Sandokan, parla Ciliberto: «Un essere spietato che ha causato un genocidio con i rifiuti tossici»

L'INTERVISTA. Dopo le parole del testimone oculare Augusto Di Meo (omicidio di don Peppe Diana, 19 marzo 1994) abbiamo raccolto quelle del testimone di giustizia (ha denunciato la camorra imprenditrice) Gennaro Ciliberto sulla decisione dell'ex capo dei Casalesi di collaborare con lo Stato. «La parola pentimento non può essere minimamente accostata a chi ha ucciso e distrutto un intero territorio, chi per decenni ha imposto il credo criminale, grazie alle collusioni dei politici che hanno anche ricoperto ruoli di sottosegretari di governo. Purtroppo questa collaborazione è l'ennesima dimostrazione che non sempre la qualità Investigativa degli inquirenti riesce a svelare i legami tra politica e camorra».

Sandokan, parla Ciliberto: «Un essere spietato che ha causato un genocidio con i rifiuti tossici»


La scelta della collaborazione, secondo il mio punto di vista, è stata studiata: uno scoop. Arrivata con la presenza di Gratteri a Napoli.

Lui (Schiavone, nda) ha voluto iniziare questa collaborazione perché oggi c’è Gratteri e fino a ieri, lui, non ha voluto iniziare alcun tipo di collaborazione perché non vedeva nessuno dall’altra parte capace di assicurare il cosiddetto “contratto” da stipulare

«Da testimone di giustizia spero solo che questo assassino non stia mettendo in atto una sua tattica per raggiungere un solo obiettivo: tutelare le sue ricchezze accumulate illecitamente. Ci sarà la terza generazione degli Schiavone. Vestiranno giacca e cravatta e studieranno nelle università del nord per poi gestire gli affari di famiglia». Abbiamo raccolto, dopo l'intervista ad Augusto Di Meo (testimone oculare dell'omicidio di don Peppe Diana, 19 marzo 1994)il punto di vista del testimone di giustizia Gennaro Ciliberto sulla tardiva decisione di Sandokan, all'anagrafe Francesco Schiavone (sanguinario assassino ed ex capo della mafia casalese) di iniziare a collaborare con la giustizia.

In queste ore molta enfasi si è registrata intorno a questa decisione. C'è chi lo ha paragonato a Tommaso Buscetta e chi ha dichiarato che i Casalesi (intendiamo, ovviamente, i mafiosi casertani) sono finiti

Noi continuiamo a porci diverse domande. E con l'aiuto di chi ha dimostrato nel corso degli anni, con il proprio coraggio e con il proprio impegno, di stare dall'altra parte della barricata (non sono annunci da antimafia parolaia) stiamo cercando di comprendere e di avere una (diversa) opinione.

Un concetto è stato ribadito più volte dal testimone Ciliberto. «Dobbiamo evitare di usare la parola ‘pentito’».

Perché?

«‘Pentito’ non è un termine che si usa solamente nel gergo malavitoso, ovvero colui che si pente e collabora. ‘Pentito’ è anche colui che si pente dalle proprie azioni. E dopo 26 anni e dopo essere stato autore materiale e mandante di omicidi, ma anche di genocidio…»

Può spiegare meglio cosa intende per "genocidio"?

«Schiavone è tra coloro che ha gestito il business dei rifiuti illegali, avvelenando una terra e le future generazioni. Possiamo parlare di "genocidio", possiamo parlare di un essere spietato. Non posso definirlo ‘pentito’».

E come possiamo definirlo?

«Voglio pensare che abbia iniziato a fornire degli elementi alla magistratura, ma sono elementi che dopo 26 anni possono solamente confermare un qualcosa che gli inquirenti già avevano accertato».

Perché ha deciso di collaborare?

