PANDEMIA. L’Abruzzo retrocesso a zona arancione. Allarme sempre più rosso

La regione adriatica è stata inserita tra le «regioni gialle» nel DPCM del 3 novembre ma l’aumento dei contagi e l’occupazione delle terapie intensive l'hanno retrocessa tra le «regioni arancioni». Dure prese di posizione di USB e Slai Cobas sulla situazione in Val di Sangro, a dir poco critica (per usare un eufemismo).

PANDEMIA. L’Abruzzo retrocesso a zona arancione. Allarme sempre più rosso
definizione regioni, DPCM 3 novembre 2020 (ilmeteo.it)

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) ha diviso le regioni italiane in tre categorie per stabilire le nuove disposizioni contro l’avanzata della seconda ondata della pandemia. L’Abruzzo è stato inserito nel DPCM del 3 novembre tra le «regioni gialle» per poi retrocedere, con l’aumento vertiginoso dei casi e la situazione delle terapie intensive, da oggi tra le «regioni arancioni». A metà ottobre secondo l’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica (Altems) l’Abruzzo era l’unica Regione ad aver esaurito i posti aggiuntivi nelle terapie intensive, preoccupazione a cui il presidente della Regione Marsilio e l’assessore regionale alla sanità Verì hanno risposto che il sistema sanitario era «assolutamente in grado di reggere». Quindici giorni dopo, lo stesso presidente Marsilio ha dichiarato che l’occupazione delle terapie intensive costringono a «prendere decisioni dolorose e sottrarre spazi di cura ad altre patologie per dedicarli a persone che, altrimenti, come già accade, rimangono sulle ambulanze».

Il 23 ottobre in attesa davanti il pronto soccorso di Avezzano un pensionato di Luco dei Marsi in crisi respiratoria è morto durante l'attesa, il giorno dopo è girata la notizia che per una signora anziana di 87 anni di Castel di Sangro, risultata positiva al tampone e con una polmonite che richiedeva cure ospedaliere, dopo ore di attesa all'ospedale di Sulmona si preparava un probabile ricovero a Campobasso per «posti pieni» nei presidi abruzzesi; il 6 novembre è deceduto un 80enne residente a Roma che si trovava con la moglie a Villalago – risultato positivo al tampone rapido e in attesa dell’esito del test molecolare - dopo molte ore in ambulanza per mancanza di un posto dove essere accolto come paziente Covid.

L’11 ottobre in un comunicato la ASL Avezzano-Sulmona-L'Aquila aveva messo nel mirino - testualmente - «un'immotivata ondata di panico» e «forme di immotivata e, per certi versi, isterica preoccupazione» nella popolazione. Per concludere questo tutt'altro che edificante tour nelle ASL abruzzesi, nei giorni della notizia dell'aumento degli stipendi dei dirigenti regionali, l'azienda sanitaria pescarese ha chiesto al personale infermieristico di restituire fino a 5.000 euro legati ai minuti di «vestizione, svestizione e passaggio di consegne» tra un turno e l'altro.  

Questi mesi ci hanno dimostrato quanto è preziosa la sanità pubblica. E la ricerca. Tra gli istituti d’eccellenza più importanti sicuramente spicca il Mario Negri. Una volta, fino a non molti anni fa, la punta di diamante nel centro-sud Italia si trovava in Abruzzo, a Santa Maria Imbaro: un patrimonio di eccellenza, conoscenza e di ricerca straordinario cancellato, tuttavia, dal disinteresse e da sconcertanti scelte della «politica regionale». La memoria è labile e chi lo ricorda più? Lassù, nei palazzi dove si "puote", qualcuno ha imparato la lezione di quegli anni sciagurati? Non ne abbiamo notizia…

«La crescita vertiginosa del numero di lavoratori positivi al SARS-Covid19 nelle ultime settimane, dislocati nelle diverse officine SEVEL, evidenzia limiti e velleità applicative dei protocolli di sicurezza vigenti, siglati dalle organizzazioni sindacali confederali a sostegno della ripartenza delle attività produttive non essenziali. Nonostante la persistente virulenza della singolare pandemia, che continua a provocare vittime e contagi soprattutto nei luoghi di lavoro – scrive lo Slai Cobas della Provincia di Chieti il 5 novembre - nella fabbrica dei record si registrano le seguenti condizioni: assenza di distanziamento fisico nello svolgimento di molteplici lavorazioni per il ripristino da mesi di saturazioni a regime senza rispetto del mix in transito sulle linee, assembramenti in ingresso, con rilevamento della temperatura delegato alla sorveglianza senza la presenza di personale infermieristico ed in uscita, nelle aree relax e nei servizi igienici conseguenti la conservazione della fruizione collettiva delle 3 pause da 10 minuti, unilaterale decisione aziendale del dimezzamento del tempo individuale per la sanificazione ad avvio del turno delle postazioni e degli utensili, tardiva e parziale sanificazione delle aree frequentate dai lavoratori risultati affetti dal Covid-19, mancanza di isolamento precauzionale per i colleghi dei lavoratori contagiati».

Il sindacato di base teme che quanto espresso potrebbe esporre al rischio di un «enorme focolaio con ripercussioni sul sistema sanitario ed i territori abruzzese,molisano e pugliese». Nello stesso giorno l’Unione Sindacale di Base, dopo l’aumento del numero di operai risultati positivi al Sars Cov2 (erano 15 al momento dell’invio dei comunicati dei due sindacati ma già il giorno dopo erano saliti di altre 5 persone), ha definitivo «tardiva» la sanificazione delle postazioni e di ritenere «insufficienti le attuali misure di contrasto alla diffusione del virus» all’interno dello stabilimento dove, scrive, «non sono stati effettuati tamponi di controllo a tutti i lavoratori della UTE di appartenenza dei positivi ai test».

