dal generale Subranni che, un anno prima, l'avrebbe ideata con il fine ultimo di salvare la vita all'onorevole Calogero Mannino. “In mezzo c'è tutta una inquisitio generalis”, ha detto l'avvocato Ferrara, un pregiudizio ideologico. I riferimenti temporali sono vaghi, la sentenza si legge come “un bel libro di inchiesta”, ma dentro ci sono solo ragionamenti deduttivi, ipotesi, illazioni, mistificazioni. Persino la competenza del processo sarebbe dubbia, dal momento che la difesa sostiene la mancanza di unicità nel disegno criminoso che collega l'omicidio di Lima, le stragi di Capaci e via D'Amelio e quelle del continente

Subranni sarebbe responsabile di aver innescato il dialogo con Cosa nostra per accogliere le richieste disperate di Mannino, condannato a morte da Totò Riina. Ma per la difesa “non ci sono prove dirette, solo ragionamenti”. I carabinieri non avrebbero mai operato sottotraccia, gli incontri sarebbero stati fatti alla luce del sole. L'onorevole, inoltre, non era nuovo a minacce di quello spessore, perché avrebbe dovuto attivare il generale Subranni proprio in quell'occasione? Questo è l'interrogativo che suggeriscono i due legali, che però tengono poco conto dell'effetto dell'omicidio Lima sul condannato a morte Mannino.

Le testimonianze di Sandra Amurri e Antonio Padellaro, che hanno raccontato, chi per un verso chi per l'altro, le preoccupazioni dell'onorevole rispetto al processo e alle minacce ricevute nel '92 da Cosa nostra, non proverebbero nulla e tutta questa vicenda poggerebbe su “ipotesi del tutto destituite di fondamento”. Da qui, dalle richieste di Mannino a Subranni, originerebbe la teoria della trattativa, una “teoria” che viene fuori in “maniera insidiosa perché la si accosta alla morte di Borsellino”.

Anche sull'accelerazione della strage di via D'Amelio, a supporto della tesi dell'accusa ci sarebbero solo “elementi fragili, inconsistenti”. Non è affidabile Brusca (ai magistrati aveva raccontato: “Dopo la strage di capaci, mi [Riina, ndr] aveva dato il mandato per uccidere l'onorevole Mannino. A un dato punto mi revoca il mandato e io provvedo per fare altre cose”, poi c'è la strage di via D'Amelio, “prestu ficiru”, hanno fatto in fretta), come non sono affidabili le parole intercettate di Riina (per il quale l'attentato “non era studiato da mesi, era studiato alla giornata”). Per le difese, si tratta ancora di quell'accusa morale che già gli altri legali nelle precedenti udienze avevano cercato di contrastare.

Ma tornando all'innesco della Trattativa, per la difesa Subranni l'aggancio con Vito Ciancimino serviva per catturare gli assassini di Falcone, come avrebbero confermato anche la dottoressa Ferraro, la dottoressa Contri e il ministro Martelli, che pure per vent'anni mantennero il silenzio assoluto sulla vicenda. “C'è una illogicità diffusa che si scontra con la realtà dei fatti”: la spaccatura tra Riina e Provenzano comunicata al ministro Conso “non era una richiesta estorsiva, ma una informativa investigativa inconsapevolmente riferita a Di Maggio”, che poi l'avrebbe inoltrata al ministro della Giustizia.

La sentenza, per l'avvocato Placanica, vive di una “contraddizione inconciliabile” dal momento in cui asserisce che una trattativa c'è stata ma non è quella l'accusa del processo. Secondo i legali, comunque, "una trattativa non c'è mai stata". Ergo, Subranni va assolto come pure vanno assolti Mori e De Donno. Anche perché il dolo sarebbe in ogni caso inesistente.

L'avvocato, che ha già difeso Massimo Carminati e Domenico Papalia, si è soffermato molto anche sul regime di carcere duro, rilevando come già nel '93 ci fosse qualcuno che tentava di far notare i rilievi di incostituzionalità del 41 bis. Quanto alla Falange Armata, per la difesa questa sarebbe poca cosa. La sigla “viene usata a spiovere, per decine di fatti” e serve solo per tirare in ballo i Servizi segreti, ma dietro non ci sarebbe nessun disegno studiato a tavolino dai vertici di Cosa nostra e da altre “entità esterne”. 

Il processo riprenderà domani, 14 luglio, con la difesa di Dell'Utri.

WORDNEWS.IT © Riproduzione vietata