«Come soggetto non ha più un ruolo criminale, quindi è stato depotenziato. La sua decisione di collaborazione è puramente studiata per preservare il “tesoretto” che la magistratura non è riuscita ancora a scovare e mai scoverà. Non sappiamo se ha siglato dei patti per conservare questo “tesoretto”. Ma anche per cercare di vivere gli ultimi anni che resteranno della sua vita lontano dal carcere duro. Per me questa è l’unica scelta. Anche il referente politico, Cosentino (alias Nick ‘o mericano), si è fatto la sua detenzione e non ha collaborato. Forse sul piano criminale è stato più criminale il referente politico».

Perché lancia questa provocazione?

«Si è fatto la sua galera, non ha collaborato. L’associazione l’ha presa. La sua garanzia di vita. Nessuno ucciderà Schiavone, perché il vero problema - e mi aggancio alle parole dell’ex pm Maresca, ma sono in completo disaccordo con il suo punto di vista - è che già esiste un altro capo clan. Già esiste un’altra matrice mafiosa che ha delle aderenze politiche ed imprenditoriali sul territorio. Schiavone non potrà fornire nessun elemento di attualità».

Come mai?

«Che elemento di attualità potrà fornire? Sappiamo bene che le dichiarazioni devono essere verificate ed accertate. E dopo 26 anni, parliamo di documenti o transazioni bancarie, cosa potranno accertare?»

Ritorniamo sulle dichiarazioni di Catello Maresca. Testualmente l’ex pm ha affermato: «La mafia casalese ormai non esiste più». Perché lei non è d’accordo?

«Innanzitutto vorrei capire quali elementi ha il dottor Maresca per affermare una cosa del genere visto che lui non occupa più un ruolo di PM e, spero, che nessuno fornisca notizie in relazione ad attività investigative recenti. Dai giornali tutti siamo bravi ad apprendere notizie. Il dottor Maresca vive sotto scorta, com’è giusto che sia, perché ha mandato in galera i Casalesi. A questo punto potrebbe anche rinunciare alla scorta. Ma sei i Casalesi non ci sono più, allora, chi è Schiavone? Perché questo clamore per uno che collabora dopo 26 anni? La scelta della collaborazione, secondo il mio punto di vista, è stata studiata: uno scoop. Arrivata con la presenza di Gratteri a Napoli. Lui ha voluto iniziare questa collaborazione perché oggi c’è Gratteri e fino a ieri, lui, non ha voluto iniziare alcun tipo di collaborazione perché non vedeva nessuno dall’altra parte capace di assicurare il cosiddetto “contratto” da stipulare».

Ma la gestione di Sandokan è della Direzione Nazionale Antimafia.

«Fino a un certo punto. Sicuramente ci saranno delle dichiarazioni che ricadranno nella giurisdizione del Procuratore di Napoli. La procedura prevede determinati passaggi: c’è un PM proponente e vaglia la DNA. Ma il passaggio più importante viene fatto in Commissione. E, sicuramente, Schiavone sarà ascoltato in Commissione Centrale dove vi è un organo politico. Qui lascio un momento di riflessione».

Facciamola insieme.

«Cosa potrà dire Schiavone in Commissione riguardo alla politica se poi la Commissione dovrà approvare la sua entrata? Oggi stanno dando Schiavone come un collaboratore di giustizia».

Spieghiamo meglio.

«Ha cominciato a collaborare con la Giustizia ma lo status lo avrà fra sei mesi. La procedura prevede che il collaboratore di giustizia entro sei mesi deve dichiarare tutto. E le dichiarazioni devono essere valutate, prima dalla DDA (Direzione Distrettuale Antimafia, nda), poi dalla DNA. E poi, dopo la relazione, dalla Commissione Centrale. Attualmente Schiavone è ancora in articolo 7, non può essere ammesso in programma di protezione».

A meno che…

«Abbia iniziato, ma noi questo non lo sappiamo, la collaborazione sei mesi fa ed è stata resa nota solo adesso. Scotti, dopo la latitanza, venne arrestato. Cominciò a collaborare ma fu accertato che le dichiarazioni non erano attuali, efficaci e genuine. E non entrò nel programma».

