«Il protocollo non basta. Abbiamo paura»

Parla un lavoratore della Fiat di Termoli: «Noi produciamo motori e cambi. Non sono prodotti di prima necessità. Che senso ha rischiare? Un manutentore è già stato colpito dal virus». I profitti sono più importanti della salute degli operai?

«Il protocollo non basta. Abbiamo paura»
Image by Anja Heidsiek from Pixabay

«Noi stiamo vivendo una situazione di una preoccupazione altissima. Noi produciamo motori e cambi e non prodotti di prima necessità. Se le concessionarie sono chiuse, se siamo in stato di crisi, se la gente è ferma, non riusciamo a capire perché, in uno stato di paura, noi dobbiamo continuare ad andare a lavorare». I lavoratori della Fiat di Termoli hanno paura. Lo ha confermato, in questa intervista,il rappresentante Rsu della Fiom, Angelo Masi. Ai sindacati e ai lavoratori non bastano le parole rassicuranti del Governo. Nemmeno i decreti e il protocollo, firmato la scorsa notte, hanno rassicurato gli operai.

 

Anche se in una nota la Fiom nazionale ha tenuto a puntualizzare che: «in assenza di provvedimenti specifici per i luoghi di lavoro da parte del Governo, il protocollo sottoscritto con Cgil, Cisl, Uil e le parti datoriali offre strumenti utili per la contrattazione di accordi necessari alla tutela della salute dei metalmeccanici; è necessario – spiega la segretaria generale Francesca Re David - programmare fermate, ridurre la produzione, mettere in sicurezza anche attraverso l’uso degli ammortizzatori sociali». Ma la mobilitazione continua «per sostenere anche con iniziative di sciopero il confronto per l’adozione delle misure adeguate in tutti i luoghi di lavoro. Le attività produttive possono proseguire, infatti, solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione». Quest’ultimo concetto, da giorni, è espresso dai lavoratori.  

 

Servono misure drastiche, continuano a ripetere. Per adesso il loro grido d’aiuto è rimasto inascoltato. Angelo Masi non è soltanto un rappresentante dei lavoratori, ma vive la fabbrica dall’interno. «Sinceramente non riesco a capire come mai l’azienda continui a lavorare in questa maniera, mettendo a rischio la salute delle persone. All’interno della fabbrica non riusciamo a spiegarcelo. L’ho detto anche al management: è da incoscienti far lavorare in queste condizioni. Non solo mettiamo a rischio la nostra vita, ma possiamo essere portatori di questo virus all’interno delle famiglie, dei nostri paesi. Questo è il parere comune dentro la fabbrica».  

 

Cosa le ha risposto il “management”?

«Chiaramente loro si attengono alle direttive che provengono da livelli superiori, quindi se arriva l’input che devono lavoro, loro comandano al lavoro. Qui è il punto: strategicamente non si riesce a capire questa volontà di far continuare a lavorare. Non riusciamo a capirlo. Sino ad oggi non avevamo pensato allo sciopero, ma visto che il decreto non parla di bloccare la produzione abbiamo deciso di fermarci. Le persone hanno aderito».

 

Voi siete in sciopero sino alle 6:00 di lunedì prossimo…

«Se la situazione continua ad andare avanti così noi continueremo a scioperare pure la settimana prossima».

 

Basta il Protocollo siglato dal Governo?

«Secondo noi non basta. Può essere un aiuto, ma non può essere finalizzato all’uso della mascherina e ai prodotti igienizzanti. La pulizia e la disinfestazione dovrebbero essere di normale routine, non per un’emergenza. In un turno abbiamo fatto 169 motori. Per questi motori si mettono a rischio 800-900 persone. Ecco la sproporzione a cui assistiamo».

 

Lei di cosa si occupa all’interno dell’azienda?

«Lavoro in manutenzione, al motore “16 valvole”. Adesso il motore “8 valvole” va in disuso, però le linee del montaggio sono ancora tutte lì. Quindi pur volendo recuperare il prodotto perso in una settimana si recupera. Il nostro è uno stabilimento altamente flessibile, sia come lavoratori e, nello stesso modo, sono flessibili le linee. Abbiamo di tutto e possiamo recuperare tutto. La preoccupazione più grande è che un manutentore è stato colpito da questo virus. Viviamo uno stato di paura».   

 

Cosa chiedono i suoi colleghi?

«Quello che mi sto chiedendo pure io: come mai la Fiat non si ferma?».

 

O non la fanno fermare?

«Ci sono cose più grandi di noi che non riusciamo a capire».

 

Tutti i lavoratori iscritti alla Fiom hanno aderito allo sciopero?

«Sì, anche chi non è iscritto alla mia sigla è in sciopero. Ci hanno chiesto di scioperare. Ripeto quello che ho detto al capo de personale: lo stabilimento può recuperare tutto quello che perde, fermiamo la produzione. Questo prima del decreto, per dare una garanzia ai lavoratori. Noi non vogliamo il conflitto, ma siamo stati costretti».

 

La distanza tra lavoratori è l’unico problema?

«I problemi sono due. All’interno della Fiat ci sono lavoratori che vengono da tutto il Molise, quindi è possibile immaginare cosa significa. Ci sono due ceppi molto importanti, quello di Montenero e quello di Ururi, dove i sindaci hanno preso provvedimenti, perché all’interno dei paesi ci sono numeri alti per quanto riguarda questo virus. Siccome vengono sia da Montenero e sia da Ururi potrebbero trasportare questo virus. Ma non è solo questo. Noi viaggiamo su pullman fatiscenti, che non sono messi in condizione. Se solo un consigliere regionale salisse su un pullman si renderebbe conto che cosa è il trasporto pubblico molisano. Se ci attenessimo alle regole noi sui pullman dovremmo viaggiare in dodici, per il rispetto della distanza».

 

Quante persone viaggiano sui pullman per raggiungere il posto di lavoro?

«Dalle 48 alle 50 persone».   

 

         

 

Per approfondimenti:

 

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