Strage di Ustica, i «tasselli mancanti» sono di Stato

Passato l’anniversario tutto torna nel porto delle nebbie, anche quest’anno il solito discorso retorico e nulla più. Le morti di Dettori e Marcucci e la radiazione con firma falsa di Pertini di Ciancarella attendono ancora uno Stato che sia Stato.

Strage di Ustica, i «tasselli mancanti» sono di Stato
fonte: Associazione Antimafie Rita Atria

Passata la festa gabbato lo santo, ammonisce la popolare saggezza. Passano gli anniversari, si superano le date cerchiate in rosso sul calendario e – parafrasando Guccini – si torna al punto di partenza. Anzi, non si parte e non si arriva, si rimane inchiodati come un’auto in piena bufera di neve. Ma la neve che inchioda non è meteorologica, non è la soffice coltre che copre in pieno inverno.

Ed è un inverno che non dura solo tre mesi sul calendario ma molti più mesi, anni, lustri, decenni. Fitta come il banco di nebbia più accecante possibile. Sono neve e nebbia che hanno nomi, cognomi, responsabilità ben precise.

E si chiamano trame, depistaggi, inazione complice di Stato. Ma arriva la festa e cominciano invocazioni a Dei lontani, riferimenti a quel che sembrerebbe una spectre calata da Urano. Nel Belpaese che fu in cui nessuno assume responsabilità e tutti scaricano su altri. E alla fine della giostra questi altri sono così lontani, così indefiniti che svaniscono in una nuvola. Rossa non come nella canzone di Faber ma di sangue, il sangue degli assassinati, il sangue delle vittime, il sangue di chi è stato sacrificato per moventi taciuti. Così come taciuta, omessa, calpestata, vilipesa, ferita è la verità.

E la giustizia, al di là di pennacchi e cerimonie, non è di casa. La strage di Ustica, 27 giugno 1980, è emblematica in tal senso. A partire dalle ore successive alla strage, passando per le morti successive, le persecuzioni di chi alla verità si è realmente avvicinato, di come è stata fatta fallire l’Itavia da un castello di menzogne e arroganza, prepotenza e complicità.

Così l’anno scorso abbiamo ricordato l’anniversario della strage di Ustica e commentato le retoriche dichiarazioni delle alte sfere dello Stato italiano. Sono parole che riproponiamo, integralmente, quest’anno perché un altro anniversario è andato e la musica – parafrasando ancora il Maestrone di Pavana – è finita. Torna il silenzio, non si parlerà più di Ustica fino al prossimo anniversario.

E chi attende verità, giustizia, uno Stato che sia Stato, rimane nel limbo del peggior porto delle nebbie.

Un porto alimentato in questi quarant’anni da trame, depistaggi, omissioni, di chi dovrebbe essere Stato. E che, mai come quest’anno, ha visto complici – accucciati alle verità di chi dei depistaggi e delle menzogne di Stato ha fatto una ragione di vita (omicidio Cucchi docet, giusto per ricordarne un altro) – per motivi squallidamente politici e di convenienza anche chi si è autonominato alfiere della «controinformazione». Una volta nobile parola per l’impegno indipendente, con la schiena dritta, coraggiosa, di chi la nebbia di regime la combatteva e documentava, denunciava, quel che questo «regime» e questo «golpe» (riprendendo coraggiose e corsare parole di Pasolini) vuol tenere nascosto.

Mentre, al contrario di altri anni, non abbiamo trovato traccia nelle agenzie di dichiarazioni e discorsi da parte delle presidenze delle camere del Parlamento e della Presidenza del Consiglio. Neanche di retorica e facciata interessa a lor signori una dei fatti più gravi della storia della Repubblica italiana? Troppo impegnati in ben altre faccende che purtroppo siamo costretti a sentire e sorbirci ogni giorno?

«Una completa verità non è stata pienamente raggiunta nelle sedi proprie e questo rappresenta ancora una ferita per la sensibilità dei cittadini. I risultati ottenuti spingono a non desistere, a ricercare i tasselli mancanti, a superare le contraddizioni e rispondere così al bisogno di verità e giustizia […]Quando avvenne la tragedia, una cappa oscurò circostanze e responsabilità. Fu difficile aprire varchi alla verità sulla strage; anche a causa di opacità e ambiguità».

(Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, 27 giugno 2023)

Quei «tasselli mancanti», quella «cappa» che oscurò «circostanze e responsabilità», le «opacità e ambiguità» sono di Stato. Non sono figlie del fato o di chissà quali oscuri dioscuri ma di chi nelle alte sfere ebbe determinati comportamenti. In questi tre anni abbiamo varie volte ricordato, in occasione degli anniversari e non solo, la vicenda della radiazione con firma falsa del presidente Pertini (e Le Iene accertarono fosse falsa anche la firma dell’allora ministro Spadolini) e delle morti di Sandro Marcucci e Mario Alberto Dettori rimaste senza verità e giustizia lo dimostrano.

Mario Ciancarella, capitano pilota dell’Aeronautica Militare, era diventato negli anni punto di riferimento del movimento democratico dei militari e referente delle rivelazioni «da tutta Italia delle vere o false ignobiltà che si compivano nel mondo militare», come scrisse l’Associazione Antimafie Rita Atria che da 25 anni (quando fu fondata) si è schierata al suo fianco. A Ciancarella si rivolse il maresciallo Mario Alberto Dettori, che era radarista a Poggio Ballone la notte della strage di Ustica, che gli disse «capitano siamo stati noi …», «capitano dopo questa puttanata del Mig libico», «siamo stati noi capitano, siamo stati noi a tirarlo giù», «ho paura, capitano, non posso dirle altro al telefono. Qui ci fanno la pelle». Tre settimane dopo, quando venne ritrovato il Mig 23 libico sui monti della Sila, Dettori richiamò Ciancarella, «mi disse che la storia del Mig era una puttanata – ricordò Ciancarella – poi mi diede tre spunti sui quali indagare: comandante, si guardi gli orari degli atterraggi dei jet militari la sera del 27 giugno, i missili a guida radar e quelli a testata inerte. Poi non lo sentii più».

Alberto Dettori fu trovato morto, impiccato, il 31 marzo 1987. Una morte liquidata all’epoca come suicidio e le indagini furono subito archiviate.  «Mio padre – ha ribadito durante la trasmissione televisiva Atlantide la figlia Barbara ormai tre anni fa – disse che l’Italia era arrivata ad un passo dalla guerra» e che la famiglia non ha mai creduto alla tesi del suicidio, sostenuta nella battaglia legale dall’Associazione Antimafie Rita Atria.

Passano gli anni e nessun governo, qualunque sia l’assetto della sua maggioranza, ha modificato minimamente il comportamento di fronte all’ingiustizia subita da Mario Ciancarella, come confermato dalla vertenza davanti al TAR di Firenze, e successivamente in Consiglio di Stato, per chiedere la dichiarazione di nullità del decreto di radiazione e quindi il reintegro. Secondo i giudici del TAR di Firenze il ricorso di Ciancarella sarebbe stato tardivo, in quanto doveva opporsi anche senza averne copia (e quindi senza sapere della falsificazione della firma di Pertini con quello che ne consegue) nel 1983 e, anzi, nella memoria presentata l’Avvocatura dello Stato sostenne addirittura che la firma di Pertini era irrilevante e sostanzialmente inutile.

Nella ricostruzione della notte della strage (portata avanti insieme con l’Associazione Antimafie Rita Atria), Mario Ciancarella ha sempre ribadito che – come disse in un’intervista radiofonica (forse l’unica occasione in cui una trasmissione gli ha dato voce per oltre un’ora)- si era delineato uno «scenario terribile davanti ai nostri occhi, scenario tragico che concerneva la responsabilità diretta, volontaria e premeditata delle nostre forze armate contro un aereo civile per attribuirne la responsabilità al mig di Gheddafi e per poter compiere da quel momento una destabilizzazione del regime libico … gli stati uniti hanno avuto il ruolo della costruzione dell’idea stessa di Ustica, che ha dovuto poi delegare all’Italia» per questioni interne agli USA di quegli anni.

A domanda diretta, dopo aver ricordato che all’epoca era Presidente del Consiglio Cossiga (che quindi non poteva non conoscere la verità di quella notte, così come il ministro della Difesa e almeno altre «quindici persone» nelle alte sfere militari), Ciancarella ha ribadito che l’abbattimento avvenne con un missile a testata inerte sparato da un f104 italiano. Di questi missili a testata inerte Priore ha fatto una ricerca scoprendo che erano stati acquistati due lotti: di uno si sa tutto mentre di un altro (6 missili) nessuno sa nulla. Il missile fu sparato da un velivolo sotto diretta determinazione del guidacaccia e in quel caso, al 99%, veniva eseguito da un velivolo statunitense in volo sull’isola della maddalena, da circa 14/15 miglia».

 

 

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