Una Vita contro la camorra di Paolo De Chiara: un 'romanzo' senza idillio

LA RECENSIONE. Un testimone di giustizia, con le sue coraggiose denunce, ci fa addentrare sempre più nell’oscuro mondo di lavori e appalti pubblici truccati, imbrogli, materiali scadenti, morti sui cantieri, omicidi. Grazie alle tante prove addotte, ai numerosissimi fascicoli faticosamente ma alacremente fotocopiati, assemblati e confezionati per le varie Procure, via via Giovanni Falconera – nomen omen! – riesce a smascherare la sporca anima del “re delle Autostrade”, Mario Luovo, l’impresario; via via, grazie al suo coraggio, alla sua decisa risolutezza e ferma convinzione, viene squarciato quel velo di Maya che rivela finalmente i loschi traffici dei Peracottari e gli stretti legami con la mafia campana.

Una Vita contro la camorra di Paolo De Chiara: un 'romanzo' senza idillio


 

 

- UNA VITA CONTRO LA CAMORRA, il nuovo libro di Paolo De Chiara

 

Nella conclusione, i Promessi sposi potrebbero proporre tutti gli elementi di un comune lieto fine: concluse pesti e guerre, i due fidanzati separati si ricongiungono, si sposano e attendono un futuro tranquillo, mentre il cattivo, don Rodrigo, è morto. Eppure, Manzoni si guarda bene dal proporci un finale così banalmente rasserenante. Don Abbondio è rimasto don Abbondio e dapprincipio esita ancora a celebrare il matrimonio; il marchese che sostituisce don Rodrigo è un uomo probo, ma non tanto da invitare al suo tavolo i due contadini-artigiani quando offre un banchetto riparatore; i due sposi devono lasciare il paese natio; la gente che ha saputo delle grandi avventure dei due eroi, quando vede Lucia, si stupisce che Renzo abbia fatto tanto per “una contadina come tant’altre”; Renzo si amareggia tanto da voler cambiare di nuovo paese.

 

Dunque, i Promessi sposi risultano alla fine, secondo la felice formulazione di Ezio Raimondi, un “romanzo senza idillio”, cioè un romanzo che rifiuta facili consolazioni. La stessa morale della storia – il sugo di tutta la storia – posta in bocca ai due protagonisti, è una morale cauta, che parte da un iniziale pessimismo per superarlo. Certo, ora si è costruito un modello di società utopica e realistica insieme: la famiglia, il lavoro, la serenità quotidiana. Ma la storia, come forza che travolge, rimane nello sfondo del passato. Il problema resta allora guardare al male, conoscerlo nella sua reale essenza e costruire comunque o (ri)costruire una vita che non se ne lasci macchiare o vincere.

 

Ebbene, quando ho terminato la lettura di Una vita contro la camorra. La storia vera e scomoda di un testimone di giustizia, ho avvertito come la sensazione di aver sfogliato questa pagina manzoniana.

 

Un “romanzo” senza idillio quello costruito con una singolare abilità narrativa da Paolo De Chiara.

 

Romanzo?! No. Storia autentica, persone reali, drammatici eventi verificatisi in Italia, “il bel paese dove il sì suona, il bel giardino d’Europa” – come la definisce Dante nella Commedia –: il Paese dei paradisi naturali, della Bellezza artistica, della bontà culinaria, da una parte, ma dell’Inferno delle mafie, della corruzione, della manipolazione, dall’altra.

 

Un testimone di giustizia, con le sue coraggiose denunce, ci fa addentrare sempre più nell’oscuro mondo di lavori e appalti pubblici truccati, imbrogli, materiali scadenti, morti sui cantieri, omicidi. Grazie alle tante prove addotte, ai numerosissimi fascicoli faticosamente ma alacremente fotocopiati, assemblati e confezionati per le varie Procure, via via Giovanni Falconera – nomen omen! – riesce a smascherare la sporca anima del “re delle Autostrade”, Mario Luovo, l’impresario; via via, grazie al suo coraggio, alla sua decisa risolutezza e ferma convinzione, viene squarciato quel velo di Maya che rivela finalmente i loschi traffici dei Peracottari e gli stretti legami con la mafia campana.

 

Una vita contro la camorra fotografa lucidamente il quadro di un sistema corrotto, in un intreccio tra la camorra, la politica e l’imprenditoria, che trae profitto e vantaggi anche dagli appalti pubblici. Rivelare a diverse Procure italiane le anomalie, i guadagni illeciti e i legami con le figure di spicco nel mondo aziendale e istituzionale non ha consentito, però, a Giovanni di riprendere in mano la sua vita e (ri)costruirla dalle ceneri: dalle ceneri di una famiglia persa, di un lavoro perso, di una casa persa, di affetti disintegrati, di un’identità traballante. Tutt’altro!

