Carceri, un sistema da cambiare?

INTERVISTA. Continua il nostro viaggio per raccontare le condizioni delle carceri italiane. Secondo la segretaria della FP Cgil Abruzzo e Molise, Paolo Puglielli: «Per noi le carceri sono un luogo dove i detenuti dovrebbero essere riabilitati. Ma, ovviamente con le dovute eccezioni, sono diventati luoghi di contenzione delle persone.

Carceri, un sistema da cambiare?
Foto di Falkenpost da Pixabay

«La situazione degli istituti penitenziari, già precedentemente all’emergenza Covid, era quella che avevamo ripetutamente segnalato: carenza di organici e strutture obsolete e carenti. Abbiamo fatto varie visite ispettive sul territorio, a Pescara ho partecipato anche io, e la condizione è molto pesante dal punto di vista umano, sicuramente per i lavoratori, ma anche per il resto della popolazione penitenziaria».

Continua il nostro viaggio per raccontare le condizioni delle carceri italiane. Una situazione drammatica, aggravata in questi ultimi mesi dall’emergenza globale che sta mettendo a dura prova le persone che vivono e lavorano nelle strutture penitenziarie.

 

Abbiamo contattato la segretaria generale della Funzione Pubblica Cgil Abruzzo e Molise, Paola Puglielli, per comprendere meglio le problematiche di questi ultimi giorni. «Le carceri, che riuniscono diverse persone, sono esposte al contagio. Ci sono stati i primi episodi che hanno portato all’interruzione delle visite. Poi ci sono state le rivolte che hanno interessato anche il nostro territorio regionale. L’amministrazione penitenziaria, finita l’emergenza, dovrà chiarire e spiegare come è stato possibile che ci siano stati dei morti. Con il passare del tempo abbiamo cominciato a chiedere, in quella situazione critica, se fossero state poste in essere quelle misure anche a tutela dei lavoratori. Il primo problema segnalato è stata la carenza dei dispositivi. Ci sono stati i casi di contagio e noi stiamo chiedendo che ci siano azioni ulteriori a tutela dei lavoratori, come la possibilità di effettuare tamponi agli operatori».

 

Oggi esiste anche il problema del sovraffollamento. Come si può risolvere?

«Dove c’è un benessere per l’utente può esserci un benessere per i lavoratori. Per noi le carceri sono un luogo dove i detenuti dovrebbero essere riabilitati. Ma, ovviamente con le dovute eccezioni, sono diventati luoghi di contenzione delle persone. Abbiamo avuto anche richiami a livello europeo e non si può pensare      

che questa condizione di degrado possa continuare. Bisogna fare un investimento anche in termini di edilizia. Ho visto la disperazione nei volti di detenuti, spesso ragazzi tossicodipendenti. E parlo anche di persone malate di mente lasciate sole, nella loro disperazione. I malati psichiatrici hanno bisogno di una modalità di servizio diversa».

 

Ma in questa fase emergenziale per tamponare la situazione cosa bisognerebbe fare?

«Bisognerebbe dar corso all’esecuzione penale esterna, ma questo presuppone un investimento da parte dello Stato. Parliamo di assistenti sociali, personale che segue a domicilio. Un’idea di vigilanza nuova, più moderna e anche più adeguata secondo la tipologia dei detenuti. Non tutti sono uguali. Basterebbe leggere la relazione del garante dei detenuti, Mauro Palma, per capire di cosa parliamo».

 

Dopo le rivolte si è aperto un dibattito. Lo Stato, secondo il parere di molti, ha ceduto alle azioni violente e alle richieste dei detenuti, orchestrate dalla criminalità. Lei cosa ne pensa?

«Sono per il principio di legalità, laddove si sbaglia si deve restituire qualcosa. Ma per me un faro di riferimento è il codice di procedura penale per i minori. È vero, se hai sbagliato devi restituire ciò che hai tolto ad una collettività. Una vita ha sempre un valore, ma queste persone devono avere la possibilità di andare oltre, altrimenti avremo sempre qualcuno che ritorna a delinquere perché non ha una via d’uscita. Lo Stato deve garantire servizi pubblici, deve dare opportunità alle persone, deve garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori».

 

È garantita quella degli agenti penitenziari?

«Abbiamo un altro problema, speculare a tutto il settore del pubblico impiego».

 

Quale?

«Abbiamo un’età media degli operatori molto alta. Abbiamo sessantenni che fanno servizi in reparti complicati. In questo contesto valgono le stesse criticità e le stesse soluzioni possibili che valgono per altri contesti, come ad esempio quello dell’ospedale. La carenza di personale non è un fatto che è nato oggi. Ora tutti applaudono dai balconi, ma noi lo diciamo da anni che è stato depauperato un servizio sanitario pubblico. Sono anni che sta succedendo questo, a vantaggio di una sanità privata».

 

Quindi cosa fare per migliorare il sistema carcerario?

«Potenziare gli organici, interventi alle strutture, agli arredi. Se uno non lo vede non crede cosa ci sta all’interno delle carceri. È ovvio che la politica deve dare una risposta seria. Non tutti i luoghi sono uguali tra loro, questo significa che dipende dalla gestione di ogni singolo carcere. Bisogna investire. Nell’immediato occorre pensare alla sicurezza per gli operatori, non escludendo la possibilità di impiegare i tamponi. Dobbiamo evitare la diffusione del contagio».   

 

      

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