Il manifesto sugli Stati Generali per la Sanità

IL PUNTO DI VISTA DEL DOTT. PASTORE. «Del resto, un trattato internazionale di libero scambio riguardante i servizi, il TISA, evidenziava che dalla privatizzazione dei sistemi sanitari pubblici, a livello mondiale, si poteva generare un giro di affari di 6000 miliardi di dollari.»

Il manifesto sugli Stati Generali per la Sanità

Stiamo vivendo un periodo di progressivo sfaldamento di principi che sembravano acquisiti e stabili nella nostra società. Tra questi sicuramente il diritto universale alle cure è quello che più interessa il nostro Comitato, Isernia Beni Comuni, in difesa della sanità pubblica di qualità.

Abbiamo visto come questo diritto sia stato progressivamente eroso nel tempo con scelte politiche ben precise. Nella nostra Regione, il Molise, siamo, ormai, in un degrado irreversibile ed è necessario operare scelte forti, radicalmente diverse dalle attuali, per rilanciare un buon servizio sanitario pubblico.

Il progressivo definanziamento del SSN (servizio sanitario nazionale, ndr), la riduzione dei posti letto ospedalieri dal 6 per mille al 3 per mille per pazienti acuti e allo 0,7 per mille per pazienti cronici, il blocco del turnover del personale, il numero chiuso introdotto per la Facoltà di Medicina, lo smantellamento anche della medicina territoriale, tutto questo contribuisce alla perdita del diritto universale alle cure. Se a ciò aggiungiamo che mentre si definanzia il pubblico, aumentano la percentuale del privato convenzionato (che deve trarre profitto da malattie e malati) e la spesa privata dei cittadini, si comprende meglio il motivo di alcune scelte politiche chiaramente neoliberiste.

Del resto, un trattato internazionale di libero scambio riguardante i servizi, il TISA, evidenziava che dalla privatizzazione dei sistemi sanitari pubblici, a livello mondiale, si poteva generare un giro di affari di 6000 miliardi di dollari.

Non è un caso che lo smantellamento dei sistemi sanitari non riguardi solo l'Italia ma tutti i Paesi che avevano dei buoni servizi sanitari pubblici.

In Molise, dopo la riforma del 1978, si partiva con sei ospedali presenti sul territorio più altri servizi pubblici che tranquillamente potevano soddisfare, se gestiti correttamente, le esigenze di una popolazione di 300mila abitanti senza la necessità di ricorrere a privati convenzionati. Tuttavia, fin dal primo momento si è inserita la necessità clientelare di creare convenzioni.

Negli anni '80, l'introduzione della diagnostica di avanguardia di allora (Tac, ecografia, scintigrafia, ecc) non fu effettuata posizionando le attrezzature in un ospedale pubblico ma in una clinica convenzionata di Venafro, la Sanatrix, a cui si dovevano rivolgere tutti gli ospedali. Di fatto, gli ospedali erano un serbatoio per i guadagni di soldi pubblici effettuatii da un privato. Poi, nel tempo, sempre in un'ottica clientelare, si sono ampliate le convenzioni con altre strutture ed in particolare con i due colossi, Neuromed e Cattolica.

La gestione clientelare della sanità non ha riguardato solo le convenzioni con i privati ma anche la gestione interna negli ospedali e nei servizi.

Si aprivano servizi, si assumeva personale, si esternalizzavano i servizi per soddisfare i bisogni delle diverse clientele politiche. Tutto questo ha generato disfunzioni ed un debito enorme che ha determinato il commissariamento della sanità molisana che perdura da 13 anni. Con la scusa di rientrare dal debito, si sono progressivamente smantellati ospedali e servizi, mentre si trasferivano posti letto e fondi ai privati convenzionati. Attualmente il 43% del fondo sanitario regionale ed il 40% dei posti letto vanno ai privati convenzionati, mentre il debito permane come un moloc indistruttibile.

