Come si vive al tempo del Coronavirus, la testimonianza

da VERONA. «Stiamo tutti aspettando. E non sappiamo cosa possiamo aspettarci. Perciò, amico mio, dico anche a te quello che rispondo a Prugna quando mi guarda con quell’espressione di stupore e malinconia: dobbiamo stare a casa, non c’è altro da fare. Solo così possiamo veramente partecipare a fare in modo che arrivi ciò che stiamo tutti aspettando».

Come si vive al tempo del Coronavirus, la testimonianza

Oggi mi ha mandato una lettera Francesco da Verona, una lettera che dovete leggere per capire "Come si vive al tempo del Coronavirus dalle mie parti"

 

Caro amico, ti scrivo.

Cominciava così una delle canzoni più belle di Lucio Dalla e mi sembra un bel modo di iniziare una missiva amichevole e seria come quella che mi hai richiesto. Sono chiuso dentro casa da quasi due settimane, da quando abbiamo deciso di chiudere il poliambulatorio medico di mio padre che aiuto a gestire. In realtà stiamo gestendo qualche urgenza ma in sostanza abbiamo chiuso.

Lo abbiamo fatto appena è uscito il primo decreto legge che ha tolto in noi i dubbi sul fatto che si trattasse di una faccenda molto più seria di quello che si pensava all’inizio. Sì perché tutti noi, medici che lavorano con noi inclusi, all’inizio non avevamo capito molto. Pensavamo fosse un eccesso di preoccupazione. E invece....

Abbiamo deciso che dovevamo difendere le persone: pazienti, medici, personale interno della nostra struttura privata. Da noi si fanno visite specialistiche di tanti tipi, anche odontoiatriche, ma non sono urgenti come quelle degli ospedali.

Molti dei nostri medici, fra l’altro, sono ora impegnati proprio in Ospedale. Alcuni di loro, percependo il pericolo, si sono allontanati da consorte e figli per preservarne la salute, riducendosi in solitudine. Vanno a prestare servizio e poi si chiudono in casa da soli. La loro è una duplice resistenza in questo momento. Abbiamo deciso che dovevamo assolutamente aiutare a non creare occasioni di contagio. E così abbiamo fatto.

Verona è una città molto forte. Ha dimensioni ancora provinciali rispetto alle grandi città italiane, ma è operosa e viva. È ricca di arte, cultura, aziende prosperose ed importanti, una fiera ormai famosa nel mondo intero. È diventata la città mondiale del vino grazie proprio alla fiera del Vinitaly. Non bastava l’Arena, Giulietta e Romeo e il Pandoro. Amarone, Ripasso, Valpolicella...

Verona ormai è fra le città turistiche importanti della nostra penisola; c’è sempre gente che gira tutto l’anno anche in periodi non propriamente turistici. Ora è completamente ferma, vuota, silenziosa. Sono sensazioni assolutamente inimmaginabili fino a soltanto pochi giorni fà.

Io vivo in un quartiere meraviglioso perché è nella zona a nord della città, subito a ridosso delle colline. È un quartiere tranquillo, pieno di verde e molto silenzioso normalmente, soprattutto la sera. D’estate ho la fortuna che non mi serve l’aria condizionata perché, dalle colline, scende una brezza fresca naturale e lasciando le finestre aperte, pensa che devo dormire coprendomi anche nel periodo più caldo ed afoso. Qui a Verona è una brezza famosa “la bavesela di Avesa” così come è chiamata in dialetto locale. Avesa è il paesino che ho qui dietro a pochi passi. E sono in città però.

Sono anche a 300 metri in linea d’aria dall’ingresso dell’Ospedale Civile di Verona. Sì, esatto. Sono a 300 metri dalla trincea ma non sembra. È così stranamente tranquillo e silenzioso qui finché ti scrivo. Ho sempre dichiarato a tutti che mi sento molto fortunato a vivere qui. Ma adesso... È cambiato tutto anche se da qui, dalla mia finestra non sembra cambiato nulla.

La città vuota l’ho vista, ma sui social soprattutto. Non vado in giro, porto solo fuori la mia cagnolona 3 o 4 volte al giorno per i suoi bisogni. Pochi minuti, quelli necessari, poi rientriamo. Sfrutto queste uscite per portare fuori la spazzatura. Tanti scherzano sui social anche su queste piccole inevitabili uscite, ma sinceramente anche se sorrido volentieri alle battute, non ci trovo niente di cui sorridere.

Le poche persone che incrocio in queste fugaci evasioni, sono le solite di sempre: qui in quartiere quelli di noi che hanno cani ormai si conoscono tutti, almeno di vista. È anche questa un’abitudine di relazione sociale, che in questo periodo si è quasi spenta. Ci si saluta da distanti. I nostri cani fanno espressioni perplesse, o almeno sembra a me. Di solito possono annusarsi e scambiarsi anche loro qualche gesto sociale. Ora no, l’ordinanza parla chiaro anche se loro, i cani, non l’hanno potuta leggere.

Vedo perplessità nell’espressione di Prugna, si chiama così quella che considero essere mia figlia, dopo quasi 11 anni di vita insieme. Mi guarda con quei suoi occhioni e io ci vedo una domanda riflessa. Ecco io credo di capire cosa mi sta chiedendo, ma il fatto è che non so come risponderle. Sì perché io non lo so quando finirà questa emergenza epocale che ci sta sconvolgendo la vita!

Ed il parlare con i medici per lavoro in questi giorni, amico mio, non mi è di nessun conforto. L’unica certezza che ho chiara è che il problema non lo aveva capito nessuno in tempo. E così, queste giornate surreali, si accendono e si spengono con le notizie dei nuovi infetti, dei morti, maledizione quanti, e questo mette in secondo piano il numero di chi invece è guarito.

Stiamo tutti aspettando. E non sappiamo cosa possiamo aspettarci. Perciò, amico mio, dico anche a te quello che rispondo a Prugna quando mi guarda con quell’espressione di stupore e malinconia: dobbiamo stare a casa, non c’è altro da fare. Solo così possiamo veramente partecipare a fare in modo che arrivi ciò che stiamo tutti aspettando.

Fra me e me, come ti dicevo anche al telefono, penso che sarà molto dura ripartire. Ci saranno mille difficoltà per tutti. Ma probabilmente ci saranno anche novità e nuove opportunità, come la storia delle grandi crisi ci insegna.

E sai anche cosa mi capita di pensare amico mio? Penso che stiamo imparando una lezione importante e che se manteniamo forza e coraggio, questo insegnamento ci sarà molto utile in futuro. Avremo tante necessità e bisogni nei prossimi mesi, ma se proviamo ad imparare la lezione, forse potremo anche migliorare moltissimi aspetti della nostra vita.

Penso ai miei familiari, a quelli più giovani o ancora bambini e spero. Spero che tutta questa angosciante situazione possa diventare a breve una chiave importante per regalare qualcosa di positivo a loro che hanno una lunga vita davanti. E dunque è così che penso anche a te, che sei un papà e che guardi i tuoi figli crescere.

Sono certo che quando parleremo dei nostri progetti di lavoro, questi pensieri ci guideranno ad individuare il vero scopo ultimo per cui ci mettiamo così tanto impegno in ciò che facciamo con passione.

Ho scritto di getto e tutto d’un fiato.

Ciao Antonio. Sono e resto a casa. Passo e chiudo da Verona.

Francesco Zemella