Memoria è assumersi la responsabilità collettiva di garantire dignità a ciascuno di noi

Anniversario terremoto 6 aprile 2009, un giorno che non passa e non deve passare. Oltre la data sul calendario costruiamo memoria attiva. Dando voce a chi quella notte l’ha vissuta, la vive e la vivrà.

Memoria è assumersi la responsabilità collettiva di garantire dignità a ciascuno di noi
Davide e Antonietta Centofanti

Memoria, una parola usata e abusata, che esonda da ogni piega della retorica e dei discorsi di questo Paese. Usata e abusata così tanto da aver costruito un Paese senza memoria, strumentalmente e orrendamente senza memoria. La storia insegna ma non ha scolari scrisse Antonio Gramsci. Perché coloro che dovrebbero essere scolari lo sono di altre scuole. Quelle in servizio permanente effettivo e cancellano o ripetono a comando. 3 e 32, 6 aprile 2009.

Sono passati tredici anni da quella drammatica notte. Il calendario prosegue la sua corsa implacabile e molti già hanno spento i riflettori dell’attenzione in attesa della prossima data. Noi no, non vogliamo accodarci e ricordiamo ogni giorno che quella notte non è mai passata, che il terremoto del 6 aprile 2009 (come altre, troppe, «tragedie») è un passato che non passa.

In questi tredici anni abbiamo visto di tutto e di più, specchio fedele di un Paese infedele. Gli anni della corsa ad esserci, a pronunciare discorsi e apparire in prima fila anche quando il pudore (parola scandalosa come poche in questo Paese) imponeva altro.

Per poi, dopo aver fatto passerelle e aver usato e sfruttato l’indignazione dei primi anni, da grandi paladini di un’antimafia parolaia da sacrestia, ha avuto anche il barbaro (s)pudore di affermare che la legalità, la giustizia e la denuncia Paese orrendamente sporco nessun interesse e non c’entra nulla. Poi sono arrivati gli anni delle strumentalizzazioni e dei silenzi, delle verità artefatte e dei fatti che non sussistono. Ma uccidono. Mentre questo carosello non si è mai fermato c’è chi quella notte l’ha vissuta, la vive e la vivrà per sempre.

Il terremoto del 6 aprile 2009 imporrebbe due direttrici, le imporrebbe in nome di quell’umanità e di quella giustizia ripetutamente cancellate e strumentalizzate, fin troppe volte: ricordare non solo un giorno e dare voce a chi è giusto e sacrosanto l’abbia. Il giorno del calendario e tutti gli altri giorni dell’anno. Anche quest'anno, in questi tempi bui che un filo rosso lega a quei mesi, il 6 aprile il ricordo e la memoria hanno animato i social in una corsa frenetica. Del momento.

Sono passati 13 anni, secoli per i tanti tornanti che la storia ha preso. Davanti agli occhi e nelle orecchie ancora tante immagini, video, parole, oscenità, indegnità e ingiustizie. E rugge forte nel cuorela lacerazione e rabbia di «un torrente di vocali». Ma c'è un momento per esprimerli e un momento in cui evitare, i giorni in cui metterci la faccia e quelli in cui lasciare a chi è giusto, sacrosanto oserei scrivere, siano gli unici a farlo. Il terremoto non è finito era uno striscione di quegli anni. Il tempo per scrivere, esprimersi, indignarsi c'è sempre. Non solo questa notte.

La memoria è soprattutto di chi è segnato per sempre da quella notte, ha perso un caro e le ha vissute in prima persona. A noialtri tocca rispettare la memoria, rispettare loro. E nel ricordare non guardare il proprio io, grave malattia dei nostri tempi, ma chi è giusto sia. Per tutto il resto il tempo c'è sempre. E allora i giorni della memoria, e con voluta provocazione lo facciamo con un apparente ritardo che ritardo non è, li affidiamo al ricordo di Antonietta Centofanti e alle parole pronunciate da Lilli Centofanti la mattina del 6 aprile nella cerimonia al Parco della Memoria aquilano.

Antonietta Centofanti, zia di Davide, per tanti anni è stata in prima linea – generosa e coraggiosa, tenace e straordinaria – nella cura della memoria e della ricerca della giustizia per quanto accaduto prima e dopo quella terribile notte. Antonietta ci ha lasciati l’anno scorso a fine aprile, poche settimane dopo l’anniversario. La cui memoria e celebrazione, anche nei due anni di pandemia, ha portato avanti con formule diverse e la sua indomabile forza. Quasi un anno dopo la sua scomparsa, in queste ore, ricordarla è più che doveroso. Indimenticata ed indimenticabile, commuove l’amore per Davide e l’abbraccio con le vittime di tante altre “tragedie” d’Italia, la generosità di questi anni, la straordinarietà del suo esserci sempre, della sua infinita umanità.

Questo l’intervento di Lilli Centofanti che pubblichiamo integralmente.

Buongiorno a tutti, anche se questa mattina è sempre un po’ più triste delle altre. Eccoci, riuniti come accade da tanto tempo ormai, quasi come un’unica grande famiglia... eppure sempre mutati.

