Foggia, Bari, la ‘ndranghetizzazione e i livelli delle mafie pugliesi

TERZA PARTE. Un anno fa usciva il libro «Quarta mafia. La criminalità foggiana nel racconto di un magistrato sul fronte» scritto dal procuratore aggiunto di Foggia Antonio Laronga. Dopo l’ultimo attentato della società foggiana a Nettuno ripartiamo dal libro di Laronga e dal libro «La città spezzata» di Leonardo Palmisano per ripercorrere il nostro viaggio nelle mafie pugliesi.

Foggia, Bari, la ‘ndranghetizzazione e i livelli delle mafie pugliesi
Leonardo Palmisano, fonte: profilo facebook

Le mafie foggiane si stanno modellando con un processo di «’ndranghetizzazione» denunciò già due anni fa il sociologo Leonardo Palmisano, autore di importanti libri e inchieste sui sistemi criminali presenti in Italia, «la ‘ndrangheta è il modello organizzativo entrato nella testa dei mafiosi di Foggia e del Gargano. Un modello che si fonda su tre gambe: crimine, economia e politica».

Un’analisi confermata da vari fatti, a partire dall’operazione Decimabis, dalle relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia e dagli atti relativi allo scioglimento di 5 comuni negli ultimi anni. Ultimo in ordine di tempo quello di Foggia lo scorso 5 Agosto. L’operazione Decimabis, che segue la precedente Decima Azione di due anni prima, nel novembre 2020 ha disarticolato una cupola mafiosa che vedeva protagonisti i tre clan della «Società foggiana»

«Moretti-Pellegrino-Lanza, Sinesi-Francavilla e Trisciuoglio-Tolonese-Prencipe che – sottolineò in un comunicato la Polizia di Stato - con la forza dell’intimidazione e dell’assoggettamento, avevano controllato le attività economiche della zona, ai danni di commercianti e attività economiche». Dopo questa maxi operazione Palmisano sottolineò che «l’esistenza di un direttorio evidenzia il salto di qualità compiuto da questa organizzazione e ci porta indietro di decenni, quando Cosa Nostra siciliana,dominata dai sanguinari corleonesi di Riina, si impose come modello organizzativo per tutte le mafie.

A Foggia c’è una cupola, questo il dato più significativo, che allunga i suoi tentacoli dentro la tecnocrazia privilegiando il soffocamento dell’economia di prossimità con le bombe e con il racket, a vantaggio di una tendenza oligopolistica nell’economia cittadina ben rappresentata dalla turbativa d’asta, dalla corruzione, dall’incuria verso la cosa pubblica».

«Le mafie agiscono su tre livelli, il primo è quello di base che è rimasto tale ed è un livello microcriminale molto violento, quello del ragazzo che ha sparato dal balcone, quasi gangeristico. Rispetto a quando ero ragazzino non può più assurgere a livelli più alti, è molto difficile che una figura proveniente da quel livello possa salire al rango di capo o anche solo di medio livello. Le gerarchie mafiose si fondano sempre più su un consolidato sistema di relazioni sociali maturate nel territorio con altri pezzi di società.

È una dinamica meno visibile a Bari rispetto a Foggia, dove lo stesso procuratore nazionale Cafiero De Raho ha fatto riferimento ad una borghesia mafiosa, strato sociale intermedio tra le classi agiate e le classi popolari tutto sostanzialmente mafiosizzato e composto da professionisti, imprese, politici e amministratori pubblici e privati. Avviene anche a Bari ma in modo molto più oscuro, ci sono dei segnali e soprattutto nell’ingresso delle mafie nell’economia finanziaria e commerciale.

Quindi non può diventare un capo chi non ha maturato delle relazioni consolidate nel tempo, avvenuto soprattutto quando c’era il grande traffico di stupefacenti e prima di sigarette».

«Foggia è una città che ha un’aristocrazia di latifondo che è sostanzialmente improduttiva e ha bloccato lo sviluppo economico della città quando non si è sottoposta alla libera concorrenza preferendo una logica spartitoria tutta interna anche al clima politico del tempo. La mafia foggiana aveva investito nel calcio prima di altre, capendo che è un investimento col quale si acquista consenso.

È notizia degli anni scorsi che un calciatore giocava sostanzialmente perché imposto da un clan. È una mafia che non vuole produrre e muovere lo sviluppo economico della città, le bombe con cui colpisce hanno una doppia natura: da una parte sono vendette contro gli imprenditori che non pagano il pizzo o non accettano di sottostare alle regole del comando mafioso e quindi raccontano alla procura le estorsioni che ricevono, dall’altra procede come una macchina del terrore.

È  la sensazione che si ha per esempio quando si arriva a Candelaro dove non si percepisce l’amministrazione pubblica ma la presenza di un’amministrazione mafiosa. È  una mafia decide quali esercizi commerciali e quali imprese devono stare aperti e quali chiudere perché chi rimane aperto è in qualche maniera ubbidiente.

Tutto questo è stato favorito da un mancato investimento da parte dell’amministrazione pubblica per esempio nella crescita di apparati di welfare locale, sono pochissimi gli assistenti sociali, e secondo me anche da una sottovalutazione oggettiva della loro pericolosità da parte di organi inquirenti che per fortuna non è avvenuta anche negli ultimi anni.

La vera pericolosità sociale è nel dato che è la città dove si vive peggio in Italia probabilmente perché è la più densamente mafiosa forse in Europa. Alla mafia foggiana è stato consentito muoversi come voleva perché la città stessa non ha avuto una evoluzione, la città è passata da un forte potenziale economico tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta al sostanziale declino.

Arrivando in città si percepisce di essere dentro una città senza prospettive e dove al di là di piccole iniziative di carattere economico e culturale sostanzialmente si respinge qualsiasi elemento di novità proveniente dall’esterno che non abbia una grande visibilità televisiva come è tipico dei luoghi estremamente provinciali. L’evento culturale più apprezzato sono le partite del Foggia Calcio e questo la dice lunga sulla qualità del livello culturale della città.

La mafia vive dentro tutto questo, dove ci sono anche la politica, la massoneria, l’impresa. Sono le quattro gambe del tavolo foggiano che è fragile o meglio robusto solo fino ad un certo punto, non ci si possono servire le pietanze dello sviluppo economico importante.

Se arrivano fondi governativi, siamo nell’ordine di 20 milioni di euro, o per la ricostruzione per la ricostruzione quando usciremo dalla crisi sanitaria chi andrà a gestirli e come? Anche la classe mafiosa non è adeguata a produrre idee di sviluppo della città e quei fondi rischieranno di andare ancora una volta a perdersi all’interno dei mille rivoli di un sistema criminale che oggi è entrato nella gestione dei servizi e degli appalti pubblici senza produrre nulla di qualità rilevante, su queste gestioni siamo all’anno zero perché lì dentro ci sono pezzi della criminalità organizzata portati da pezzi della politica locale nati dentro il sistema criminale.

Sono dinamiche simili ad alcuni territori calabresi».

(Leonardo Palmisan, 25 aprile 2020)

 

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