Dovere di non dimenticare e dovere di raccontare

GIORNATA DELLA MEMORIA. Il campo di concentramento Le Fraschette di Alatri entrò ufficialmente in funzione il 1° ottobre 1942 per perseguire, attraverso un massiccio trasferimento di popolazione, una "bonifica etnica".

Dovere di non dimenticare e dovere di raccontare

Oggi che il mondo della comunicazione dilava verso la serialità e, abbracciando la logica del consenso, oscura o trascura la Verità ritengo che ci sono temi che rappresentano l’esatta dimensione della statura professionale del cronista. Mi spiego.

Parlare del giorno della memoria al di là del riporto degli eventi e della cronaca storica espone chi scrive al dilemma di fermarsi al riporto diaristico dell’orrore dei fatti ovvero alla retorica della ricorrenza. Entrambe lasciano in disparte l’essenza dell’aver imparato per imparare la cui minimizzazione apre il varco all’indifferenza, fisiologico e naturale stato del “giorno dopo”. 

Ci sono persone e luoghi che esistono solo se li si ricerca. Vanno ricordati e subito non per celebrarli nella data del ricordo ma per imparare che esistono e che potrebbero essere sottratti alla memoria delle generazioni future perché scivolati nella palude dell’indifferenza. Vanno ricordati perché li si preservi dal degrado e consegnati alla Storia.

Le generazioni non sono mere successioni cronologiche di ascendenti e discendenti.

Sono rapporti umani in cui dovrebbe rigenerarsi il legame tra i tempi e tra le persone valorizzando la memoria storica. Mantenere viva la memoria è un antidoto contro la dislessia esistenziale e affettiva.

 I campi di concentramento – e vado a tema – più o meno vasti, in Italia e all’estero, sono stati tutti luoghi di orrore, concepiti come ambienti di sterminio. Tutti vanno ricordati perché tutti di pari disumanità.

15 milioni sono state le vittime dell’Olocausto di cui sei milioni ebrei. Sterminati tutti dopo essere stati internati nei vari campi di concentramento.  

Il campo di concentramento Le Fraschette di Alatri è un classico esempio di pagina di storia condannata alla perpetua distruzione dall’indifferenza politica, amministrativa e dei media.

Trovo inaudito che “questa storia” venga definitivamente annientata dall’oblio.

Il campo di concentramento Le Fraschette di Alatri entrò ufficialmente in funzione il 1° ottobre 1942 per perseguire, attraverso un massiccio trasferimento di popolazione, una "bonifica etnica".

Arrivò ad ospitare fino a 5500 internati, tra cui molti bambini ed anziani, i quali, vissero in condizioni disagiate a causa della carenza di cibo, medicinali e vestiario.

I primi ad arrivare furono gli anglo-maltesi residenti in Libia, poi iniziò il trasferimento di civili provenienti dalla Venezia Giulia, dalla Slovenia, dalla Dalmazia e dalla Croazia. A questi si aggiunsero alcune centinaia di confinati politici.

Gli internati arrivarono a Le Fraschette con le poche cose che erano riusciti a portare con sé, pochi bagagli a mano presi all’ultimo istante dalle proprie abitazioni durante le concitate fasi del rastrellamento effettuato dalla polizia militare italiana.

Subito dopo la fine della guerra, il Campo fu interamente ricostruito e venne utilizzato per l’internamento degli “stranieri indesiderabili”. Il governo italiano aveva disposto l’identificazione e l’internamento dei profughi “indesiderabili”: criminali di guerra, criminali comuni, collaborazionisti, ustascia, ecc. Tale fatto comportò che spesso si trovarono ad essere discriminati anche esuli istriani, stranieri senza documenti, rifugiati d’oltrecortina ai quali non era stato riconosciuto lo status di rifugiato politico.

Dagli anni ’60 inizia l’ultima parte della storia del Campo Le Fraschette. Una storia che è legata alla fine del colonialismo, quando nazioni come l’Egitto, la Tunisia e poi la Libia decretarono nazionalizzazioni ed espulsioni degli immigrati europei.

Questa sorte toccò, ovviamente, anche a molti nostri connazionali che vennero ospitati nel Centro Raccolta Profughi di Alatri.

Fu in questo periodo, infatti, che il Campo Le Fraschette entrò nella sua “terza fase”: i capannoni furono ristrutturati e resi più fruibili, pronti ad ospitare gli italiani che vennero rimpatriati, ad ondate, per un decennio almeno.

Chiuse ufficialmente con un decreto della Regione nel 1976 e da allora?

Sono stati organizzati convegni, mostre, pubblicati libri, presentati progetti che hanno finalmente portato nel 2008 l’allora Ministero per i Beni e le Attività Culturali a decretare ufficialmente l'interesse storico ed artistico dell'area...

...rinvio alle immagini il resto della storia.