È un giorno importante, poiché possiamo stare all’aperto dopo due anni complicati; trovarci qui
rappresenta un momento di normalità. Sappiamo bene quanto velocemente questa parola abbia dovuto spogliarsi del suo significato ed assumerne uno inaspettato, che mai renderà giustizia a ciò che abbiamo vissuto in questi lunghi anni. Probabilmente ne servirebbe una di nuovo conio, che includa la resistenza, la sopravvivenza, la tristezza, l’impotenza, l’assenza, ma anche la vicinanza, l’immane capacità di riscrivere la vita, di raccontare la morte, l’amore che abbiamo messo nella quotidianità, per noi stessi e per chi non c’è più.
Ce ne sarebbe davvero bisogno di questa parola. Ma a pensarci, c’è già. Memoria.
È solo che come tutte le cose ormai assodate si dà per scontata.
E poi è una parola strana: implica pratica continua, forza, senso di appartenenza.

In effetti non è detto che tutti si sentano di appartenere ad un certo tipo di ricordo, ma si sentono chiamati a farlo forse per abitudine, per inerzia, ma in maggioranza per rispetto nei confronti di chi ha dovuto e scelto di fare di quel ricordo una guida ed un’ancora laddove l’inspiegabilità della vita ha rischiato di mettere fine a tutto, in meno di un minuto.

Ecco perché, anche quando una giornata come questa sembra diventare retorica, in realtà reca in sé un valore molto più alto, quello della civiltà. In un Paese come l’Italia, che è straordinario per volontariato, per accoglienza e tutte quelle illustri qualità che all’occorrenza sono un vanto nazionale ed internazionale, stranamente parlare di memoria diventa ridondante.

Quindi capita che dopo un po’ i terremotati e le vittime rompano i coglioni.
Oppure che, peggio ancora, i terremotati (che a quanto pare sono una categoria antropologica a sé) vengano utilizzati per propaganda contro altre categorie umane, magari i profughi finti. Perché poi ci sono anche quelli veri. Per cui, per quanto possa appesantire qualcuno (anche gli insospettabili), parlare di quanto accaduto e di come la vita continui, non è mai abbastanza.

Memoria non è vittimismo, non è buona creanza, né un dovere fine a se stesso. Anche perché, e potrei essere linciata qui pubblicamente, le vittime del sisma sono soltanto la punta visibile e mediaticamente più sfruttabile di questo iceberg. Adombrando quanti non hanno retto ai ricordi, chi è rimasto fisicamente compromesso in modo permanente, lo spopolamento, il distacco forzato da tutto ciò che era familiare, chi continua a vivere qui e altrove nonostante tutto.

Memoria è anche questo. Memoria è permettere a quanti sono nati e cresciuti all’alba del 6, a quanti erano bambini e ragazzi tredici anni fa, che su queste lastre leggono i nomi di coetanei, di compagni di infanzia e di vita volati via troppo presto, o mai incontrati, di raccontare che il dolore purtroppo non ha età ma che domani arriva. E possiamo farcela. È dare voce agli anziani, utili e sacrificabili, che hanno fatto la città e che in molti non la rivedranno più. È raccontare il sacrificio delle squadre di lavoratori e volontari che quella notte e nei giorni successivi ci hanno permesso di arrivare fino a qui, oggi. È riconoscenza. Memoria è avere di fronte la realtà ed avere il coraggio di raccontare e accogliere la verità. Memoria è inclusione.

In questi giorni ascoltiamo, sgomenti, racconti terribili dal fronte di una guerra tanto reale quanto anacronistica. E quante vittime invece, leggiamo sui tantissimi monumenti ai caduti, militari e civili, di ogni età. Ce ne saranno tante anche in questo conflitto. Così come ce ne sono state e continuano ad essere le vittime del Covid. Prima o poi, anche loro finiranno per rompere i coglioni?

O forse no...?

Tra le tante parole che mi è capitato di leggere, ho recepito quelle di una persona straordinaria, un certo Robin Williams, che diceva: “Se vi capitasse di passare davanti alla mia tomba, vedrete due date, con un trattino in mezzo. Bene, guardate attentamente quel trattino. È l’unica cosa che conta”. Ecco, forse se prestassimo più attenzione a tutti i trattini che un tempo erano persone e che ora campeggiano tra due date, compiremmo un altro passo verso la civiltà. La stessa che ho citato poco fa ed abbiamo la presunzione di andare ad insegnare altrove, e che, invece, è una lezione che non abbiamo di fatto ancora imparato.
 

Memoria è evitare di ripetere gli stessi errori. È prevenzione.

Memoria è assumersi la responsabilità collettiva di garantire dignità a ciascuno di noi.

A fronte di due anni in cui non abbiamo potuto raccoglierci, correndo il rischio che il silenzio dello sgomento cedesse il passo a quello della dimenticanza, essere qui oggi è fondamentale. Anche per tutti coloro che ieri hanno acceso un lume ed assenti per svariate e insindacabili ragioni, ci affidano e condividono con noi quanto ci troviamo a portare avanti.

Infine, credo che la Memoria sia il luogo comune in cui istituzioni e cittadini dovrebbero incontrarsi senza indugio, perché la Memoria non è mai divisiva. È di tutti e a servizio di tutti, come questo Parco la cui importanza è tangibile oggi e ancor più durante gli altri 364 giorni. Per cui concludo dicendo che personalmente non mi limito a non dimenticare, ma oggi ribadisco la mia volontà di ricordare.

Come diceva Saramago: "Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere”.

Auguro quindi un 6 aprile di civiltà a tutti.

 

 

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