Punta Penna, indispensabile valutare l’effetto cumulo dei vari impianti

VASTO. La sentenza del TAR di Pescara sul progetto di un impianto per leganti idraulici riapre l’annosa questione della valutazione della qualità dell’aria e sulle valutazioni delle emissioni.

Punta Penna, indispensabile valutare l’effetto cumulo dei vari impianti
stralci della sentenza del TAR in cui si fa riferimento a necessità valutazione effetto cumulo

La sentenza del TAR di Pescara sul progetto per la produzione di leganti idraulici con la lavorazione di materie prime (clinker, calcare e gesso di cava) importate a Punta Penna, pubblicata lo scorso 2 luglio, analizza vari aspetti del progetto ma, in realtà, sono considerazioni che di fatto coinvolgono tutta la storia della zona di Vasto. Una disamina netta e tagliente dunque, che esprime considerazioni e valutazioni precise e decise e riapre l’annosa questione della qualità dell’aria e delle valutazioni degli impianti presenti e futuri.

Uno dei punti su cui il ricorso presentato da Legambiente e Wwf è stato accolto, bocciando il parere favorevole del settore Urbanistica del Comune di Vasto, è l’effetto cumulo con altri progetti e impianti. Il sindaco di Vasto Francesco Menna e l’assessore all’ambiente Paola Cianci hanno rivendicato, dopo la notizia della bocciatura del parere, la scelta di non essersi costituiti «a difesa del parere di procedura di V.Inc.A. espresso dall’ufficio tecnico».

Come già ricordato nel precedente articolo, nel comunicato stampa del 19 gennaio 2018, commentarono il rilascio del parere scrivendo che «nell’ambito del procedimento gli uffici comunali competenti hanno scrupolosamente verificato ogni elemento utile alla valutazione degli effetti dell’impianto sul vicino SIC» e che «non poteva avere esito differente atteso che sono state affrontate e risolte le criticità emerse nel corso dell’istruttoria». A pagina 22 della sentenza i giudici del TAR di Pescara scrivono che «la valutazione dell’effetto cumulo nella specie è stata del tutto pretermessa, come pacificamente riconosciuto dalla stessa società controinteressata, né sul punto possono trovare ingresso in questa sede le eccezioni svolte dagli enti intimati al fine di dimostrare, inammissibilmente, al di fuori della sede procedimentale propria, l’assenza di incidenza significativa sull’ambiente del progetto in argomento».

L’articolo 6 della direttiva europea 92/43 (nota come direttiva «habitat»), sottolinea il TAR, «evidenzia come un progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito possa avere tale incidenza “congiuntamente ad altri piani e progetti” e si debba valutare anche l’effetto di cumulo derivante dalla compresenza di più impianti all’interno di un’area» scrivono i giudici amministrativi che sottolineano «la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha proprio stigmatizzato la mancata presa in considerazione dell’effetto cumulativo, evidenziando che taluni singoli progetti, ove considerati congiuntamente ad altri, potrebbero avere un notevole impatto ambientale e pregiudicare l’integrità del sito d’interesse comunitario (cfr. CGCE, 13 dicembre 2007, Causa C-418/04)» e la Comissione Europea ha inoltre sottolineato come “una serie di singoli impatti ridotti può, nell’insieme produrre un impatto significativo”, evidenziando, altresì, che: “è importante notare che, l’intenzione alla base della disposizione sugli effetti congiunti è quella di tener conto degli impatti cumulativi che spesso si manifestano con il tempo. In questo contesto, si possono considerare piani o progetti che siano completati; approvati ma non completati; o non ancora proposti […] può essere opportuno considerare gli effetti di piani e progetti già completati. Anche se questi ultimi sono esclusi dall’obbligo di valutazione di cui all’articolo 6, paragrafo 3, è importante tenerne conto nella valutazione se essi hanno effetti continui sul sito e se si osserva una progressiva perdita di integrità del sito».

Sulla necessità della valutazione dell’effetto cumulo esiste ormai un’ampia giurisprudenza, alimentata da sentenze di vari Tribunali Amministrativi e del Consiglio di Stato: lo stesso TAR di Pescara, già nel 2018, si era espresso per il ricorso allora presentato dal Comune di Vasto contro l’autorizzazione rilasciata dalla Regione Abruzzo alla realizzazione ed esercizio di un impianto di ricerca e di sperimentazione per lo stoccaggio (R13) e recupero (R5) di rifiuti non pericolosi nel territorio del Comune di Vasto (sempre nella zona industriale di Punta Penna).

