Silvia Romano e gli sciacalli serventi

ITALIETTA. Il ritorno a casa di Silvia Romano ha mandato fuori di testa orde sui social e non solo. Tutte persone che contro di lei si sono scoperti agenti segreti, investigatori, indignati e tanto altro. Ma che davanti al paese marcio ogni giorno si genuflettono, omertosi e difensori del peggio del peggio.

Silvia Romano e gli sciacalli serventi
una delle più famose prime pagine della rivista satirica Cuore

«Soffiava su tutto un tanto di cupidigia imbecille, come una zaffata proveniente da un cadavere», davanti alle orde impazzite sui social, in televisione e in quell’agorà che solo con notevole difficoltà possiamo definire politica viene alla mente Joseph Conrad e il suo «Cuore di Tenebra». L’emergenza sanitaria e la quarantena ci avevano regalato qualche settimana di tregua, finalmente sembrava possibile vivere senza di loro. Ma è bastato un raggio di sole in questo cupo periodo per far riemergere il peggio del peggio: come già riportato nell’articolo sulla liberazione di Silvia Romano si sono immediatamente scatenate orde sui social.

Neanche un minuto dopo il lancio della notizia, quando neanche la famiglia aveva la certezza della liberazione (e secondo alcune ricostruzioni neanche il ministro degli Esteri) questi novelli investigatori, agenti segreti, esperti di geopolitica, ginecologi, psicologici, esperti di anti terrorismo e tanto altro già sapevano che Silvia Romano si sarebbe sposata con uno dei rapitori, che è incinta, che è stato pagato un riscatto di cui conoscono perfettamente la cifra.

Ovviamente la maggior parte di queste «notizie» è stata smentita dai fatti e la restante parte non è mai stata confermata da nessuno, ma per gli speedy gonzales della tastiera e dei misteri più reconditi dell’universo questo non importa. Se quel che sostengono loro non è vero è la verità che è sbagliata.

Vengono definiti haters, odiatori, ma probabilmente non è la denominazione adatta. Tralasciando la ripetizione dello stesso film ad ogni occasione, dimostrazione che come pecore belano tutti quanto capi branco e padroncini latrano, colpisce che quest’indignazione a comando, questa improvvisa voglia di esprimersi e indagare, scrutare, non accontentarsi di poche scarne notizie, di voler essere alternativi a quel che la televisione e i giornali riportano in tante altre occasioni evapora come neve al sole. E quando qualcuno non obbedisce al codice dell’omertà, al silenzio ipocrita e interessato del paese sporco diventano addirittura difensori del peggio del peggio, tutti allineati e coperti.

Come ha ricordato in questi giorni Alberto Negri determinate organizzazioni, e anche di più criminali, sono decenni che l’Italia, l’Europa e l’Occidente tutto le finanziano, alimentano e supportano: dall’Afghanistan ancora sovietica alla Siria passando per Libia, la Somalia, Arabia e tantissimi altri luoghi le armi le comprano da occidentali, altre arrivano in maniera più o meno clandestina, si fanno affari con i banditi più diversi e anche Stati e l’elenco delle complicità nella nascita e rafforzamento da Al Qaeda all’Isis occuperebbe più di qualche libro. Ma su tutto questo silenzio o quasi, le bombe italiane che massacrano in Yemen, l’arsenale sequestrato anni fa (e che una sentenza di tribunale aveva stabilito dovesse essere distrutto) le cui armi sono finite in mano a terroristi in Libia e Siria non hanno sollevato nessuna grande indignazione, silenzio assoluto sul supporto alle mafie libiche che sfruttano la disperazione dei migranti, li torturano e rinchiudono nei lager più disumani, gli affari tra l’Africa del Nord, Malta e l’Italia tra funzionari pubblici più o meno infedeli, mafie e organizzazioni terroristiche stessa sorte.

