L'esempio del Maxi Processo istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

UN GIORNO STORICO. «1987: Maxi processo, ergastolo alla mafia». L'Opinione di Mario Ravidà.

L'esempio del Maxi Processo istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Maxi Processo di Palermo (ph Fondazione Falcone)

Questa giornata va ricordata poichè lo Stato, quello vero, per mezzo di Giudici giusti, incorruttibili e non "sensibili" a "pressioni esterne", ha applicato la legge nel senso più alto delle parola e senza se e senza ma, distribuiendo ergastoli ai componenti di "Cosa nostra".

Quello che è accaduto dopo, è solo vergogna!!!

"Cosa nostra" non essendo riuscita a mitigare le condanne non le accetta reagendo: cerca la vendetta e la cerca proprio minacciando quella classe politica che da sempre aveva colluso con la mafia; uccide l'On. Lima, Democristiano, seguace della corrente andreottiana; uccide uno dei cugini Salvo, uomo di contatto tra mafia, imprenditoria, politica e poteri occulti; minaccia pesantemente di morte altri uomini della DC e loro familiari.

"Cosa nostra" non accetta il fatto che una grande parte di Stato colluso ha "beneficiato" da sempre dei servigi della mafia come il consenso elettorale e molto, altro. Lo stato che fa? Si impaurisce, è terrorizzato: cerca un contatto con la mafia nella persona di Vito Ciancimino che Falcone definiva il "più mafioso dei politici e il più politico dei mafiosi".

Lo stato chiede a Cincimino cosa vuole "Cosa nostra" per fare smettere questo attacco verso gli ex amici politici? Riina e i suoi preparano quel famoso papello con le richieste per finire l'attacco allo Stato. I punti principali che "Cosa nostra" vuole subito sono:

Abolizione dell'ergastolo e abolizione del 41 bis. Poi altri otto punti pro mafia!

Il Governo del tempo queste richieste non può concederle immediatamente, specialmente dopo la strage di Capaci, in quanto l' "opinione pubblica" avrebbe capito e sicuramente reagito a tali concessioni. Comunque, per calmierare "Cosa nostra", il Ministro Conso dispone l'abolizione di più di 300 regimi di 41 bis e lo fa in silenzio, in una notte, senza alcuna pubblicizzazione.

Gli organi di stampa riportano la notizia solo anni dopo. A Cosa nostra non basta! Vogliono tutto e subito. Nel frattempo, Borsellino viene messo al corrente della "trattativa" in atto tra parte dello Stato e "Cosa nostra". Non può un uomo come Paolo Borsellino accettare questo tipo di "accordi, trattative" con la mafia, specialmente dopo che gli avevano ucciso Falcone; sapeva che questo suo "opporsi" avrebbe decretato anche la sua morte!

Accetta fermamente tale scontata previsione e non si ferma: chiede di essere ascoltato dalla Procura di Caltanissetta, fa denunce pubbliche facendo capire lo schifo in essere, dice chiaramente che "la mafia lo ucciderà ma saranno altri a volere la sua morte". Perchè denunciare a Caltanissetta? Credo in quanto organo che stava indagando sulla morte di Falcone e credo anche per competenza; quando un magistrato che fa parte di una Procura, quella di Palermo, non può denunciare e contemporaneamente indagare sulla sua denuncia. Verosimilmente e intelligentemente cerca anche un'unità di intenti tra varie Procure per contrastare tale propositi governativi e mafiosi. Il Governo dell'epoca non può permettersi tale denuncia da parte di Borsellino, sarebbe successo un finimondo: ministri, onorevoli, capi di Stato, esponenti di vertice delle Istituzioni e delle forze dell'ordine, sarebbero stati investiti dallo tsunami di tale denuncia di Borsellino.

Dopo appena 57 giorni dell'attentato a Falcone, Borsellino muore nell'attentato di via D'amelio e tutti sappiamo ormai dei depistaggi e della sparizione dell'agenda Rossa, dove verosimilmente Borsellino aveva trascritto quello che era venuto a sapere. Nel contempo, "Cosa nostra" di Riina vedendo la debolezza e la paura inculcata nei politici tramite le sue minacce, aumenta la "pressione" e compie attentati stragisti in più città: Roma, Firenze, Milano. A questo punto, qualche mente eccelsa, ha il colpo di genio: fa un patto/accordo con l'ala più moderata di "Cosa nostra", quella di Provenzano a cui promettono l'impunità e le future iniziative governative per abolire l'ergastolo e i regimi di carcere duro per i mafiosi.

In cambio lo Stato chiede a tutta l'ala di Provenzano la consegna di Riina e tutti gli stragisti come i Graviano, e questo accade: viene arrestato Riina, i Graviano, Santapaola e molti altri. Lo Stato e i suoi infami politici sono al sicuro. Non permettono al buon colonello Riccio e al suo infiltrato di arrestare Provenzano a Mezzojuso. Arrestano incredibilmente Riccio, chiedendogli insistentemente di consegnare le sue agende dove aveva appuntato i nomi dei politici collusi come riferitogli da Ilardo.

Ilardo, dopo il fallito arresto di Provenzano e dopo che aveva incontrato i magistrati in una dichiarazione di intenti, per una clamorosa e devastante collaborazione, dove non verrà né verbalizzato né registrato, viene rimandato a casa, in attesa di in prossimo incontro, ma anche lui, come Borsellino, verrà in un'incredibile accelerazione, ucciso in un agguato.

Salvatore Borsellino dirà alla figlia di Ilardo, che sta conducendo una battaglia per la verità sulla morte del padre: "coloro che hanno ucciso mio fratello, sono gli stessi che hanno ucciso tuo padre"! 

Verrà ucciso anche un medico illustre e capacissimo, Attilio Manca che operò, per conto dello stato, Provenzano alla prostata in una clinica francese. L'omicidio di Attilio Manca viene fatto passare come un maldestro e incredibile suicidio.

Ora si devono mantenere gli accordi del tempo con "Cosa nostra" facente capo alla parte non stragista di Provenzano e si deve abolire l'ergastolo ostativo e il regime di 41 bis per i mafiosi detenuti... intanto lo stato, nei processi, continua ad auto-assolversi e magistrati onesti e inflessibili continuano ad essere isolati!

Mario Ravidà, già ispettore della Dia

 

 

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