La sentenza, pubblicata il 12 aprile di due anni fa, riporta che tra le motivazioni del ricorso presentato dall’amministrazione comunale vastese c’erano l’assenza del parere del Comitato di Gestione della Riserva (su cui si è espresso, però stavolta contro un provvedimento comunale, anche la sentenza delle scorse settimane) e che non era « stata fatta alcuna valutazione cumulativa degli effetti di tutti gli impianti facenti capo allo stesso gruppo». A pagina 13 della sentenza i giudici scrivono che «l’effetto cumulo è stato del tutto pretermesso, considerando che l’impianto in argomento si colloca all’interno di una parte di un opificio industriale di circa 15.000 mq, che occupa una superficie complessiva di 29.000 m.q., già destinato al trattamento di rifiuti pericolosi, per cui l’autorizzazione impugnata comporta un ampliamento dell’attività produttiva rispetto a quella valutata in precedenza. Oltretutto gli stabilimenti in oggetto insistono in area già ampiamente antropizzata come riconosciuto dalle stesse parti intimate». La valutazione era, al contrario, dovuta per le stesse identiche motivazioni che ritroviamo nella sentenza pubblicata quest’anno sul ricorso di Legambiente e Wwf contro il parere favorevole alla Vinca rilasciata dal settore Urbanistica del Comune di Vasto.

La valutazione dell’effetto cumulo coinvolge soprattutto la questione della qualità dell’aria e delle emissioni in atmosfera. «Negli stessi giorni della sentenza, ancora una volta, sulla spiaggia di Punta Penna – tante volte declamata e orgogliosamente sbandierata dagli amministratori come cartolina della città – molte persone hanno lamentato cattivi odori – rende noto l’Arci - Non è accettabile che sono tanti anni che queste segnalazioni si ripetono, anche in documenti ufficiali come abbiamo riportato in un dossier del novembre 2017, quasi 3 anni, e chi di dovere non ha mai accertato in maniera documentata e incontrovertibile e netta cause e agito di conseguenza». Il presidente del sodalizio Lino Salvatorelli ricorda che «ci sono sentenze di tribunale chiare e precise anche sulla percezione di “cattivi odori”: la Corte di Cassazione  il 26 settembre 2012 ha emesso condanna per un impianto autorizzato alle emissioni e che non aveva superato i limiti tabellari di legge, il 5 maggio 2014 il TAR Veneto ha sentenziato che il cattivo odore anche se non è disciplinato in maniera specifica dal legislatore, è da considerarsi una forma di inquinamento atmosferico che può causare pesanti disagi per la qualità della vita e per l’ambiente».

Sono «cattivi odori» di cui ci sono segnalazioni, come abbiamo documentato lo scorso 28 marzo, da molti anni creando anche preoccupazioni e allarmi per la salute di residenti, lavoratori, operatori turistici e persone in vacanza.

Passano gli anni, si ripetono costantemente le segnalazioni e le proteste (e proposte) di ambientalisti, cittadini, comitati e movimenti, ma una parola chiara e netta sulla fonte di questi «cattivi odori» e su come farli cessare non c’è mai stata. «Nonostante innumerevoli segnalazioni ad enti e istituzioni varie di operatori economici, del Consorzio, di associazioni ambientaliste e cittadini una parola chiara e netta sulla fonte di questi «cattivi odori» e su come farli cessare non c’è mai stata» sottolinea Azione Civile, il movimento politico fondato dall'ex pm e oggi avvocato antimafia Antonio Ingroia che ricorda come «alcuni cittadini puntano il dito sulla zona industriale e un impianto in particolare ma, da parte soprattutto dell’amministrazione comunale, nulla è mai stato messo per iscritto e documentato. In assenza di tale documentazione ogni ipotesi resta campata in aria e ridotta ad un’illazione non verificata o poco più. E non devono essere associazioni e cittadini a vigilare e scoprire la fonte ma le istituzioni pubbliche. Come è possibile che gli anni passano, le segnalazioni si accumulano e chi di dovere non riesce a dare nessuna risposta e a non capire e documentare la fonte di puzze e “cattivi odori”? Eppure da troppi anni questo non accade e non si va oltre proclami, dichiarazioni, segnalazioni ad altri (in pieno stile not on my desk)».

L’anno scorso un’azione incisiva di monitoraggio della qualità dell’aria fu chiesta in un articolato documento da Italia Nostra del Vastese, Pro Loco Città del Vasto, Associazione Civica Porta Nuova e Vasto Libera. «Come è possibile che, nonostante ci sono atti regionali almeno dal 2007, siamo fermi alle intenzioni o poco più? – fu la domanda posta nelle stesse settimane da Azione Civile Abruzzo - Perché non è mai stata data attuazione alla delibera di Consiglio Comunale 126 del 4 novembre 2010 sulla Valutazione d’Impatto Sanitario? 13 mesi dopo con una nota scritta all’allora direttore generale dell’ARTA il Comune chiese, evidenziando le preoccupazioni della cittadinanza, un controllo continuo dell’aria da parte dell’Agenzia. Ad oggi lettera morta. Così come le numerose segnalazioni da parte di associazioni e comitati su fatti documentati e accertati negli anni, riassunti nel dossier “A Punta Penna tira una brutta aria» e «finora rimasto senza risposte».

