Mafie, Abruzzo altro che isola felice, in un trentennio oltre quindici uccisi da ambienti criminali/2

UNA MONTAGNA DI MERDA. Il ricordo di Lea Garofalo ad Altino e la doverosa riflessione sulle mafie di oggi anche tra Tronto e Trigno.

Mafie, Abruzzo altro che isola felice, in un trentennio oltre quindici uccisi da ambienti criminali/2
Nella foto, da sinistra: Massimiliano Travaglini (Agende Rosse), Marisa Garofalo e il direttore Paolo De Chiara

L’avvocato Fabrizi fu assassinato nell’ottobre 1991 ed il suo non è stato l’unico omicidio di quegli anni. Nel 1992 in Provincia di Pescara fu rinvenuto il cadavere di Enrico Maisto.

Il 20 marzo 1993 fu rinvenuto cadavere nel bagagliaio della sua auto Italo Ferretti, imbavagliato e con le mani e i piedi legati. Nel 1996 fu assassinato in un conflitto a fuoco, mentre cercava di contrastare dei rapinatori, il maresciallo Marino Di Resta.

Il 13 Gennaio 1994 la “Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari” approvò la “Relazione sulle risultanze dell’attività del gruppo di lavoro incaricato di svolgere accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di tipo mafioso in aree non tradizionali”, a pagina 82 Enrico Maisto venne definito un “noto boss latitante della camorra” e si sottolineò che le indagini erano partite a seguito di otto omicidi a Pescara, “dei quali quattro o cinque erano da ricollegarsi ad uno scontro tra bande contrapposte. Era emerso che si trattava di associazioni a delinquere che praticavano traffico di stupefacenti, usura, rapine, estorsioni e avevano il controllo delle bische”.

L’omicidio di Ferretti ed altrierano stati originati dai contrasti tra due bande autoctone opposte e anche se la camorra e la Sacra Corona Unita non avevano ancora fagocitato le stesse, sussisteva il “pericolo mafia”, scongiurato per il momento da questa operazione di polizia giudiziaria”.

Il porto di Pescara già nella “Relazione sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata”  relativa al 2015, comunicata alla Presidenza del Senato il 4 gennaio 2017, venne definito “il più importante dell’Abruzzo e per i suoi accresciuti scambi commerciali con i Paesi dei Balcani occidentali costituisce uno snodo cruciale per i traffici di sostanze stupefacenti e di esseri umani” – e richiamo dell’intera provincia per “sodalizi mafiosi interessati al reinvestimento di capitali illecitamente accumulati”.

Tra le attività criminali segnalate nel rapporto spiccano spaccio di stupefacenti, corse clandestine dei cavalli, gioco d’azzardo, truffe, estorsioni, usura, tratta di esseri umani, sfruttamento della prostituzione “anche minorenni”, sfruttamento della “manodopera clandestina”. Proventi di attività illegali, si legge ancora, “vengono reinvestiti anche nell’acquisto di esercizi commerciali ed immobili”. Inaugurando l’anno giudiziario nel 1997 il procuratore generale Bruno Tarquini affermò che “in  questa  regione  la  cosiddetta  fase  di  rischio  è  ormai  superata  e  si  può parlare di una vera e propria emergenza criminalità, determinata dall'ingresso di clan campani e pugliesi anche nel tessuto economico della Regione".

Dieci anni dopo, l'annuale Rapporto della Direzione nazionale antimafia denunciò che “l'Abruzzo era il luogo in cui la criminalità organizzata aveva trovato terreno fertile per il riciclaggio di denaro sporco”.

Quando si fa riferimento al ventre oscuro e agli affari sporchi di squallide consorterie il pensiero doverosamente corre a L’Aquila, al terremoto del 6 aprile 2009, a cosa accadde prima, durante e dopo quella notte infinita che non ha ancora visto (e chissà se mai lo vedrà) l’alba. Non basterebbero libri interi per raccontare tutto quel che ci sarebbe da denunciare con rabbia ed indignazione.

[…] Davide con me personalmente non ne aveva mai parlato. Ma si conosceva benissimo la situazione della Casa dello Studente, la struttura era traballante e mancava persino la scala antincendio. Dopo la prima scossa (la sera del 5 Aprile) Davide chiamò a casa, erano fuggiti tutti fuori terrorizzati. Furono rassicurati e convinti a rientrare,anche perché  una settimana prima un architetto aveva effettuato dei controlli e aveva affermato che non c'era motivo di preoccupazione.

[…] Dopo il terremoto ci siamo ritrovati a L'Aquila, uniti nel dolore e nel cercare di capire. E anche su questo abbiamo visto l'inadeguatezza dello Stato e delle sue strutture di cui parlavo all'inizio. Ci siam chiesti varie volte in quelle settimane "dov'è lo Stato?". Siamo stati completamente abbandonati per 72 ore dall'incapacità ad ogni cosa. Solo dopo le nostre vibranti proteste ci hanno portato del cibo. In sacchi della spazzatura... Anche l'Università, a conoscenza delle gravi carenze della sua stessa struttura d'Ingegneria a Roio, che di fatto quella notte crollò (ciò vuol dire che mio fratello se non fosse morto alla Casa dello Studente, molto probabilmente sarebbe morto proprio a lezione se la scossa fosse arrivata di giorno), ci ha offerto la Laurea  post- mortem... per uno studente al primo anno? L'abbiamo presa più come uno schiaffo al dolore che come un atto di riconoscimento dei meriti.        

(Lilli Centofanti, intervista alla rivista Casablanca  - luglio 2013)

La Casa dello Studente, disse Lilli in quell’intervista, “deve rimanere, come monito perenne. Colpisce questo ripetuto tentativo di abbatterla. Non ci si vuol rendere conto (o forse è proprio quello l'obiettivo) che toglierla dagli occhi significherà toglierla dal cuore, dimenticarla”. La memoria che non deve diventare passato, la memoria che deve diventare lotta per la giustizia e monito (quante volte abbiamo sentito “mai più”? nauseanti chiacchiere che nel trentennale delle stragi di mafio-Stato abbondano come dopo ogni tragedia) reale per questo Paese ipocrita e tanto bravo a commemorare il giorno dopo, l’Italia è il Paese dei partigiani del 26 aprile, quanto complici del marcio più immondo prima e durante.  Una memoria vera, attiva, generosa, combattiva, che in questo monito e nella lotta per una giustizia vera e reale, sono stati il cuore e l’anima di Antonietta Centofanti, zia di Davide e Lilli. Scomparsa a fine aprile dell’anno scorso. Una persona generosa e combattente, dal cuore immenso e dall’animo tenace, straordinaria umano, un dono immenso per chi l’ha conosciuta e ha percorso con lei pochi passi o un cammino molto più lungo. Un pensiero a lei, sempre commosso e grato, con le lacrime agli occhi e nel cuore, è più che doveroso. Non si può chiudere un articolo come questo se non rivolgendo un pensiero ad Antonietta Centofanti, al ricordo di una persona perla rara nel mondo di oggi che – e non è retorica – vive nei cuori di chi ha amato e l’ha amata.                                                                             

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Una strada per Lea Garofalo a Pagliarelle (Crotone)

 

 

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