Scarcerazione mafiosi, le domande inevase
Scarcerazioni, rischi cedimenti legislativi nella lotta alle mafie, DAP, magistratura. Presa di posizione dell’Associazione Antimafie Rita Atria.
L’emergenza sanitaria forse è alle spalle e, meno di seconde e terze ondate, l’Italia potrebbe ripartire per tornare prima o poi alla normalità. Quella normalità che, come è stato già scritto, quasi certamente è stata il problema.
La normalità italiana fatta di devastazioni e avvelenamenti dei territori, beni comuni regalati a furia di mazzette e favori agli amici e agli amici degli amici a squallide consorterie, colletti bianchi, una giustizia classista e ingiusta e mafie di ogni tipo. Dopo un incubo terribile può scattare la tendenza a cancellare tutto, a cercare di far finta di nulla in nome di una artefatta e malposta resilienza.
Sono mesi drammatici anche sul fronte della giustizia e della lotta a quella metastasi civile rappresentata dalle mafie e il rapido succedersi di tanti eventi, polemiche, naufragi sta portando rapidamente a dimenticare quel che è successo tre mesi fa, anche se sembra passato un tempo molto più lungo. Tanto è passato dalle prime rivolte nei carceri italiani, dai saccheggi organizzati da ambienti eversivi e mafiosi a Palermo e dai primi allarmi sulla riorganizzazione dei sistemi criminali per fagocitare l’economia italiana e ampi settori sociali, lanciati anche sulle nostre pagine da Luigi Coppola, testimone di giustizia che anche in questi mesi ha continuato a denunciare la situazione e lottare perché lo Stato non abbandoni chi si è schierato dalla parte della giustizia contro i sistemi criminali, rinunciando a tutto e rischiando in prima persona, e dal magistrato anti-camorra Catello Maresca.
In quelle settimane arrivò improvvisa, ma non per tutti perché alcuni come Maresca già da settimane (ancor di più dopo le prime rivolte nelle carceri) chiedevano attenzione, la valanga di scarcerazioni di mafiosi detenuti al 41bis o in regime di alta sicurezza. Boss, gregari e affiliati che sono tornati nei loro quartieri, un segnale devastante per la lotta alla mafia come l’ha definito tra gli altri il magistrato antimafia Sebastiano Ardita.
Dopo un nuovo decreto del ministro della giustizia Bonafede e il ritiro della circolare del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP) del 21 marzo scorso alcuni mafiosi sono stati rispediti in cella. Quanto accaduto non deve essere cancellato e troppe sono le domande rimaste inevase ha ribadito con forza in un comunicato del 21 giugno l’Associazione Antimafie Rita Atria, un’articolata e dura nota nella quale sono stati ricostruiti i fatti e chiarite in maniera netta dinamiche e responsabilità: «il decreto-legge del 10 maggio 2020, n. 29, che mediaticamente è stato, con una scelta quantomeno infelice, definito “decreto boss”, varato con l’intento di riportare in carcere alcuni degli affiliati alle organizzazioni mafiose più pericolose, non può cancellare settimane sconcertanti e i forti timori per quanto accaduto» ed è «necessario ripercorrere alcune delle tappe di questa vergognosa e inaccettabile vicenda che inizia con le violente rivolte, dei primi di marzo, scatenate, in maniera simultanea, in diverse carceri. Rivolte su cui sono più che forti i sospetti che ci sia stata una regia mafiosa, considerato anche che la Procura di Salerno sta addirittura indagando su un possibile nuovo “papello” e si torna a parlare di incontri tra esponenti delle istituzioni, servizi segreti e boss, nonché di un “protocollo farfalla” ancora attivo».
La ricostruzione dell’Associazione parte del decreto «Cura Italia» del 17 marzo scorso che prevedeva la «detenzione domiciliare per chi non sta scontando pene per gravi reati, escludendo, pertanto, dal beneficio i detenuti al regime del “41-bis”, ed ha un basso residuo di pena (coloro che debbono scontare una pena o un residuo di pena fino a 18 mesi)», un provvedimento «di fatto vanificato o quasi dalla mancanza di braccialetti elettronici. Difatti, i detenuti considerati socialmente meno pericolosi (al contrario di molti appartenenti alle mafie) sono così rimasti in carcere, un fatto che dimostra una volta di più quanto le strutture penitenziarie scontino gravissime criticità e lacune, ma su cui, anche da parte dei più o meno presunti “garantisti” che hanno urlato di tutto e di più contro chi si è indignato per le scarcerazioni di boss e sodali, nulla o poco si è detto».
