Il rivoluzionario contro la borghesia mafiosa e l’ipocrisia delle memorie morte

SPECIALE Peppino Impastato. Il 9 maggio è il giorno dell’anniversario dell’assassinio, inflazionato e saccheggiato nell’epoca dei social e della retorica veloce. Impazzano le immagini, le frasi ad effetto, la corsa a dare cenni di vita. Mentre il resto dell’anno, parafrasando Guccini, l’ignoranza (dei fatti) fa paura e il silenzio è uguale a morte.

Il rivoluzionario contro la borghesia mafiosa e l’ipocrisia delle memorie morte
Elaborazione grafica di Alessio Di Florio

«Chi se ne frega del piccolo siciliano di provincia? Ma chi se ne fotte di questo Peppino Impastato? Adesso fate una cosa: spegnetela questa radio, voltatevi pure dall'altra parte, tanto si sa come vanno a finire queste cose, si sa che niente può cambiare. Voi avete dalla vostra la forza del buonsenso, quella che non aveva Peppino. Domani ci saranno i funerali: voi non andateci, lasciamolo solo. E diciamolo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo. Ma non perché ci fa paura: perché ci dà sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace! Noi siamo la mafia! E tu Peppino non sei stato altro che un povero illuso! Tu sei stato un ingenuo, sei stato un nuddu miscato cu niente». Questo monologo a Radio Aut la notte dell’assassinio di Peppino Impastato è una delle ultime scene di «I Cento Passi».

Salvo Vitale, compagno di Peppino e colui che nel film pronuncia quel monologo, ha chiarito da molti anni che quel discorso non ci fu e il vero monologo era diverso e pronunciato successivamente. Ma, al di là delle differenze tra i fatti accaduti e un copione cinematografico, queste frasi dovrebbero far riflettere e raccontano tanto di quegli anni e dei nostri. Perché la corsa agli anniversari, alle sparate ad effetto, alle cerimonie che affogano nella retorica più di Venezia durante l’acqua alta, è sempre frenetica. Un giorno. Per poi durante tutto il resto dell’anno improvvisamente non sapere nulla, ignorare i fatti, far finta che non esistono, che è sempre andato, va e andrà tutto bene, che la mafia non esiste più o comunque è lontana, che siamo circondati da onesti lavoratori, bravi politici, imprenditori caritatevoli e benevoli.

Si deve ripartire dopo l’emergenza coronavirus stimolando l’economia? E allora via i vincoli idrogeologici, le tutele ambientali, i controlli anti corruzione, il codice anti mafia. Via tutto! Ci vuole sviluppo e l’impresa deve lavorare. La povertà rischia di aumentare, ci saranno sempre meno soldi nel sistema economico e la salute non viene tutelata abbastanza? Benissimo, continuiamo a foraggiare gli amici, agli amici degli amici e gli amici degli amici degli amici, accordi a tre zeri con le cliniche private per ogni posto letto, fondi perduti e con scarsi se non nulli controlli a grandi imprese, alta borghesia e multinazionali. E i poveri? Non sia mai, scandalo e orrore anche al solo pensare che i super ricchi con il loro patrimonio devono sostenere i bilanci statali (le tasse al massimo si aumentano ad ultimi e penultimi come accade costantemente dall’inizio degli anni settanta), il salario di chi è sfruttato nei campi non si deve aumentare perché deprime l’economia e fa scappare gli investitori stranieri (ma non si era patrioti e sovranisti, padroni a casa?), aumentare le tutele per la salute e la sicurezza degli operai e nuovi paletti per le grandi industrie sarebbe solo eccessiva burocrazia, siamo impazziti a dare pensieri a questi poveri, fragili, bravi, benevoli super industriali.

Parafrasando Vita Mafiopolitana, una delle puntate di Onda Pazza, hanno già troppi impegni, pensieri, loro fanno il bene di tutti e pensano agli altri. Non esiste che si creino nuovi grattacapi e non è assolutamente vero che dilagano corruzione, mazzette, disastri ambientali, mafie. Sono tutte invenzioni di certa stampa per vendere copie, dei magistrati che vogliono fare carriera e del loro giro di amici.

Parlare di mafia in televisione, far intervenire chi ogni giorno è impegnato in prima linea? Ma quando mai? In tv e sui giornali devono impazzare giornalisti impiegati al servizio del potente di turno, sofisti che negano la terra dei fuochi, scribacchini in servizio permanente che negano anche fatti acclarati e sentenze come quella sulla trattativa Stato-mafia, imprenditori condannati per i reati più pesanti. È un’esagerazione tutto questo?

No, è solo amaro sarcasmo su quel che ci circonda, su quello che ogni giorno vediamo sui grandi palcoscenici e nella nostra misera vita quotidiana. Il 9 maggio 2020 sono anche due anni che lo Stato italiano (sono passati tre governi e tre ministri dell’interno e la quasi totalità dei partiti presenti in parlamento) nega la tutela della scorta ad Antonio Ingroia.

