«Questa è la mia verità, ma non posso documentarla»

SPECIALE PIER PAOLO PASOLINI. IL MASSACRO DI UN POETA. La LETTERA di Silvio PARRELLO. Sesta parte. Bologna, 5 marzo 1922 - Idroscalo di Ostia (massacro), 2 novembre 1975. Continua il nostro lungo "viaggio" per ricordare il poeta MASSACRATO (in vita e in morte) dal potere costituito. Lo faremo attraverso i suoi scritti e le sue profezie. Resta ancora una domanda che gravita intorno alla sua morte: chi ha ucciso Pasolini?

«Questa è la mia verità, ma non posso documentarla»
La descrizione del cadavere, Ansa (dal libro «La Macchinazione»)

«L' "Italietta" è piccolo-borghese, fascista, democristiana; è provinciale e ai margini della storia; la sua cultura è un umanesimo scolastico formale e volgare. Vuoi che rimpianga tutto questo? Per quel che mi riguarda personalmente, questa Italietta è stata un paese di gendarmi che mi ha arrestato, processato, perseguitato, tormentato, linciato per quasi due decenni. Questo un giovane può non saperlo. Ma tu no...»
Lettera aperta a Italo Calvino
(Paese Sera, 8 luglio 1974)

«A aspettallo all'Idroscalo ce stavano tutti, i ragazzi come Pelosi e i Borsellino ma anche quelli della Magliana, forse pure dei mafiosi venuti da Catania, chissà quanti erano...»

dal libro La Macchinazione. Pasolini. La verità sulla morte, David Grieco, pag.109, Rizzoli

 

 

A distanza di oltre dieci anni dalla mia personale indagine sulla morte di P.P.P., emerge con chiarezza una verità completamente diversa da quella processuale.

Iniziamo dall’incontro che Pasolini ebbe con Pelosi alla stazione Termini la sera del 1° novembre 1975. Non fu casuale, ma fu un appuntamento già fissato in precedenza, in quanto i due si frequentavano da alcuni mesi. Quella notte il ruolo di Pelosi era solo quello di accompagnare l’intellettuale ad Ostia per recuperare le bobine del film ‘Salò’, che i due fratelli Borsellino, amici di Pelosi, avevano rubato su commissione a fine di estorsione; fu a quel punto che scattò l’idea dell’omicidio.

Quando Pelosi e Pasolini finirono di cenare al ‘Biondo Tevere’, montarono in macchina e si avviarono in direzione di Ostia. I due furono seguiti dai fratelli Borsellino in sella alla loro Vespa e da una moto Gilera 125 rubata guidata da Giuseppe M. Lungo il percorso si accodarono una Fiat 1500 con a bordo tre balordi, che successivamente massacrarono di botte il Poeta, ed un’Alfa Romeo simile a quella di Pasolini, con una sola persona, la stessa che investì e uccise lo scrittore schiacciandolo sotto le ruote.

Alla fine della mattanza, quando i sicari fuggirono, sul luogo del delitto rimasero solo in due: Pino Pelosi e Giuseppe M., che presero la macchina del Poeta per scappare. Percorsi pochi metri Pelosi si sentì male, scese dalla macchina e vomitò, mentre il suo ‘caro’ amico proseguì la fuga, e, giunto sulla Tiburtina, abbandonò l’Alfa Romeo di Pasolini, e si dileguò. Pelosi, rimasto all’Idroscalo solo e appiedato, venne fermato ad Ostia a Piazza Gasparri dalle Forze dell’Ordine, a poche centinaia di metri dal luogo del delitto. 

Alle tre del mattino, due ore dopo l’omicidio, due poliziotti telefonarono a casa di Pasolini all’Eur, comunicando alla cugina Graziella Chiarcossi che la macchina di P.P.P. era stata trovata abbandonata sulla Tiburtina. Di questa telefonata la Chiarcossi ne parlò più volte con Sergio Citti, il quale, cinque mesi prima della sua morte, verbalizzò il fatto alla presenza dell’avvocato Guido Calvi.

Durante il processo, l’automobile di Pasolini fu periziata dai periti Ronchi, Ronchetti e Merli, e si capì immediatamente che si trattava di una blanda e superficiale perizia; i tre non si recarono mai sul luogo del delitto. Al contrario, quella presentata da Faustino Durante, nominato dalla famiglia, è ben diversa, e appare con chiarezza che ci fu un’altra macchina ad uccidere l’intellettuale. All’indomani del delitto, quella stessa automobile fu portata da Antonio Pinna in riparazione presso una carrozzeria al Portuense. Il primo carrozziere, Marcello Sperati, viste le condizioni dell’auto, si rifiutò di eseguire il lavoro, mentre il secondo carrozziere, Luciano Ciancabilla, la riparò.

Il 12 febbraio 1976, nell’indagine sull’omicidio di P.P.P., il maresciallo dei carabinieri Renzo Sansone fa arrestare i due fratelli Borsellino. La notizia venne data alla stampa il 14 febbraio 1976, lo stesso giorno in cui scomparve Antonio Pinna, la cui auto fu trovata all’aeroporto di Fiumicino, e del quale non si seppe più nulla fino al venerdì di Pasqua del 2006.

Quel giorno venne a trovarmi nel mio studio di pittore e poeta un sedicente figlio di Antonio Pinna, tale Massimo Boscato, di cui nessuno conosceva l’esistenza, neanche i parenti più stretti, nato da una relazione tra Pinna e una donna del Nord Italia. Il sedicente figlio era alla ricerca del padre, e, tramite un suo amico che prestava servizio alla DIGOS ed una ricerca condotta da lui stesso, risultava che Antonio Pinna era stato fermato a Roma nel 1979, alla guida di un’auto con la patente scaduta.

Oltre a questo, il fascicolo che lo riguardava recava la dicitura TOP SECRET.
Questa è la mia verità, ma purtroppo non posso documentarla.

Silvio Parrello
Roma, 19 luglio 2011

II luogo del delitto, foto ANSA

 

Silvio Parrello, detto Er Pecetto, continua a dedicarsi alla ricerca della verità sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Avendolo conosciuto in giovinezza, fu testimone diretto delle intricate vicende che portarono alla tragica fine del poeta. Da allora, ha provato in vari modi a riportare l’attenzione su questo crimine irrisolto, ma i suoi appelli sono sempre stati frustrati dall’unica verità stabilita, ovvero la colpevolezza del solo Pino Pelosi.
Sebbene in queste righe si occupi solamente degli esecutori materiali dell’omicidio, lascia comunque capire come la regia di quella sera sia stata molto accurata.
Si ricordi che si tratta della personale verità di Silvio Parrello, e che la Verità, quella perfetta, è forse destinata a rimanere imprigionata nella più buia burocrazia.

fonte: https://antarchia.com/tag/pecetto/

 

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