La pena di morte istituzionalizzata: tra sTato e mafie

LA COMMEMORAZIONE. Il 3 settembre del 1982 il Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e sua moglie Emanuela Setti Carraro vengono trucidati a Palermo. La terza vittima: l'agente Domenico Russo. Chi condannò a morte il generale? Cosa è cambiato 41 anni dopo?

La pena di morte istituzionalizzata: tra sTato e mafie

«Qui è morta la speranza dei palermitani onesti». Parole profetiche. Dopo 41 anni dobbiamo assistere allo "show" messo in piedi dai "professioni dell'antimafia". Aveva capito tutto lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia. In questo mezzo secolo la situazione è peggiorata.

Oggi, come ieri, non esiste la volontà politica di sconfiggere le mafie. Furono promesse, dalla politica, garanzie a Dalla Chiesa, uomo tutto d'un pezzo, già Generale dei carabinieri (totalmente diverso dagli ufficiali moderni). Lui aveva sconfitto il terrorismo, con i suoi metodi. Non fece in tempo a dare quel colpo mortale a Cosa nostra. Venne lasciato solo senza poteri. Una vera e propria condanna a morte. Voluta e cercata. Un peso in meno per uno sTato corrotto. 

Chi decise la morte del Prefetto di Palermo?

E dopo 41 anni? Invece di fare quei passi in avanti necessari siamo tornati indietro. I mafiosi continuano a fare i mafiosi. Hanno, nel corso degli anni, invaso ogni settore possibile. Non solo in Italia ma nel resto del mondo. E poi, con questa antimafia inutile e parolaia, abbiamo visto crescere a dismisura il potere di coloro che puntano ad aumentare il proprio ego e i propri interessi. Soldi, potere, politica

Siamo bravi a costruire l'eroe di turno. E dopo qualche anno assistiamo increduli (restando a bocca aperta come tanti ebeti) alla rovinosa caduta. Lo abbiamo visto, ad esempio, con Helg, con Montante (ma nessuno parla del Sistema Montante), con tanti magistrati, giornalisti, politici implicati. Tutti insieme. Il sistema si è rafforzato. E gli onesti vengono minacciati e silenziati. O fai parte della "ditta" (e fai carriera) o fai la fine del tonno. 

Viviamo in un Paese zeppo di Sistemi. Da Montante (quanti ancora ne fanno parte?) a Palamara (quanti continuano a beneficiarne?). Ma non sono gli unici. I "professionisti" dell'antimafia parolaia sono tanti. Milioni di milioni. E sono attenti. Mai parlare di loro. Sanno tutto, controllano tutto, contattano tutti.

Però oggi, per poche ore, siamo tutti Carlo Alberto. Ogni "coglione di turno" - che rappresenta le Istituzioni malate di questo Paese sporco - sente il "dovere" di ricordare, con parole inutilmente di circostanza, la figura del Generale. Siete indegni, peggio di quei mafiosi assassini che dite di combattere. Avete usato le mafie per i vostri sporchi interessi. Avete parenti mafiosi. Respirate mafia tutti i giorni. Conoscete i segreti (poco segreti) di questo Paese e continuate a fare finta di nulla. 

Dopo 41 anni a Palermo due condannati per mafia hanno condotto la campagna elettorale per due eletti che, oggi, occupano i vertici del potere.

Dopo 41 anni ancora esiste un partito politico fondato da un condannato per concorso esterno. Lo stesso ha beneficiato di 30 milioni di euro, "regalati" da un ex presidente del consiglio. E nessuno ne parla. Tutto è normale nel Paese anormale. Anzi, chi ne parla viene tacciato di essere comunista. Che, fino a prova contraria, non è affatto un'offesa.   

E c'è ancora qualche inutile idiota che sostiene: dobbiamo essere garantisti.

Ecco il Paese che amate. Siete ridicoli. In questo Paese è necessaria una rivoluzione. Non servono le inutili parole, a cadenza annuale ("Non dimenticheremo..."; "Faremo..."; "Diremo..."), di coloro che vengono scelti per rappresentare indegnamente le nostre istituzioni. 

Ormai siete carta conosciuta. 

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Attilio Manca doveva morire. Provenzano verrà arrestato solo nel 2006 (in una masseria a Corleone). Uno show organizzato per dire alla massa: noi siamo contro la mafia e arrestiamo i mafiosi. Solo puttanate. 

https://www.wordnews.it/il-caso-manca

 

 

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