La sua storia e il suo servizio alle istituzioni è conosciuto e palese ma come ben sappiamo per i salotti buoni lui va isolato, delegittimato, disprezzato. Alcuni oggi lo ricorderanno sui social con l’hashtag #ridatelascortaadIngroia. Quanti post gli abruzzesi stanno condividendo sulla sanità lombarda o quel che accade ovunque nel mondo, indignandosi per quel che accade ad una latitudine o l’altra del globo terracqueo? Tanti, tantissimi. Quanti si sono accorti che alcune settimane fa, come abbiamo raccontato nei nostri precedenti articoli, che ci sono luoghi come Rancitelli dove è tornato ad avanzare il disprezzo dell’interesse collettivo e la violenta prepotenza? Quanti si sono accorti che anche a Casalbordino l’ennesimo esponente della solita famiglia è stato scoperto spacciare durante il lockdown? Li conoscono tutti, tutti sanno che spacciano stupefacenti, prestano a strozzo, sono pieni di soldi sporchi, impongono a furia di pestaggi e violenze la loro presenza pubblica. Ma tutti fanno finta di ignorare, non sapere, girano la testa dall’altra parte.

Anche in questa settimana ci sono state operazioni delle forze dell’ordine (a Vasto e Avezzano e nelle scorse ore a Chieti) che hanno fermato gravi drammi familiari, genitori picchiati da figli che chiedevano soldi per comprare droga. Interesse? Zero. Il tempo andava perso tra giochini stupidi per bambini deficienti sui social o nelle fesserie più assurde… l’elenco potrebbe continuare, a pochi passi da qui un imprenditore continua, nonostante le promesse di enti pubblici, commissari e consorzio, a lucrare sui rifiuti, a gestire una discarica dove prendono fuoco da soli rifiuti coperti da teli ignifughi e gran parte è stoccato irregolarmente e da provenienze non autorizzate.

Il 9 aprile è il giorno di Peppino Impastato, pochi giorni dopo l’anniversario della morte di Roberto Mancini. Lo abbiamo ricordato in vari articoli, intervistando una giornalista d’inchiesta vera, che vive sul campo, si documenta, studia e denuncia come Amalia De Simone e il magistrato anti camorra Catello Maresca, scortato da dodici anni per le sue coraggiose inchieste contro i casalesi che hanno portato all’arresto di boss come Zagaria. Ma non essendo influencer, siccome non stanno tutto il giorno a discutere su instagram del nulla milioni di italiani probabilmente neanche li conoscono. «Siamo riusciti a rincorrere un uomo che prendeva il sole sulla spiaggia, a dare la caccia ad un anziano che passeggiava vicino al mare, a consumare carburante per alzare elicotteri alla ricerca di grigliate. Non riusciamo, da quando scrivo di questa orrenda fetenzia che è il crimine ambientale, più o meno 15 anni, a trovare e punire chi scarica nei nostri mari, chi rovina i fiumi, chi sputa sulla mia terra e non solo in quella.

E la risposta è semplice, l'impresa è intoccabile, la produzione anche quella inquinante è indispensabile perché muove l'economia, la accresce, la alimenta e l'ambiente è parola buona per la paginetta di programma elettorale, per il selfie con Greta, ma il nostro modello di sviluppo è tornato quello di sempre, famelico, consumista e predatorio. E ci piace assai. Una volta un pentito mi disse: Quei due imprenditori negli anni novanta scaricavano liquidi tossici nei tombini, aprivano e scaricavano direttamente dalla cisterna. Quando noi camorristi li vedevamo arrivare ci dicevamo attenti a quei due. Ora loro fanno ancora gli imprenditori e, secondo te, il camorrista sarei io?» ha scritto in questi giorni su facebook il giornalista d’inchiesta Nello Trocchia ed è un riassunto perfetto dell’ipocrisia di oggi, di ieri e purtroppo quasi certamente anche di domani condensando l’essenza dell’Italia che un giorno l’anno si butta freneticamente sul ricordo di Roberto Mancini, Peppino Impastato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e altri che non stavano seduti sul nulla ma hanno dedicato la vita a quanto di più alto e nobile sia possibile. Ormai un mese fa, lo abbiamo raccontato il giorno dell’anniversario della morte di Roberto Mancini, Nello ha pubblicamente denunciato che uno dei protagonisti del disastro rifiuti campano, di quello Stato che – come denunciò Rosaria Capacchione nel 2011 su Il Mattino – ha favorito e trattato con camorristi e imprenditori come Cipriano Chianese. Sono passate le settimane e un solo movimento politico, ignorato e boicottato praticamente da tutti, ha preso posizione, ben pochi della «grande stampa» ha scritto qualcosa e nessuno ha citato quei fatti che Nello Trocchia e Tommaso Sodano hanno documentato nel libro «La Peste» nel 2010. Sono passate le settimane e chi ha taciuto, omertoso e connivente, ha pure ipocritamente ricordato Roberto Mancini.

Gentaglia che si è amalgamata ben bene e per cui è finito tutto da un pezzo. E la giostra degli anniversari à la carte è sempre attiva. E risuona quel monologo de «I Cento Passi», degli ingenui illusi isolati in vita (per essere citati e stra citati da morti) perché la mafia in realtà dona sicurezza, piace alla brava gente, fa girare l’economia, risolve i problemi dei politici, porta voti. E l’anno scorso di questi tempi il sottoscritto che si indignava per le gesta del figlio di Totò u curtu era il cattivo da isolare, quello che non voleva capire che è solo un bravo ragazzo, aveva solo scontato dodici anni per mafia e continuava a raccontare che quella bestia che l’ha messo al mondo era un padre amorevole mentre lanciava hashtag sui narcos colombiani e tante altre cose simili.