I rappresentanti del sindacato hanno chiesto «la convocazione da parte della Prefettura, dell’azienda SEVEL spa e degli enti di controllo in materia di sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro (ASL e ITL), oltre che della nostra organizzazione, per aprire un confronto circa le criticità in una situazione così complessa e che richiede la massima attenzione e trasparenza» e sottolineato di aver «già da tempo ha espresso tutte le sue perplessità circa l’ultimo aggiornamento del protocollo anti-Covid adottato in azienda». L’aggiornamento del protocollo secondo l’USB «comporta un abbassamento della guardia nella prevenzione della pandemia che stiamo affrontando, tanto che abbiamo inviato una denuncia al servizio ispettivo della ASL , ITL e per conoscenza alla Procura di Lanciano, senza ricevere risposta».

Alla direzione aziendale il sindacato ha chiesto di «ripristinare i dieci minuti per la sanificazione delle postazioni di lavoro, di rallentare la velocità delle linee, e di aumentare il livello di dissaturazione per evitare assembramenti durante il lavoro», in caso di positività riscontrata ad un lavoratore «oltre alla tempestiva sanificazione della zona di lavoro, che venga chiarita la modalità di ricostruzione della catena dei contatti visto che si tratta di capire con quanti lavoratori è stato a contatto il positivo per un’intera settimana di lavoro e se saranno sottoposti a tamponi almeno gli operai a stretto contatto per evitare che si sia creato un focolaio». «Le nostre preoccupazioni – sottolinea l’Unione Sindacale di Base - aumentano di giorno in giorno visti i numerosi casi di lavoratori risultati positivi ai test. Non c'è più tempo per aspettare e bisogna intervenire immediatamente, fare finta di nulla non cancellerà il virus dalla Val di Sangro» evidenziando che la preoccupazione maggiore è «l’adeguamento delle procedure alle disposizioni previste dagli ultimi DPCM, dato che ad oggi si verificano situazioni a nostro avviso molto pericolose: un lavoratore con un familiare in attesa di esito al tampone richiesto dalla ASL, può recarsi al lavoro, esponendo i colleghi a possibilità di contagio, in un ambiente come la Sevel dove tantissimi lavoratori lavorano fianco a fianco e viaggiano in pullman affollati». Il 9 novembre lo Slai Cobas della Provincia di Chieti ha dichiarato in un comunicato che «la mobilitazione promossa» dopo il «numero crescente degli operai contagiati» ha portato ad «una contrazione produttiva sui turni programmati nell'ultimo week end evidenziando le legittime preoccupazioni e perplessità dei lavoratori» sui protocolli FCA, annunciando «ulteriori iniziative a tutela affinché le autorità si assumano ogni doverosa ed obbligatoria responsabilità».

La sanità abruzzese, come già abbiamo raccontato nei mesi della prima grave emergenza, non ha mai superato i devastanti danni di Sanitopoli e degli anni rampanti del clientelismo, delle convenienze elettorali, dei campanili interessati e del piegare a interessi privati quello pubblico. Ed oggi, come denunciò l’USB, vive un pandemonio. Davanti alla seconda ondata, all’emergenza che torna a mordere feroce, ai rischi per anziani, malati, cittadini più fragili – dopo i sacrifici immani della primavera scorsa – spontanea dovrebbe essere l’attesa che i presidi sanitari, i medici, gli infermieri, gli OSS, cerchino di mettere in sicurezza i pazienti, di fornirli il più possibile di DPI (lo prevederebbe anche il piano pandemico nazionale e quello regionale, non aggiornati e abbandonati in polverosi cassetti negli anni scorsi).

Il 26 ottobre la stessa USB ha promosso un nuovo sit in davanti la sede dell'assessorato regionale, «ormai non è più una novità, l'emergenza Covid-19 ha messo in evidenza la necessità di potenziare il sistema sanitario nel nostro Paese e nella nostra Regione - scrive il sindacato di base che sottolinea - da anni chiediamo la reinternalizzazione nel pubblico dei servizi sanitari in appalto ai privati. Da mesi siamo in attesa della convocazione al tavolo tecnico proposto dall'Assessore regionale alla Salute N. Verì, ma ad oggi, dopo continui rinvii, della volontà di risolvere la questione sembrerebbe non essere rimasta alcuna traccia».

«Gli operatori sanitari e il personale di mense e pulizie assunti dalle cooperative e aziende in appalto, e che svolgono le loro mansioni negli ospedali pubblici, sono di fatto lavoratori di Serie B» denunciano gli attivisti sindacali perché «pur lavorando fianco a fianco con i colleghi ASL, non hanno le stesse tutele, gli stipendi sono a ridosso della soglia di povertà e sono costretti a subire un'organizzazione lenta e macchinosa. Da mesi sono ferme sia le chiamate per l’avviso pubblico relativo alle assunzioni di OSS per l’emergenza sanitaria, sia le procedure per il concorso OSS mirato a soddisfare il fabbisogno degli ospedali abruzzesi».

«I lavoratori della sanità per mesi - l'amaro attacco dell'Unione Sindacale di Base - sono stati chiamati eroi, quando era necessario sostenerli attraverso i fatti, attraverso l'utilizzo di risorse presenti ma non utilizzate che avrebbero dovuto valorizzare il lavoro di tutto il personale della sanità e tutelare i cittadini in un momento storico estremamente difficile da affrontare a causa della Pandemia». I lavoratori sono «stanchi di aspettare, senza diritti non possiamo combattere il Covid» la conclusione del lancio della manifestazione.

 

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PRIMA PARTE

Pandemia. Abruzzo tra retrocessione a zona arancione e una politica che si «slega»