Il 21 marzo arriva la circolare del DAP che, senza fare nessuna distinzione per i detenuti più socialmente pericolosi, ha chiesto un elenco delle situazioni sanitarie critiche «per le eventuali determinazioni di competenza». Che, come ci ha sottolineato Maresca il 29 aprile, ha creato «confusione» e «di fatto ha scaricato le responsabilità sui giudici, con questa circolare anche la responsabilità di gestione amministrativa è ricaduta su di loro. Responsabilità che è esclusiva dell’organo amministrativo ovvero il DAP » ed invece scrivendo ai direttori degli istituti penitenziari «di indicare chi ha patologie pregresse si è letteralmente spogliato delle sue responsabilità»: «i giudici non hanno improvvisamente tutti cominciato a sbagliare insieme come sembra credere l’opinione pubblica – ci ha sottolineato Maresca - questa era l’unica modalità (riferendosi alle scarcerazioni, i tribunali di sorveglianza non hanno altre possibili decisioni) di tutela della salute, quella tutela della salute che non è riuscita al DAP che non ha attuato le adeguate strategie».
Tra i boss scarcerati ci fu Pasquale Zagaria, definito la «mente economica» dei casalesi, uscito da un carcere (Sassari) di una delle regioni allora meno colpite per scontare domiciliari in uno dei maggiori focolai europei di quelle settimane e ancora oggi d’Italia (Lombardia), dove si sono avuti mesi e mesi di ritardi e clamorosamente email inviate ad indirizzi sbagliati. «Come è possibile che al Ministero della Giustizia nessuno si sia attivato dopo questa circolare, nonostante gli allarmi di vari magistrati antimafia? Come è stato possibile che solo un mese dopo è stata notificata alla Procura Nazionale Antimafia? Chi è responsabile di questi ritardi e di alcune scarcerazioni come quella di Pasquale Zagaria, e il Ministro o chi per lui si è almeno iniziato ad attivare perché ne sconti le conseguenze?» i pesanti interrogativi posti dall’Associazione Antimafie Rita Atria che aggiunge «nessuno (?) ha pensato ai sodali delle mafie: chiunque segue le cronache giudiziarie, chiunque si è interessato di mafie e organizzazioni criminali sa benissimo che oltre i grandi boss detenuti al 41-bis esiste un vasto esercito di affiliati, fiancheggiatori, complici e sodali. Ma a quanto pare al Ministero non è stato minimamente considerato, il che fa restare basiti…
E così, ad esempio, si è assistito alla scarcerazione, tra molti altri, anche di Antonio Noviello, imprenditore affiliato ai casalesi e condannato per camorra, il quale non era detenuto al 41bis».
«Il successivo decreto-legge di maggio avrebbe dovuto “arginare” tale preoccupanti scarcerazioni – prosegue la nota dell’Associazione Antimafie Rita Atria - invece non crediamo abbia risolto alla radice la questione, anzi lascia molti, troppi interrogativi. Per quanto di nostra conoscenza, non è stata presa neanche in considerazione la possibilità di un accordo con il Ministero della Salute al fine di individuare ospedali idonei e reparti protetti per fronteggiare l’emergenza sanitaria carceraria. Strutture assenti e, come dimostra per esempio la scarcerazione di Pasquale Zagaria, queste mancanze hanno portato alla gran parte delle vergognose vicende di queste settimane (il ritiro della circolare del 21 marzo con un nuovo provvedimento da parte del DAP mantiene sul tappeto tutti gli interrogativi inevasi su quanto accaduto in questi quasi 3 mesi).