 

Denunciare lo ha affossato ancora di più, lo ha isolato ancora di più, lo ha imbarbarito ancora di più. Non si è sentito protetto dal cosiddetto SCP (Sistema Centrale di Protezione) o dai NOP (Nuclei Operativi di Protezione). Anzi, spesso si è sentito da loro stessi etichettato, schernito, denigrato, scambiato per un collaboratore di giustizia, per un pentito. Quanta confusione! Quanta non-conoscenza! Quanta generalizzazione!

Generalizzazione che lede, ferisce, pugnala, anche in assenza di armi fisiche. Generalizzazione che disumanizza, appiattisce, schiaccia, annienta, avvilisce, umilia.

 

Falconera ha provato tutto questo, in preda a momenti di grande sconforto, scoramento, disperazione, desolazione e angoscia.

Un civis perbene, un uomo onesto, un ex-carabiniere peraltro, che decide, non a cuor leggero, di parlare, affidandosi alla Legge, confidando nella Giustizia della sua “bella” Italia, affidandosi agli apparati del suo Stato, ad un certo punto è portato a mettere persino in dubbio l’aver operato una scelta così audace, vista la lentezza e la poca prontezza di ‘sta giustizia, nonché il trattamento a lui riservato, alla stregua di un criminale, nelle molteplici città in cui è stato continuamente trasferito: Firenze, Perugia, Campobasso, Terni, Pescara, Monza.

 

Una vita contro la camorra non è improntato alla categoria del verosimile: ha tutti i tratti del vero storico, fondato su dati concreti, fatti reali, evidenze incontrovertibili, come i file salvati sulla pendrive, le carte “parlanti”, le fotografie scattate durante i lavori o l’esatta cifra di un appalto di 14 milioni di euro.

Paolo De Chiara non è un romanziere: è uno scrupoloso giornalista d’inchiesta, ma mostra di conoscere bene la morfologia della fiaba di Vladimir Propp. Con un’attenta analisi narrativa, si potrebbero persino rintracciare nella sua opera le 31 funzioni di Propp. Tra queste, ad esempio, troviamo: l’allontanamento, il divieto, l’infrazione o l’avvertimento ignorato, la ricognizione o l’investigazione, l’ottenimento o la delazione, il raggiro o il tranello, la connivenza, il danneggiamento o la mancanza, la mediazione, la decisione, la partenza, le prove, la reazione, il conseguimento dell’oggetto magico, il trasferimento, la lotta, la marchiatura, la vittoria, la rimozione, il ritorno, la persecuzione o l’inseguimento, il salvataggio, l’arrivo in incognito, le pretese infondate, l’identificazione o il riconoscimento, lo smascheramento, la trasfigurazione, la punizione.

 

Nella storia vera e scomoda di un testimone di giustizia sembra anche di poter individuare uno schema delle funzioni di Propp: l’equilibrio iniziale, la rottura di questo equilibrio, le peripezie dell’eroe, il ristabilimento dell’equilibrio. Altrettanto possiamo dire per i ruoli di alcuni personaggi: il protagonista Giovanni Falconera, l’antagonista Mario Luovo, il mandante – il motore dell’azione narrativa – la coscienza di Giovanni di fronte al crollo del casello, l’aiutante Gennaro Cilibertone, il personaggio cercato (principessa) o premio Gisella.

Giovanni, Paolo, l’agendina rossa: quanti echi, quante risonanze, quante allusioni alla Giustizia vera, alla Legalità autentica e non vacua, al rispetto delle Regole che salvaguardano i più e non i pochi.

 

I testimoni di giustizia come Falconera sono i piccoli mattoni delle fondamenta della lotta alle mafie, ma, fin quando non cambieranno le persone e la mentalità, non ci sarà posto per queste persone oneste nel “Paese del giorno dopo”, nel “Paese delle commemorazioni, delle corone, delle celebrazioni, dell’ipocrisia”.

 

Si sfida la camorra e si diventa un fuggiasco.

Si denuncia e si diventa il nulla mischiato con il niente.

Si chiede aiuto e si registra solo silenzio.

 

Ecco, dunque, che un “già testimone di giustizia”, sconfitto da uno Stato burocrate, indifferente e insensibile, per provare a (ri)nascere, a (ri)trovarsi e a (ri)costruirsi va altrove, dicendo Addio, Paese ingrato!, proprio come Renzo, fermandosi un momento sulla riva a contemplar la riva opposta, quella terra che poco prima scottava tanto sotto i suoi piedi, disse: “Ah! Ne son proprio fuori! Sta lì, maledetto paese!”. Fu quello il suo addio alla patria.