Trattativa? Ricorda nulla questa parola? Perché di trattative la storia repubblicana italiana è piena, di occasioni in cui indignarsi e sollevarsi ne abbiamo avute tantissime. Eppure minimizzano, negano anche davanti a sentenze fino ad arrivare ad affermare che con la mafia è stato giusto trattare (un ministro aveva anche detto che con le mafie si deve convivere) per evitare nuove stragi. E di trattative ne abbiamo avute tante, in Campania lo Stato si è piegato e ha ceduto davanti la camorra nella gestione dei rifiuti avvelenando e distruggendo un territorio e condannando a morte migliaia di cittadini, anche bambini in tenera età. Ma le orde sono rimaste mute, silenti, obbedienti, addirittura difendendo i protagonisti di quella vergognosa stagione.

«In quei mesi del 2003, quando (tanto per cambiare) si cercavano affannosamente fosse e buchi nei quali depositare i rifiuti che si accumulavano nelle strade napoletane, che gli uomini dello Stato incontrarono la camorra», in una riunione ufficiale uomini delle istituzioni  «scesero a patti con un gruppetto di imprenditori in odor di mafia che quei buchi avevano disponibili» denunciò nel 2011 Rosaria Capacchione su Il Mattino.  Anni «di spartizione, di spesa allegra, un eldorado di spreco e inefficienza» e «delle balle stoccate a milioni, della buca di Cipriano Chianese, degli incontri mai smentiti con i servizi, dei consorzi a perdere» riprendendo un passaggio de libro «La Peste» di Nello Trocchia e Tommaso Sodano e un post facebook del primo. Quella stagione è passata quasi nell’impunità (Chianese è uno dei pochi condannato ad una pena pesante) mentre un altro protagonista (da sottolineare che è passato indenne e senza mai aver avuto contestazioni penali o civili) ha ricevuto uno degli incarichi più importanti nella gestione dell’attuale emergenza. Ma le orde sono rimaste in silenzio, tranne pochissime voci nessuna ha detto mezza sillaba in queste settimane, nessuno ha fatto fumare le tastiere.

E ancor meno si sono mai chiesti quanto sono costati quegli anni alla collettività, perché abbiamo dovuto pagare un altissimo tributo (anche di vite) e continueremo a farlo ancora per chissà quanti anni. Così come per la più grande produttrice in Europa di diossina e tumori, così come per le tante gestioni dissennate e scriteriate del servizio idrico. E l’elenco potrebbe continuare forse all’infinito. E in ogni caso, dagli opinionisti à la carta alle orde social il comportamento è diametralmente opposto a quello di questi giorni con Silvia Romano.

Il costo dell'obbedienza al profitto di grandi industriali chi lo paga? Quello della sanità pubblica distrutta per voti, mazzette e prebende varie? Quello di evasione, corruzione e mafie? Quello di territori avvelenati? Nessuno di questi ricatti, che ci hanno anche gettato nella drammatica emergenza di queste settimane, hanno scatenato gli sciacalli che si sono scagliati contro Silvia Romano. Capaci in alcuni casi anche di difendere i criminali autori. Domande indignate invece non pervenute. Gli 80.000 italiani che ogni anno si recano (a proposito di frontiere aperte) nel sud est asiatico, o nella stessa porzione d’Africa dove Silvia Romano svolgeva la sua attività umanitaria ed è stata poi rapita, per turismo sessuale anche se non soprattutto pedofilo non suscitano nulla di nulla tranne pochissime voci isolate. I milioni di italiani che ogni settimana alimentano la schiavitù sessuale sulle strade italiane, che sfruttano migliaia di braccianti agricoli, che picchiano e violentano mogli, fidanzate, figlie e altre donne al massimo vengono ricordate un giorno all’anno.

E se il violentatore è un notabile della società, è un potente o comunque viene considerato «uno di loro» le orde si scatenano. Ma contro i vestiti della vittima, i suoi orari, le sue abitudini (vere o quasi sempre inventate) e così via. L’elenco potrebbe continuare ancora per pagine e pagine. Ma il dato fondamentale è chiaro: non sono solo haters, odiatori, persone che ogni tanto si sentono in dovere di ricordarci che esistono, sono vigliacchi, servi, complici del peggio del peggio del paese sporco. Solo un’ultima annotazione: anche in questi giorni abbiamo capito che «prima gli italiani» non comprende «prima l’italiano».