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Le curve nere e le responsabilità delle istituzioni del calcio

by Alessio Di Florio
8 Giugno 2020
in Approfondimenti
Reading Time: 10 mins read
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Neonazismo, narcotraffico e mafie, un mix letale per lo sport che avanza nelle curve e in tutto il mondo del calcio. Le curve di Roma e Lazio da anni si insultano a vicenda utilizzando immagini di Anna Frank perché quando vogliono insultare la curva rivale non riescono ad andare oltre il più squallido anti-semitismo. Diabolik, uno dei capi della curva biancoceleste assassinato l’anno scorso, era considerato uno dei re del narcotraffico, inseriti nei circuiti del «mondo di mezzo» e del neofascismo capitolino. E al suo funerale giunsero ultras da tutta Italia, dall’Abruzzo per esempio furono segnalate presenze da Chieti.

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La stessa curva così apolitica ed apartitica da scendere ripetutamente in piazza con le tartarughe neofasciste mentre nell’autunno scorso una maxi operazione delle forze dell’ordine fece emergere al suo interno un imponente narcotraffico.

Daniele Piervincenzi ad Ostia subì una violenta testata mentre stava ponendo domande sull’appoggio degli Spada a Casa Pound. La situazione più eclatante degli ultimi anni è sicuramente quella juventina: una curva egemonizzata con violenza da capi e gruppi con simpatie neofasciste alleati e pesantemente infiltrati dalla ‘ndrangheta. Nelle inchieste di Report e della magistratura spiccano i contatti con dirigenti della società (Andrea Agnelli sarebbe stato anche squalificato anche se probabilmente nessuno se ne è accorto) e uno dei calciatori della squadra, Leonardo Bonucci. L’allora presidente bianconero Boniperti sottoscrisse un patto con la tifoseria imponendo di non compiere violenze e di attenersi ad un sano ed autentico spirito sportivo, una volta sotto la curva spiccava lo striscione «violenza è stupido». Poi arrivò la triade e il resto è storia di questi ultimi vent’anni.

E qua emerge un dato su cui vige la cappa più totale di omertà: le società spesso non sono estranee e anzi li coccolano e sostengono per non avere contestazioni e in nome del profitto. Sarebbe da ricordarlo in queste settimane in cui si discute di ritorno del «pubblico» e di riapertura degli stadi. Ma, come tanti altri fatti accertati, nessuna riflessione è in corso nell’indifferenza più totale: l'inchiesta della Procura di Genova di cui abbiamo dato notizia giovedì scorso contro quindici ultras genoani in cui si ipotizzano i reati di associazione a delinquere, estorsioni, violenza privata e intestazioni fittizie e le violenze della protesta neofascista di sabato al Circo Massimo (tra gli arrestati ultras della Roma e della Lazio) non hanno trovato mimamente spazio nella cronaca e nel «dibattito» calcistico di questi ultimi giorni. Mentre in prima pagina su uno dei maggiori quotidiani sportivi nazionali troviamo l'allenatore esaltare il cuore della curva giallorosa e chiedere che possano tornare allo stadio il prima possibile. Nell'articolo di giovedì scorso sono citati anche gli scontri del dicembre 2018 tra ultras di Napoli e Inter per il quale fu arrestato anche Caravita, figlio di uno dei fondatori dello storico gruppo Boys San. Nuovamente arrestato in questi giorni dopo l'accoltellamento al culmine di una rissa avvenuta nella notte di venerdì scorso a Milano. Nella stessa curva nero-azzurra sono presenze fisse di grande peso due dei fondatori del gruppo neonazista Cuore Nero. «Gastone» De Santis, l'ultrà giallorosso protagonista delle cronache nazionali dopo l'omicidio del tifoso napoletano Ciro Esposito al culmine di quello che apparve un agguato anti-napoletani, è stato appartenente del gruppo ultras fondato dall'ex appartenente ai Nar Corsi. Riferendosi alle violenze e alle minacce degli ultras nel rapporto «Calciatori sotto tiro» dell'Associazione Italiana Calciatori, relativo alla stagione 2015-2016, il vice presidente nazionale Calcagno scrisse che «sono ancora troppi gli equivoci e le mancate prese di posizione nei confronti di certi episodi. Assenza di chiarezza che a volte lascia trasparire una velata connessione tra gli «avvertimenti» del tifo organizzato e i difficili rapporti tra i tesserati coinvolti e le squadre d'appartenenza e sempre più spesso mina il rapporto fiduciario tra calciatori e società. Ma le storture nei nostri rapporti lavorativi, con le difficoltà finanziarie dell'ultimo decennio si sono estese a nuovi profili di violenza che, indirettamente, mettono «sotto tiro» i nostri associati di tutte le categorie». Tra le curve delle squadre di Serie A nel rapporto furono citati atti di intolleranza, minacce e di violenze da parte di ultras di Roma, Torino, Sampdoria, Lazio, Genoa, Milan, Udinese, Inter e Verona. Tra le partite segnalte c'è Genoa-Bologna del 12 dicembre: gli ultras presere di mira il calciatore guineano Amadou Diawara che reagì, il calciatore venne espulso e fu punito dalla «giustizia sportiva» mentre nessun provvedimento fu preso contro gli ultras. Il rapporto sottolinea che «inquieta non poco l'indagine della procura di Torino su intrecci pericolosi tra tifosi, malavita organizzata» e il club bianconero, segno di una «attenzione pericolosa» da personaggi che vedono nel «calcio un buon veicolo per il proprio malaffare», il «collegamento funzionale» che possono emergere da alcune indagini tra «problemi di bilancio, le intrusioni mafiose nelle società e le scommesse» e che gli ultras identificati dopo aver minacciato, intimidito e esser stati protagonisti di fatti violenti «spesso si scopre essere già stati oggetto di provvedimenti giudiziari anche per reati particolarmente gravi – es. omicidio, tentato omicidio, reati afferenti agli stupefacenti, ecc. – o di Daspo». 