Da quello che lei dice ci potrebbero essere dei limiti sui legami mafiosi con la politica?

«E' un punto di forza di Schiavone. Farà i nomi che a lui convengono. Se oggi al Governo c’è la destra Schiavone farà i nomi di quelli della sinistra, se ci fosse stata la sinistra avrebbe fatto i nomi dei politici di destra. Schiavone non attaccherà mai una linea politica di Governo. Non lo farà mai. Non parlerà di un politico ancora in vita».

Perché?

«Non gli viene dato il programma di protezione. Oggi per le mafie e la camorra è un infame. Lui si trova, oggi, in una bolla di salvaguardia. È stato trasferito in un padiglione dove ci sono altri collaboratori di giustizia. Per i camorristi, altri infami. Se lui non diventa un collaboratore, con giusta delibera provvisoria e poi definitiva, rientra nel regime di carcere duro. Al 41 bis. E secondo voi ad un tizio del genere, nel carcere, che ne fanno? Molti collaboratori di giustizia hanno fatto avviare dei procedimenti che poi non hanno portato a nulla. Solo perché hanno fatto fare carriera a qualche magistrato. Solo perché in quel momento hanno fatto dei nomi popolari. E non ci sono stati riscontri. Il collaboratore di giustizia, un mezzo fondamentale per aggredire le mafie, deve essere valutato bene. È furbo, è scaltro il collaboratore. Vuole sempre qualcosa in cambio. Ci sono collaboratori con tanti omicidi che vivono in ville milionarie. E nessuno si domanda come queste persone hanno uno status economico così ricco».

Perché accade questo?

«È un sistema, così deve essere».

Questo ragionamento sui legami politici vale anche per quella “rete” di imprenditori che si sono arricchiti grazie al clan dei Casalesi?

«È tutto collegato. Chi finanzia le campagne politiche? Da dove i soldi per comprare i voti nelle zone degradate? L’imprenditore che ha il suo punto di riferimento a livello politico è l’imprenditore che poi prende gli appalti».    

Politici e imprenditori che si sono legati alla mafia casalese possono dormire sonni tranquilli?

«Parliamo di alto livello. E loro sono gli sponsor di Schiavone, neo collaboratore di giustizia. Se non parla di loro è solo per un tacito accordo. Potranno cadere due o tre teste ma il livello più alto non si toccherà mai. Perché Cosentino paga e va in galera ed altri politici, sempre campani, sono riusciti a farla franca? Perché Cosentino non svela i rapporti con altri colleghi politici?».

Perché?

«Sono quei cosiddetti “salvavita” che devono rimanere nel tempo. Chi è possessore di segreti si è fatto la propria polizza a vita».

Dobbiamo dedurre che è tutta una finzione la lotta alle mafie?

«La lotta alle mafie del livello stradale-criminale-militare esiste. Perché diventa destabilizzante per l’opinione pubblico. Ma il livello alto di lotta alle mafie non esiste. Sarebbe come guardarsi nello specchio e sputarsi in faccia».

I figli di Schiavone si sono ‘pentiti’ prima del padre.

«Non hanno portato a nessun tipo di risultato».

Anche la moglie, Giuseppina Nappa, si è 'pentita'.

«Rientra tutto in un quadro, in una logica. I figli e la moglie non hanno mai fatto la guerra al clan e sono collaboratori di giustizia. Le mafie decidono anche quando pentirsi. Vengono gestiti bene, da menti sopraffine. In questa Nazione non succede mai nulla per caso. La linea che dovrebbe dividere lo Stato dall’antistato non c’è più».

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NELLE PROSSIME ORE L'INTERVISTA ESCLUSIVA A LORENZO DIANA (già componente della Commissione parlamentare Antimafia, per il suo impegno minacciato di morte dal clan dei casalesi). 

 

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