È questo il suo rammaricato “Addio Italia” alla patria da parte de “Il fu Giovanni Falconera”, che dal suo autoesilio ritorna nella terra natia solo per le udienze o per incontrare gli studenti, a cui consegna perle di saggezza fondamentali: “Dovete coltivare l’atrocità del dubbio; Dovete imparare a pensare in direzione contraria per fuoriuscire dalla cornice dei valori dominanti; Non allineatevi mai. Coltivate il bisogno di essere voi stessi. Sempre”.

 

Proprio come ha fatto lui. A gran prezzo, ma salvaguardando l’onore e la dignità.

 

 

ACQUISTA IL LIBRO ON LINE, CLICCA QUI

GUARDA IL VIDEO DELLA TRASMISSIONE:

 

LEGGI ANCHE:

- «POSSONO CROLLARE ALTRE OPERE PUBBLICHE», la pesante denuncia del testimone

- UNA VITA CONTRO LA CAMORRA, il nuovo libro di Paolo De Chiara arriva a Venafro 

 

ALTRE OPERE DELL'AUTORE

Paolo De Chiara autore del libro

Una fimmina calabrese, così Lea Garofalo sfidò la ‘ndrangheta

Questa è la storia di Lea Garofalo, la donna-coraggio che si è ribellata alla ‘ndrangheta, che ha tagliato i ponti con la criminalità organizzata. Nata in una famiglia mafiosa, ha visto morire suo padre, suo fratello, i suoi cugini, i suoi parenti, i suoi amici, i suoi conoscenti.

Un vero e proprio sterminio compiuto da uomini senza cuore, attaccati al potere e illusi dal falso rispetto della prepotenza criminale.
Lea ha conosciuto la ‘ndrangheta da vicino: come tante donne, ha subìto la violenza brutale della mafia calabrese. Ha denunciato quello che ha visto, quello che ha sentito: una lunga serie di omicidi, droga, usura, minacce, violenze di ogni tipo. Ha raccontato la ‘ndrangheta che uccide, che fa affari, che fa schifo! È stata uccisa perché si è contrapposta alla cultura mafiosa, che non perdona il tradimento – soprattutto – di una fimmina.

A 36 anni è stata rapita a Milano per ordine del suo ex compagno, dopo un precedente tentativo di sequestro in Molise, a Campobasso.

La sua colpa? Voler cambiare vita, insieme a Denise. Per la figlia si è messa contro il convivente, i parenti, il fratello Floriano.

In questo Paese «senza memoria» lo Stato dovrebbe vergognarsi per come ha trattato e continua a trattare questi cittadini onesti, che hanno semplicemente fatto il proprio dovere. Gli esempi non possono essere accatastati.Devono poter sbocciare come candide rose, per inebriare le nostre menti delle loro passioni, della loro forza e del loro immenso coraggio. Senza dimenticare i familiari delle vittime, nemmeno loro possono essere lasciati soli.

Le mafie, sino a oggi, hanno ucciso più di 150 donne. Solo grazie alle fimmine è possibile immaginare un futuro diverso per questo Paese, un futuro senza il puzzo opprimente di queste organizzazioni criminali, che possono tutto per la loro immensa potenza economica e militare. Per i loro legami secolari con la politica e le Istituzioni. Con Lea e con Denise non hanno potuto nulla.

 

 

LEGGI ANCHE:

 

- Seconda edizione Premio Lea Garofalo, parla De Chiara: «Dobbiamo continuare ad impegnarci sempre di più»

- Premio Lea Garofalo, parla Gennaro Ciliberto: «La denuncia dovrebbe essere un atto normale, ma in Italia non è così»

- Premio Lea Garofalo, parla Marisa Garofalo: «I giovani sono fondamentali per la memoria delle vittime delle mafie»

- Premio Nazionale Lea Garofalo, parla Angela Napoli: «La mafia oggi è molto più pericolosa di prima»

- Premio Lea Garofalo, parla Veronica Conti: «Bisogna tenere viva la memoria nei confronti di Lea Garofalo»

- Premio Nazionale Lea Garofalo, ecco il PROGRAMMA ufficiale degli eventi

- Noi siamo liberi e non abbiamo Padroni

- Inutili lezioni di moralità

 

I NOSTRI ARTICOLI SULLA VICENDA DI PETILIA POLICASTRO

- Dopo Bari toccherà anche a Petilia Policastro?