E come lui, boss e affiliati sono rientrati nei loro territori e potrebbero aver riallacciato rapporti e essersi riorganizzati. Un danno immenso, un segnale devastante nella lotta alle mafie: chi li ha controllati? Come lo Stato si sta preoccupando di intervenire su tutto questo? Non basta un decreto-legge, poco più che un placebo… Carmine Alvaro, espressione di punta del clan di Sinopoli, ad esempio, è tornato in cella per aver violato le disposizioni dopo la scarcerazione». «Alcuni boss non sono ancora rientrati in carcere perché in sede di rivalutazione del beneficio penitenziario come previsto dalla nuova norma – sottolinea l’Associazione Antimafie Rita Atria - sono state sollevate delle eccezioni di incostituzionalità, rinviando il vaglio alla Consulta: alcuni Magistrati di Sorveglianza sotto il profilo della violazione del contraddittorio e quindi del diritto di difesa e il Tribunale di Sorveglianza di Sassari, con riferimento al caso del già citato boss Pasquale Zagaria, per violazione della separazione dei poteri e della tutela del diritto alla salute del condannato (sic!)… A seguito di questa ulteriore “falla”, in sede di conversione in legge del predetto decreto n. 29 del 2020, si stanno discutendo degli emendamenti, ma è evidente che intanto si è dato un inquietante segnale – di cui le mafie si “cibano” per rinsaldare il loro potere – che rappresenta, di fatto, un cedimento».
Altri cedimenti, è l’allarme dell’Associazione, rischiano di aggiungersi: «come quelli che giungono da partiti politici come la Lega Nord e Italia Viva, governatori di regione e associazioni di industriali, che spingono per “cancellare” (tecnicamente con molteplici deroghe e norme ad hoc) il Codice degli appalti e il Codice antimafia, per spazzare via controlli e i limiti, che sono stati finora previsti per evitare l'infiltrazione mafiosa, in nome di una strumentale e presunta lotta alla burocrazia. Le mafie oggi si presentano “in giacca e cravatta”, hanno il volto di multinazionali degli affari e dei traffici, deviano interi settori economici e sfruttano le leve della finanza e degli appalti pubblici. Cedere a queste spinte rappresenterebbe la cancellazione di decenni di lotta alle mafie, consegnerebbe al malaffare larga parte della società e dell’economia legale. E sarebbe ancor più vergognoso, nauseante e inaccettabile nei mesi in cui – in quest’Italia ipocrita e meschina, retorica e chiacchierona – si fa finta di celebrare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino».
Nel ricordare «Falcone non si può non rammentare il comportamento del Consiglio Superiore della Magistratura, quell’organo istituzionale che dovrebbe tutelare l’indipendenza della magistratura e la giustizia e che invece, allora come oggi, appare molto più sensibile a ben altre istanze, come documentato, a seguito della pubblicazione delle ormai famose “chat di Palamara”: un intreccio corporativo e spartitorio di nomine (da Basentini in giù, Unicost che aveva egemonizzato gli incarichi presso il Ministero della Giustizia) dove ritroviamo tra gli altri il già “cerchio magico renziano”, esponenti politici di alto livello dell’intero arco parlamentare o quasi, tra cui anche il membro laico in quota al partito di Bonafede e tanti magistrati, tra cui colui che indagò e fece arrestare Mimmo Lucano».
Davanti a tutto questo denuncia l’Associazione Antimafie Rita Atria, «la giustizia, la tutela dei più deboli viene sacrificata davanti a mafie, corruzione, politica marcia e tanto altro. Così come molti magistrati indipendenti che hanno avuto il coraggio e l’onestà di toccare i fili scoperti di questa Repubblica e le squallide consorterie di mafie, poteri politici ed economici e massoneria, esattamente come accadde con Falcone e Borsellino, vengono sempre più isolati e delegittimati. La lotta per la giustizia e la liberazione da queste metastasi della democrazia va messa in primo piano, va restituita all’azione giudiziaria la sua centralità e indipendenza (fiaccata da decenni di leggi ad personam scaturite da interessi particolari di questa o quella parte politica) e va spazzata via un’applicazione della legge sostanzialmente classista che tutela i “colletti bianchi” e perseguita gli impoveriti e i senza casta.
Quasi tutto il resto, ancora una volta, offende la memoria di Falcone, Borsellino e di tutte e tutti coloro che sono stati ammazzati dalle mafie e prepara il terreno ai futuri “sistemi Palamara” nel Paese dei Gattopardi inamovibile, come disse Agnese Borsellino, finché resterà di ricattati e ricattatori».