25 aprile

Celebriamo anche nel 2024 la reticenza dello Stato italiano?

25 aprile


Celebrato come Festa della Liberazione o Anniversario della Resistenza in questo giorno è consacrata una pagina importante della storia d’Italia.

Il 25 aprile 1945 segnò la fine dell’occupazione nazista e, nel contempo, della dittatura fascista nonché la conclusione della Seconda Guerra Mondiale. La lotta per la libertà da riconquistarsi con il sangue di tanti innocenti era il presupposto per la costruzione di un nuovo ordine democratico nella ferma fede che gli italiani avessero rifiutato per sempre il regime fascista e, con esso, ogni forma di terrorismo, di violenza fisica o mentale, economica o sociale, profonde discriminazioni e incomprensibili disparità sociali.

Della Festa della Liberazione bisogna parlare senza la retorica della celebrazione. Del fascismo bisogna parlare esprimendo la ferma condanna. Ma essere antifascisti non significa non solo questo se non si fa Cultura antifascista, ciascuno per la propria parte, ovunque e sempre. Voglio oggi fare la mia parte ricordando che ancora oggi – e siamo nel 2024 – restano impuniti tanti crimini nazifascisti.

Dall’estate del 1943  il territorio nazionale divenne, come sappiamo, luogo di massacri contro uomini, donne, bambini “inermi”. Nei 20 mesi in cui si sviluppò la lotta resistenziale, gli occupanti tedeschi, spesso assistiti attivamente dai collaborazionisti fascisti – che non esitarono, in numerose occasioni, a rendersi protagonisti in modo autonomo dell'esercizio della brutalità – infierirono - al di là degli episodi noti – Fosse Ardeatine, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto-Monte Sole, etc. - nei confronti della popolazione, dei partigiani, dei soldati disarmati, delle minoranze religiose, degli ex prigionieri di guerra in mani italiane.

Le ragioni della violenza sono le più varie; le vittime, secondo l'analisi dettagliata che ha prodotto l'Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia – al quale si rimanda – furono più di 23.000 in circa 5.550 episodi, compresi nell'arco cronologico che va dal luglio 1943 al maggio 1945. L'Atlante è il prodotto di una ricerca voluta dall'ANPI e dall'INSMLI (Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia) e finanziata dal governo della Repubblica Federale Tedesca. È stato reso disponibile online il 7 aprile 2016.

I reparti responsabili appartenevano sia alle forze armate regolari del Reich (la Wehrmacht), sia alle SS, sia alle formazioni della RSI.

Oltre agli eccidi in Italia le violenze si perpetrarono ai danni dei militari italiani all'estero soprattutto nella fase immediatamente post-armistiziale, e quelle che hanno come vittime gli internati in Germania e nell'Europa orientale.

Tutti gli episodi di violenza, che avrebbero dovuto, nell'immediato dopoguerra, essere indagati dall'autorità giudiziaria al fine di giungere all'individuazione di presunti responsabili da sottoporre a processo, sono stati illecitamente tenuti nascosti, con i fascicoli d'indagine occultati nei locali della procura generale militare, a Roma.

Tali fascicoli, rinvenuti nel 1994, rappresentano uno dei più imponenti e gravi occultamenti avvenuti nella storia dell'Italia repubblicana. Le cause del loro nascondimento sono state oggetto di indagini da parte di una commissione interna alla magistratura militare e di una commissione parlamentare d'inchiesta, nonché di approfondite analisi da parte della storiografia. Secondo le teorie più accreditate, condivise peraltro dal Consiglio della magistratura militare (1999), dalla II Commissione Giustizia della Camera dei deputati (2001) e da parte della Commissione Parlamentare d'Inchiesta (quest'ultima ha concluso i suoi lavori, nel 2006, in modo non univoco, con una relazione di maggioranza e una di minoranza[1]), tali cause fanno riferimento a sostanziali ragioni politiche: nel mondo diviso della guerra fredda, inchieste e processi a criminali nazisti avrebbero “disturbato” una Repubblica Federale Tedesca in fase di ricostruzione materiale e politica, nonché baluardo del mondo occidentale. Inoltre, richieste italiane relative a criminali tedeschi avrebbero rinnovato le istanze di paesi terzi – Jugoslavia, Grecia, Albania, Francia, Urss, Etiopia, Libia – relative a criminali italiani, mai sottoposti a giudizio, né all'estero né in Italia, per gli eccidi e le violenze commessi nei territori d'occupazione dal 1935-36 al 1943 (e oltre, per ciò che riguarda i militi della RSI).

Dopo il 1994, e soprattutto dall'inizio degli anni 2000 presso la Procura Militare di La Spezia, sono state finalmente portate avanti le indagini e celebrati i processi – con gli imputati regolarmente contumaci – relativi ad alcuni degli eccidi più gravi avvenuti nell'Italia centro-settentrionale (le sentenze sono disponibili qui: http://www.straginazifasciste.it/?pageid=137). Nel 2013, presso il Tribunale Militare di Roma, è giunto a sentenza anche il procedimento relativo alla strage di Cefalonia.

Molti altri casi, però, non sono mai stati indagati, finendo frettolosamente archiviati, di nuovo, tra la metà e la fine degli anni Novanta del secolo scorso.

Il Governo tace nonostante il fondo istituito da Draghi, azzarda obiezioni contro i diritti di chi ha subito quei crimini: persiste la vergogna di Stato, subita dai parenti delle vittime delle stragi nazifasciste e oltraggiosa per tutti i cittadini.

 

[1] COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE CAUSE DELL’OCCULTAMENTO DI FASCICOLI RELATIVI A CRIMINI NAZIFASCISTI (istituita con legge 15 maggio 2003, n. 107)