I posti letto di molti privati convenzionati vengono utilizzati per un'utenza extraregionale che determina una mobilità attiva ed un guadagno che va direttamente ai privati che gestiscono quei posti letto pubblici. Nello stesso tempo, l'utenza regionale, non avendo possibilità di risposte, va in altre regioni determinando una mobilità passiva di 80 milioni, questi tutti a carico del pubblico. Ormai siamo ad un passo dal collasso totale dei sistemi pubblici e dal trasferimento totale della gertione della sanità al privato convenzionato; è la via italiana alla privatizzazione della sanità.

Tra poco, per curarci, saremo tutti costretti a stipulare polizze assicurative integrative che saranno a premio crescente in rapporto all'età e alle patologie. Ci siamo sempre mossi nel tentativo di contrastare queste scelte e questa tendenza.

Tuttavia abbiamo sempre impattato con realtà politiche, caratterizzate da un pensiero unico neoliberista, che non hanno voluto prendere strade diverse.

Il sistema sanitario regionale è degenerato, specie per la carenza di capitale umano, e non è più recuperabile con piccoli o parziali aggiustamenti. Va ripensato nel suo impianto generale. La nostra azione, anche in assenza di risultati pratici importanti per impedire questo degrado, ha avuto meriti enormi nell’aver agito su una coscienza culturale. L'aver fatto comprendere che il problema principale del degrado è rappresentato dalla progressiva volontà di privatizzare il sistema, che il debito permane per giustificare la demolizione del pubblico e gli aumenti degli accreditamenti, che il mancato turnover del personale è finalizzato a strozzare il funzionamento del pubblico, che la non apertura di un ospedale Covid a Larino era dettata dall'esigenza di non rifinanziare il pubblico, ecc, sono tutti elementi culturali che abbiamo seminato e di cui si parla.

Ora è arrivato il momento di mettere in gioco una metodologia culturale nuova per ricostruire una sanità pubblica di qualità.

Proponiamo alcuni punti fondamentali di riferimento per una discussione e confronto che proviamo a sintetizzare:

1) Il diritto alla salute è un bene comune e non può essere trasformato in una merce da cui trarre profitto. Per questo motivo il servizio sanitario deve essere e rimanere essenzialmente pubblico e non può essere ceduto a privati;

2) La distribuzione delle diverse strutture sanitarie territoriali deve partire dall'analisi epidemiologica dei bisogni dei territori ed in base a questa si deve decidere di quanti ospedali, ambulatori, Rsa, e servizi in generale necessita un territorio e come questi debbono essere organizzati per soddisfare detti bisogni. Fino ad ora le scelte non hanno avuto questo obiettivo ma hanno perseguito altre esigenze, in particolare la necessità di rispondere alle clientele;

3) Introdurre una contabilità analitica per centri di costi che permetta in tempo reale, alle singole unità operative, di comprendere quanti soldi arrivano e come vengono spesi e comprendere se gli spostamenti di spesa sono giustificati, e procedere a correzioni immediate. Attualmente ci troviamo con un debito enorme senza che si riesca a comprendere chi lo abbia generato e come;

4) La distribuzione della forza lavoro va fatta in base ai reali carichi di lavoro. Questi andranno stabiliti con sindacati, associazioni di categoria, dirigenza aziendale. Attualmente la distribuzione della forza lavoro viene fatta sempre secondo criteri clientelari con disfunzioni funzionali enormi.

Aprire degli STATI GENERALI su queste basi con cittadini, forze politiche, sindacali, sindaci, movimenti, liste civiche, sarebbe fondamentale per costruire un substrato culturale, indirizzato secondo canoni che hanno guidato e guidano la nostra azione al fine della rinascita di un sistema sanitario pubblico efficiente.

Sicuramente, per partecipare a questo confronto, è indispensabile condividere la nostra analisi e le finalità da dare al sistema sanitario. Da questa discussione può scaturire un nuovo seme culturale che porteremo nella società e che può dare, da subito, i suoi frutti.

 

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