La morte violenta per proteggere la Trattativa Stato-mafia/37

Il massacro di Attilio Manca: un omicidio di Stato-mafia. 37^ PARTE/Continuiamo a pubblicare integralmente la nuova relazione sull'urologo siciliano ucciso da pezzi dello Stato, in collaborazione con Cosa nostra.

La morte violenta per proteggere la Trattativa Stato-mafia/37

«Mio figlio non voleva diventare il medico della mafia. Si è rifiutato ed è stato ammazzato.»

Angela Manca, WordNews.it, 2022 (Per approfondimenti CLICCA sul link a sinistra)

Hanno ammazzato una persona perbene perchè aveva riconosciuto il boss latitante di Cosa nostra. Lo hanno fatto nella totale impunità, grazie alle coperture istituzionali. Le stesse coperture che hanno utilizzato per versare fiumi di sangue. Da Portella della Ginestra (1947) in poi.

- Il massacro di Attilio Manca: un omicidio di Stato-mafia (Per approfondimenti CLICCA sul link a sinistra)

LA MORTE VIOLENTA DI ATTILIO MANCA. La famiglia Manca, come tante altre famiglie italiane, merita uno spazio fisso sugli organi di informazione. Su queste vicende vergognose bisognerebbe aprire una "finestra" fino alla definitiva risoluzione del caso. Noi, insieme a pochi altri, ci siamo. E facciamo nostra la convinzione del poeta Pasolini. Continueremo a battere sempre sullo stesso chiodo. E, sicuramente, non ci fermeranno per stanchezza.

WordNews.it, 2022 (Per approfondimenti CLICCA sul link a sinistra)

 

- IL MASSACRO MAFIA-STATO: Attilio Manca è stato ucciso per coprire una latitanza

 

10. BARCELLONA POZZO DI GOTTO

10.1 La famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto

Barcellona Pozzo di Gotto è il polo mafioso più rilevante nella provincia di Messina e la sua famiglia mafiosa ha giocato un ruolo fondamentale nel biennio stragista del 1992-1993. È utile richiamare, a tal proposito, quanto riferito dal collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, circa la consegna da parte della famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto del telecomando utilizzato il 23 maggio 1992 per far esplodere l’autostrada allo svincolo per Capaci.

Sempre di Brusca sono le dichiara­zioni secondo cui la persona che in origine avrebbe dovuto usare il telecomando attivante l’esplosivo per la strage di Capaci sarebbe dovuto essere Pietro Rampulla, mafioso di Mistretta legato alla famiglia catanese e a quella barcellonese di Cosa Nostra, esperto di esplosivi, che all’ultimo momento si era reso indisponibile per un non meglio precisato (e poco credibile) «impegno familiare».

Ancora Brusca, in occasione di un verbale di interrogatorio alle D.D.A.di Palermo e Caltanissetta del 27 settembre 1996, riferiva che la scelta dell’avvocato Franz Russo per la propria difesa nel maxiprocesso in Cassazione era stato il risultato del suggerimento del capomafia barcello­nese Giuseppe Gullotti, verosimilmente per intercessione di un altro mafioso barcellonese, Rosario Pio Cattafi (lo stesso chiamato in causa da Carmelo D’amico nell’omicidio Manca), la cui agenda del 1991, nel giorno del 23 maggio, riporta l’annotazione «Gullotti x Russo». Un dato che evidenzia l’unicità, in Cosa Nostra, del gruppo mafioso barcellonese è fornito dalla sua impenetrabilità.

Dalla sua nascita e fino al 2011 era stata l’unica famiglia siciliana a non aver visto neanche un singolo affiliato iniziare la collaborazione con la giustizia; infatti, i pentiti della provincia di Messina, fino a quel momento, erano provenuti tutti da cosche rivali, come quella del clan Chiofalo, soccombente a quello barcellonese dopo il colpo di grazia infertogli dalle forze dell’ordine, che ne arrestarono il gotha durante una riunione segreta svoltasi in Calabria il 31 dicembre 1987 (episodio per cui Pino Chiofalo, divenuto poi collaboratore di giustizia, accuserà la cosca avversaria di essersi messa d’accordo con gli investigatori).

L’organizzazione mafiosa barcellonese ha potuto sopravvivere per così tanti decenni e acquistare forza anche perché essa è sempre stata, come riferito da alcuni collaboratori di giustizia anche a questa Commissione, una «mafia evoluta», nella misura in cui limitava al minimo gli atti di violenza tipici delle altre famiglie, preferendo esercitare la sua capacità di azione attraverso una serie di contatti con le alte sfere del potere, da uomini delle istituzioni (forze di polizia, magistrati, politici, agenti dei servizi segreti, ecc.) a personaggi appartenenti a consorterie massoniche più o meno deviate.

La provincia di Messina, e in particolare il territorio di Barcellona Pozzo di Gotto, inoltre, è sempre stata luogo prediletto per le latitanze di diversi capimafia siciliani, primo su tutti Benedetto Santapaola.

Attualmente, come sottolineato dai Procuratori di Messina nel dicem­bre 2015 nell’appello avverso la sentenza di scarcerazione di Rosario Cattafi, l’organizzazione barcellonese, «pur in presenza, negli ultimi anni, di un rilevante numero di operazioni di Polizia, non può dirsi certamente né smantellata, né disarticolata. Al contrario, essa si mostra sempre attiva, aggressiva e pronta a risorgere».

Proprio per questo motivo non va assolutamente sottovalutato il «momento di innegabile fibrillazione in cui versa attualmente quel sodalizio criminale, con i suoi più autorevoli esponenti ristretti in carcere», nel medesimo senso è pure il provvedimento di sequestro di beni per un valore di un milione di euro, emesso nel maggio 2022 a carico del citato Angelo Porcino.

Quest’ultimo è risultato capace di eseguire estorsioni nonostante fosse sottoposto agli arresti domiciliari. Il predetto, infatti, condannato in via definitiva ad undici anni di carcere nel 2014, fu uno dei boss mafiosi scarcerati dai penitenziari nel 2020 a causa della pandemia da Covid-19. Uscito dal carcere di Voghera, nel quale era ristretto in regime di Alta Sicurezza, proseguì il regime detentivo presso il suo domicilio proprio nella città di Barcellona Pozzo di Gotto, dove riprese la sua azione criminale.

Da ultimo, hanno parlato della peculiarità dell’associazione mafiosa barcellonese i giudici della Corte d’appello che, come si vedrà di seguito, hanno condannato Rosario Cattafi per il reato ex art. 416-bis: «...il sodalizio in oggetto, come emerge dal contenuto del presente procedimento, si presenta davvero “a struttura complessa”, con ramificazioni in ogni settore economico, politico e sociale del territorio di riferimento e con acclarati rapporti in seno alla altre cosche di Cosa Nostra».

 

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Terza parte: «Non hanno voluto arrestare Provenzano»

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