«Comune e Regione passino a fatti concreti, sono troppi anni che sentiamo sempre le stesse parole e troppi anni che si ripetono sempre gli stessi conflitti. Sollevati, seguiti e studiati quasi sempre solo grazie all’incalzare e a documenti di associazioni e cittadini» scrive in un comunicato l’Arci che sottolinea «la sentenza del TAR è netta e lineare, basta inseguire progetti singoli e valutare in maniera spezzettata quanto accade: va valutato l’effetto cumulo di tutte le emissioni e di tutta l’area, nel suo complesso e considerando che una fonte potrebbe anche essere di moderato inquinamento ma insieme ad altre fonti il quadro può diventare molto più grave. Le motivazioni del TAR sono le stesse di una precedente sentenza dell’aprile 2018 e, incredibilmente, allora fu bocciata una valutazione ambientale regionale impugnata dal Comune di Vasto. Il Comune sia quindi coerente e non riparta ogni volta dalla casella di partenza: mai più queste situazioni, si tenga conto di quanto i giudici hanno scritto due anni fa e ci sia una svolta nell’azione amministrativa e politica».

Il dossier «A Punta Penna tira una brutta aria» fu pubblicato all’inizio del novembre di 3 anni fa da Arci, Italia Nostra, Wwf e altre associazioni: un articolato documento di 9 pagine nelle quali fu posta l’attenzione sulle ricchezze naturalistiche della Riserva Regione di Punta Aderci, la storia della Riserva stessa e dei conflitti scaturiti negli anni dalla coesistenza con la zona industriale senza interventi decisi e decisivi della «politica» e sul monitoraggio della qualità dell’aria e delle emissioni in atmosfera.

«Pochi gli interventi pubblici volti ad avere un quadro preciso della difficile convivenza tra un area protetta di gran pregio e l’Area industriale. L’assenza di elementi conoscitivi di base, come lo stato della qualità dell’aria, la tutela della salute dei cittadini e dei Beni ambientali, rischia di spingerci in basso nella graduatoria dei paesi progrediti – la forte critica nella premessa del dossier - Del resto avere una chiara visione conforme con la normativa vigente serve anche  agli operatori per uniformarsi ad un chiaro indirizzo pianificatorio in merito allo sviluppo dell’area industriale. Crediamo non sia normale assistere a sporadici interventi di monitoraggio, scattati in seguito a reiterate istanze di notizie circa disturbi alla salute di diversi cittadini, la cui causa prevalentemente consisteva nelle esalazioni moleste (ad esempio le campagne con i Mezzi Mobili di controllo della qualità dell’aria del Mario Negri Sud, gennaio-febbraio 2004,  dell’ARTA, settembre-ottobre 2005 e febbraio 2012). Interventi che comunque non hanno sortito alcun effetto chiarificatore circa le cause del preoccupante fenomeno».

"A nulla sono valsi i tanti esposti ed appelli di Associazioni, Comitati e piccoli Imprenditori – attaccano i sodalizi - che sollecitavano a più riprese "una tempestiva ed idonea azione di verifica e controllo" e riflettevano “… ma in presenza di così gravi problemi sanitari ed ambientali, per giunta noti da tempo, che originano molto probabilmente da emissioni, non diventa un obbligo per l’Autorità Sanitaria adottare un Atto di sospensione del realizzarsi di nuovi insediamenti produttivi …”  “… in ossequio almeno al Principio di Precauzione». Quel principio che, viene sottolineato nel documento, « è il principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali interessi sugli interessi economici”. Sentenza della Corte europea: (Trib. CE, Seconda Sezione ampliata, 26 novembre 2002, T-74/00 Artegodan)». Tra le proposte presentate nel dossier c’erano la necessità di una valutazione attenta delle emissioni e della qualità dell’aria, anche ai fini dell’effetto cumulo oggetto della sentenza di quest’anno, e di quella richiamata in quest’articolo di oltre due anni fa.

Le associazioni sottolineano l’urgenza e l’importanza di questi provvedimenti anche ricordano le segnalazioni di malori ed emissioni moleste da noi documentate nell’articolo dello scorso 28 marzo: «sono passati ormai quindici anni dalle prime segnalazioni di questa grave problematica, nel 2010 e 2011 Coniv (che gestisce il depuratore nella zona) scrisse - come documentiamo nelle immagini di quest'articolo - varie comunicazioni a diversi enti segnalando quanto stavano subendo gli operai (indicando almeno in un caso la provenienza dalla zona industriale)». Chiede una «cesura rispetto a questi incerti anni» Azione Civile e che «la politica, in primis il Comune, una volta per tutte la smetta con questa situazione e taglino con una cesura netta rispetto a questi incerti anni» e con «il piccolo cabotaggio, il cerchiobottismo e il tirare a campare».