Don Gallo, autentica voce degli emarginati e dei disprezzati

Un ricordo di don Andrea Gallo, il prete degli ultimi morto il 22 maggio 2013

Don Gallo, autentica voce degli emarginati e dei disprezzati

«Mi hanno rubato il prete» disse un bambino nel luglio 1970, don Andrea era stato allontanato dal Carmine e molte persone erano scese in piazza a protestare. Piangeva mentre rispondeva ad un vigile, lacrime disperate di un cuore innocente trafitto. Piangeva anche il cielo tanti anni dopo, nel maggio 2013, mentre tutta Genova era scesa in strada per l’ultimo saluto al suo don, al Gallo degli ultimi e dei diseredati, degli emarginati e dei disprezzati.

Migliaia di persone sentivano di aver perso un fratello, un padre, un amico vero, una parte importante della vita. Poche ore prima splendeva il sole su Genova ed improvvisamente il cielo divenne tetro e piangeva disperato, chissà se quel bambino era in piazza ma il suo cuore era giunto lassù e guidava le nubi. Don Andrea Gallo tutta la vita era stato, e lo è ancora, scandalo dei benpensanti e dell’ipocrisia borghese, spina nel fianco di ogni potere politico, clericale, economico e balsamo, carezza, voce e cuore degli ultimi, di chi vive sulla strada e ai margini e soffre le oppressioni e le ingiustizie.

Stridevano le presenze istituzionali, gli alti papaveri di quella Chiesa che l’ha sempre mal sopportato e di quella politica contro cui era stato sferzante e coscienza critica davanti a chi troppo spesso una coscienza non l’ha mai avuta. Autentiche, vere, appassionate, le lacrime del suo popolo, di coloro con cui camminò, soffrì, rise, si divertì, fu libero e visse i momenti più belli.

Quel popolo che portò in teatro per un omaggio al suo grande amico Fabrizio De André, erano stati riservati decine di poste per la Comunità San Benedetto al Porto ma gli organizzatori erano convinti che don Andrea non sarebbe venuto con molte persone. Così invece non fu e, raccontò lui stesso, quando arrivarono spiazzarono tutti. Ad un certo punto don Gallo indicò di occupare uno dei posti in prima fila e uno degli organizzatori gli disse che lì doveva sedere la ministro Melandri.

«Allora le mettiamo accanto una puttana delle vecchie case, vedrai come esce arricchita dall'incontro» rispose don Gallo, parole nel quale c’è tutto il suo ascolto autentico delle persone, la dignità vera da cercare nei gigli di campo che questa nostra società ipocrita e sporca troppo spesso cerca di strappare.

«Erano tutti molto preoccupati – racconta don Andrea - mi chiedevano garanzie su ciò che sarebbe successo e io li tenevo sulle spine rispondendo che non potevo saperlo, essendo io un prete, non un indovino. Invece sapevo benissimo ciò che poi accadde: i miei emarginati erano tutti quelli che durante le canzoni piangevano veramente».   

«Se il male grida forte la speranza deve gridare ancora più forte ancora» disse in un’intervista. Gridare con creatività, indignazione, senza mai chinare la testa, senza sotterfugi, tatticismi e false timidezze, parlando con i fatti e la vita prima ancora che le parole. Gridavano tanti mali negli anni Settanta, gridavano nel 2013 mentre la Genova di via del Campo e dei vecchi carrugi, dei vicoli di quelle donne vittime di un mondo che li giudica da buon borghese per poi di nascosto sfogar le proprie voglie.

E gridano oggi ancora più forte, opprimono, fanno piangere, uccidono, danno sfogo alle loro più turpi bestialità immonde. Quelle di chi ancora giudica ed emargina per provenienza geografica, classe, interessi economici e sete di profitto, di sfruttamento. Perché troppo spesso gli impoveriti, i lavoratori sfruttati, le vittime delle mafie economiche e finanziarie, di violenze e stupri, di oppressioni quotidiane vengono giudicate, condannate, perseguitate. Mentre davanti a chi cancella i diritti sociali, chi di fatto uccide in nome di mazzette e pacchi di soldi, le mafie di ogni tipo che avvelenano, violentano, spacciano, decidono le sorti di popoli interi togliendo loro anche i beni vitali vengono sempre difesi, considerati addirittura perseguitati se qualcuno squarcia il velo e alza il coperchio dei calderoni più marci.

«Sempre pronta a pestar le mani a chi arranca dentro a una fossa sempre pronta a leccar le ossa al più ricco ad ai suoi cani» «Così grigia così per bene ti porti a spasso le tue catene» «Ami ordine e disciplina adori la tua Polizia tranne quando deve indagare su di un bilancio fallimentare. Sai rubare con discrezione meschinità e moderazione alternando bilanci e conti fatture e bolle di commissione» cantava Claudio Lolli, la voce di una piazza bella come quella delle sorelle e dei fratelli di don Gallo. È colpa grave la lunghezza di una gonna, la propria sessualità se non sei eterosessuale, bianco e maschilista, la propria condizione sociale, la povertà e le disgrazie della vita. Ma se sei un imprenditore cresciuto all’ombra della mafia e della P2, dei partiti più corrotti e dei potentati criminali, puoi evadere anche milioni di tasse e imposte, pedofilo e rimanere al potere corrompendo parlamentari avrai sempre le grancasse a tuo favore e guai a chi s’azzarda a criticarti.

