I segnali mafiosi dei fuochi e la penetrazione in Abruzzo e nel vastese delle mafie foggiane

QUARTA PARTE. Un anno fa usciva il libro «Quarta mafia. La criminalità foggiana nel racconto di un magistrato sul fronte» scritto dal procuratore aggiunto di Foggia Antonio Laronga. Dopo l’ultimo attentato della società foggiana a Nettuno ripartiamo dal libro di Laronga e dal libro «La città spezzata» di Leonardo Palmisano per ripercorrere il nostro viaggio nelle mafie pugliesi.

I segnali mafiosi dei fuochi e la penetrazione in Abruzzo e nel vastese delle mafie foggiane

«Questi sistemi criminali si infiltrano nei territori forti di grandi capacità economiche che investono per corrompere, dove la classe politica gestisce una grande mole di denaro pubblico – un esempio può essere l’Abruzzo – sono interessati a trasferirsi portando un’esperienza e un know how criminali. Una regione come l’Abruzzo non è immune da fenomeni corruttivi, la capacità mafiosa di intervenire con le proprie disponibilità economiche per corrompere e la disponibilità ad essere corrotti trovano così un punto d’incontro.

Questo è uno dei terreni che favorisce la penetrazione mafiosa, l’altro terreno è quello dello spaccio di stupefacenti – e anche qui possiamo fare l’esempio dell’Abruzzo dove ci sono alti livelli di consumo – fa entrare in contatto i sistemi criminali con pezzi importanti della borghesia soprattutto con lo spaccio di droghe come la cocaina, anche di pregio. Queste relazioni raramente si limitano solo allo spaccio e si evolvono su altri settori.

Regioni come l'Abruzzo non hanno un’autonomia economica dai fondi pubblici, la gestione degli affari è prevalentemente una gestione pubblica. È una dinamica simile a quella lucana, una regione che aveva una consolidata massoneria a capo delle spartizioni delle prebende pubbliche diventata col tempo a forte densità mafiosa favorita anche dalla pioggia di fondi pubblici.

Ovunque i fondi pubblici sostengono in maniera forte il sistema imprenditoriale - l’Abruzzo da sempre ha una forte capacità di spendere i fondi europei - è altamente probabile l’infiltrazione e l’interesse di sistemi criminali. Una penetrazione che avviene tramite imprese che non sono di proprietà mafiosa ma decidono di portarle nel tessuto economico.

Cantone intervistato sui sistemi camorristici qualche settimana fa ha dichiarato che le mafie sono già pronte ad accaparrarsi i fondi che arriveranno per la ricostruzione, anche europei, avendo già loro imprese. In una regione come l’Abruzzo ci sono già imprese che sono organiche alle mafie, approfittano dei fondi europei e sono dentro il sistema delle gare e degli appalti (o dei sub appalti) in diversi settori.

L’Abruzzo è una piazza interessante per le mafie della provincia di Foggia perché c’è una forte domanda di sostanze stupefacenti, una qualche disponibilità ad essere corrotti (ovviamente non dappertutto ma comunque c’è) e portano un’esperienza di offerta di servizi (come il recupero crediti) che altri non hanno. La sensazione è che l’Abruzzo rappresenti per le mafie foggiane quello che per la ‘ndrangheta è stato la provincia di Bergamo.

Nella provincia lombarda la ‘ndrangheta è riuscita a guadagnarsi i favori delle imprese chiamata per alcuni servizi come la vigilanza dei cantieri fino alla mediazione tra imprese per il recupero crediti. È questo il motivo per cui la parte più evoluta del sistema criminale foggiano si sta spostando in altri territori, la provincia di Foggia è probabilmente la più povera d’Italia e quindi non hanno molte possibilità, invece quando superano il confine tra la Puglia e il Molise già la dimensione economica è diversa e ancor di più entrando in Abruzzo. Le mafie foggiane non possono espandersi a sud perché c’è un confine sotto il quale non hanno spazi e in Campania ci sono interessi camorristici, per questo stanno puntando alla penetrazione in Molise ed in Abruzzo. In quest’ultima regione gli spazi non sono totalmente liberi per la presenza di clan campani ma hanno portato esperienze capacità maturate in Puglia che altri non hanno».

(Palmisano, 27 aprile 2020)    

«L’uso dei fuochi d’artificio per segnalare la presenza sul territorio dei clan è diffuso in tutti i sistemi criminali italiani e deriva da una tradizione molto antica che, probabilmente, discende dal fatto che i clan hanno sempre cercato di governare le feste patronali che in Italia si concludono tradizionalmente con i botti.

In questo momento nelle aree d’Italia che conosco meglio rispondono a tre esigenze: comunicare l’avvenuta consegna di carichi di sostanze stupefacenti da un quartiere all’altro e quindi – come è accaduto a Bari durante il lockdown – si possono avere fuochi molto brevi a distanza di poco tempo che partono dai quartieri più vicini al mare (che sono i quartieri di sbarco delle sostanze stupefacenti e poi fungono da magazzino pe stupefacenti o altre merci mafiose) e poi raggiungono l’entroterra, i botti segnalano quindi a chi di dovere che i trasferimenti sono avvenuti; l’uscita o la buona riuscita di un percorso carcerario di qualche boss o altri personaggi importanti con il quartiere che così festeggia. A volte sono preceduti anche da altre forme di festeggiamenti, come cene all’aperto o sparando per aria soprattutto con kalashnikov, segnalando quella che considerano una vittoria sullo Stato».

Chi abita in una zona a forte densità mafiosa storica si rende conto e sa che i fuochi d’artificio sono esplosi nottetempo non da ragazzini che fanno bravate ma da affiliati ai clan. Possono essere diversi i motivi ma la cadenza pressoché quotidiana può anche mescolarli, possono segnalare non solo la presenza ma anche il controllo nelle ore notturne».

(Palmisano, 25 maggio 2020)

 

 

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