Dinamica simile a quella che gira intorno al fisco e alla finanza più spericolata: si è tornato a parlare in questi giorni di pagamenti in nero e trucchi finanziari nella contabilità delle società ma è storia vecchia di oltre vent’anni, oggi si fa riferimento all’acquisto di Zarate da parte della Lazio (fatti su cui la giustizia sportiva avrebbe già acceso in passato riflettori senza sollevare nessun addebito) ma è lo stesso calcio delle plusvalenze e dei miliardi che girano come fossero noccioline dai tempi dell’approdo di Lentini al Milan.

Tutto questo stride pesantemente con la mobilitazione social di questi giorni anche nel calcio italiano dopo l’omicidio negli Usa di George Floyd che vede in prima linea anche calciatori della Juve (Bonucci e il capitano Chiellini, nelle scorse settimane finito sotto i riflettori per la discutibile e discussa auto biografia), di Inter e Milan. Il calcio che in questi anni mentre proclamava di voler combattere il razzismo negli stadi frenava ogni provvedimento drastico e manteneva contatti e foraggiava quel mondo ultras violento, neofascista e infiltrato dalla criminalità che abbiamo descritto in quest’articolo.

Una vicenda su tutte, riemersa in queste ultime settimane, documenta l’evidenza di tutto questo, quella di Claudio Gavillucci. Il 13 maggio 2018 durante Sampdoria-Napoli davanti ai ripetuti cori «Vesuvio lavali col fuoco» interrompe l’incontro e chiede agli speaker di chiedere l’interruzione di questi beceri cori, il presidente blucerchiato Ferrero si precipita in campo per fermare la curva. Un atteggiamento rispettoso del regolamento e intransigente di Gavillucci ineccepibile e invece, nei mesi, successivi è stato dismesso dai quadri della Serie A, unico ad essere bocciato (ed è lampante il livello della classe arbitrale) per «motivate ragioni tecniche».

È stato pubblicato nelle scorse settimane il libro «L’uomo nero. Le verità di un arbitro scomodo» (edito da Chierelettere), scritto insieme alle giornaliste Manuela D’Alessandro e Antonietta Ferrante, in cui Gavillucci denuncia «logiche e meccanismi di potere nella cabina di comando del sistema arbitrale» e cerca di illuminare, anche con la pubblicazione di documenti inediti, «ombre, condizionamenti e opacità».

 

PER APPROFONDIMENTI

- «Il pallone sporco del paese sporco»

- «Siamo di fronte ad una forte carica eversiva»

- IL FASCISMO E' UN REATO

– «Le curve nere vogliono marciare su Roma»

 

 

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2020-06-08 12:05:04

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Vicedirettore WordNews.it - È nato ad Atessa (Chieti), nel 1984. Attivista e volontario di varie associazioni e movimenti culturali, ambientalisti, pacifisti e di lotta alle mafie. Collaboratore della redazione abruzzese di Pressenza e di TeleJato.it. Ha collaborato con Adista, Primadanoi, Terre di Frontiera, Unimondo, Libera Informazione, Popoff Quotidiano e SocialPress. Ha curato, per oltre dieci anni, il sito personale del giornalista e regista RAI Stefano Mencherini, dove è stata curata la diffusione e la pubblicizzazione del documentario d’inchiesta «Schiavi. Le rotte di nuove forme di sfruttamento», con il quale è stata portata avanti la “Campagna di sensibilizzazione per l’informazione sociale”, in collaborazione con MeltingPot e Articolo21, e per la creazione di un Laboratorio permanente di inchiesta e documentari sociali in RAI, nata per rompere la censura televisiva del documentario d’inchiesta “Mare Nostrum”. Articoli su tematiche sociali e culturali sono stati pubblicati dal mensile Vasto Domani. Per contatti: redazione@wordnews.it

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