Se fuggi dalle guerre, se vieni violentato, stuprato, incarcerato tra atroci sofferenze nei lager più disumani possibili sei da perseguitare, espellere, allontanare, sei un pericolo pubblico per l’ordine, la sicurezza e la disciplina. Ma sei hai il conto in banca gonfio e, insieme ad altre decine di migliaia di persone, ogni anno voli verso continenti lontani e sfrutti per i tuoi schifosi comodi sessuali anche bambini e bambine di pochi anni (80.000 italiani ogni anno vanno nel Corno d’Africa – lì dove è stata rapita Silvia Romano – e soprattutto nel sud est asiatico per turismo sessuale anche pedofilo) tutti zitti. Se vieni emarginato e buttato nelle baraccopoli più sporche e degradate vieni disprezzato e odiato, perseguitato e considerato colpevole di ogni cosa.

Ma se spacci le droghe più schifose, soprattutto ai figli della brava gente, se estorci, presti ad usura, ti arricchisci con racket e violenta prepotenza diventi serbatoio di voti, alleato e amico a cui allisciare il pelo e tutto ti vien consentito. Ogni riferimento a Roma, Ostia, Abruzzo e altre regioni ovviamente non è puramente casuale.

Lo vediamo anche in questi mesi. #Restateacasa facile no? E le migliaia di persone senza una casa sono state addirittura multate perché non rispettavano quanto ordinato, un numero incalcolabile di donne ha subito – favorito dal rispetto di quanto ordinato – botte e abusi sempre maggiori, se provi a metter la testa fuori casa o magari vuoi andare dal vicino malato o impoverito si scatenano pure le dirette televisive, se lavori in una fabbrica dove la sicurezza e la dignità li hanno distrutti da anni sei obbligato a farti sfruttare e non si deve perdere un’ora.

Sta aumentando la povertà, bisogna fare qualcosa per sostenere l’economia. Giusto? E quindi restituiamo ai poveri e agli sfruttati, permettiamo a chi non ha nulla di arrivare a fine mese? No, miliardi di fondi pubblici a multinazionali (e se hanno sede in paradisi fiscali è la legge che «non è attraente»). E se fino a prima del lockdown sei stato sfruttato in un magazzino fatiscente o tra i campi, pagato una miseria (se e quando vieni pagato) per tantissime ore senza nessuna tutela e protezione alti lai, grida isteriche e addirittura scandalo mediatico e politico perché non ti vengano riconosciute neanche le briciole del banchetto del ricco epulone. E se non hai santi in paradiso, se non hai grandi avvocati e non sei mai appartenuto a mafie, congreghe di potere, cricche, non ci sarà nessun «garantista da salotto», nessun quotidiano o alto opinionista che dedicherà tempo e parole alle tue condizioni in carcere in questi mesi di emergenza. Quanti corsivi, impregnati anche di ipocrisia e vere menzogne, sono stati dedicati in queste settimane per difendere le scarcerazioni di boss e colletti bianchi? Un numero infinito. Quanti alle assenze dei braccialetti elettronici che avrebbero dovuto dare la possibilità di una scarcerazione a molto meno noti carcerati di classi meno abbienti? Quasi nessuno.  «Che roba contessa all’industria di Aldo … anche l’operaio vuole il figlio dottore e pensi che ambiente può venir fuori non c’è più morale contessa» al confronto è nulla.

Don Gallo era un prete, di strada come amava sempre dire, e qualcuno magari si chiederà «e quindi non si occupava di Cristo e dei Vangeli, non pregava e non diceva messa, un articolo lungo e non si dice nulla?» No, è l’esatto contrario. Ad Auschwitz fu chiesto ad un sacerdote dov’era Dio di fronte quel che stava accadendo e la risposta spontanea fu «è lì, in quel forno crematorio e in quella cimiera».

Dove sono Cristo e i Vangeli, i Santi e il Padreterno di don Gallo? Sono qui, nelle nostre periferie e nei nostri confini, nei non luoghi del trionfo delle mafie e del malaffare, dello sfruttamento e del paese marcio, tra le Bocca di Rosa dei vicoli, delle bonifiche e degli appartamenti dove tutti sanno quali maiali vanno e nessuno parla, nelle fabbriche dove puoi morire e vieni sfruttato un giorno si e l’altro pure, nelle case dove sei assediato dalla violenza e dalla prepotenza criminali, nelle donne picchiate e abusate, in chi muore perché il proprio territorio è stato avvelenato dagli sporchi affari di una sovversiva classe dirigente e di imprenditori senza scrupoli, in cui fugge dalle guerre e dallo sfruttamento delle occidentali fabbriche di armi e dagli affari più immondi delle grandi multinazionali.

«Caro Faber, tu non ci sei più, ma restano i migranti, gli emarginati, i pregiudizi, i diversi. Restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza …
La comunità di San Benedetto ha aperto una porta nella città di Genova, e già nel 1971 ascoltavano il tuo album Tutti morimmo a stento. E in comunità bussano tanti personaggi derelitti, abbandonati, puttane, tossicomani, impiccati, aspiranti suicidi, traviati, adolescenti, bimbi impazziti per la guerra e l’esplosione atomica.

Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente, che era ed è la nostra vita quotidiana nella comunità, abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, dalla solitudine può sorgere l’amore come a ogni inverno segue una primavera.
È vero, caro Faber, loro, gli esclusi, i loro occhi troppo belli, sappiano essere belli anche ai nostri occhi».  Le ragazze e i ragazzi e don Andrea Gallo, prete di marciapiede