- La bestia Carlo Cosco, mafioso-assassino-ergastolano, è nuovamente rientrata al paesello

- Lea Garofalo, a Petilia non sanno da che parte stare?

Il Governo che dice di lottare contro le mafie e non risponde nemmeno ad una interrogazione

- L'inutile scomunica lanciata contro i mafiosi

- Funerali del mafioso Curcio, la nota del Comitato: «Lo Stato deve intervenire»

- Funerali del mafioso Curcio, per la Prefettura: «I manifesti sono stati inopportuni» 

- Funerali del mafioso Curcio, parla Traina: «Il Prefetto di Crotone deve intervenire per dare un segnale forte»

- Funerali del mafioso Curcio, parla Luana Ilardo: «Un gesto penoso»

- Funerali del mafioso Curcio, parla don Algemiro (parroco di Camellino): «Una persona che uccide va contro Dio»

Mafiosi scomunicati ma non troppo, per Welby porte chiuse senza pietà

- Funerali del mafioso Curcio, parla Ravidà: «Il Comune di Petilia Policastro deve essere commissariato»

- Funerali del mafioso Curcio, parla il consigliere Fico: «chi ha partecipato deve dimettersi»

- Funerali del mafioso Curcio, l'OdG Molise: «Una volgare aggressione per Wordnews.it e il direttore Paolo De Chiara»

- Funerali del mafioso Curcio, parla il capogruppo della minoranza: «Hanno combinato un pasticcio»

- Funerali del mafioso Curcio, interviene Salvatore Borsellino: «C’è soltanto da vomitare»

- FUNERALI del MAFIOSO CURCIO. Parla Pino Cassata (Agende Rosse Rozzano): «Un cattivo esempio per i giovani»

- FUNERALI DEL MAFIOSO CURCIO: non potevano mancare le (inutili) MINACCE

- IL CASO IN PARLAMENTO. Ci sarà una risposta del Governo per i «manifesti» e i «festosi funerali» dell'assassino Curcio (il massacratore di Lea Garofalo)?

- E' la stampa, bellezza... fatevene una ragione

- CARTA CANTA. Il rap del vice-sindaco di Petilia Policastro: «Già sta sciacallando abbastanza...»

- Funerale del mafioso Curcio. Noi restiamo in attesa delle risposte da parte del vice-sindaco di Petilia

- Funerali del mafioso Curcio. Ma era presente anche il vice-sindaco di Petilia?

- Funerali del mafioso Curcio. Per Gennaro Ciliberto: «Un segnale di potenza»

- Funerali del mafioso Curcio. Ecco le reazioni (social) dopo le dimissioni dell'assessora Berardi

- Funerali Curcio (assassino ‘ndranghetista), parla il Sindaco in consiglio comunale: «Una enorme bufera mediatica»

 

Funerali Curcio (assassino e sedicente suicida): è caduta la prima testa

 

- Vicenda Curcio (massacratore 'ndranghetista), parla Brugnano: «Se il sindaco non si vuole dimettere rimuovesse l'assessora»

- Petilia: la presenza dell'assessora al funerale del killer Curcio approda in consiglio comunale?

- Funerale “festoso” per il killer, parla Piera Aiello: «Vergognatevi e andatevene a casa»

- E se Curcio (ergastolano 'ndranghetista) non si fosse suicidato?

Funerali Curcio, parla Ascari (commissione Antimafia): «Una vergogna. Presenterò una interrogazione parlamentare»

- Parla don Pasquale, il prete che ha celebrato il funerale di Curcio (il massacratore di Lea Garofalo): «Non c’è stato nessun divieto da parte della Diocesi»

- Manifesti funebri per il massacratore di Lea Garofalo. Parla Angela Napoli: «Sono indignata»

- Il VIDEO del funerale di Curcio, l'ergastolano, condannato per la distruzione del cadavere di Lea

- Lea Garofalo: i manifesti per il killer hanno aperto una voragine. Ma chi ha autorizzato il «festoso» funerale?

- Manifesto morte killer Curcio, dopo la tempesta arrivano le scuse del sindaco: «Le mafie fanno schifo»

OMICIDIO LEA GAROFALO: i «festosi» funerali per l'ergastolano Curcio

OMICIDIO LEA GAROFALO, dopo il suicidio di Curcio parla l’avv. Staiano, il suo ex legale: «Uno sventurato, è stato coinvolto nell’omicidio. Non si è potuto rifiutare»

OMICIDIO LEA GAROFALO, si è impiccato in carcere a Opera l'ergastolano Rosario Curcio

 

Giornalismo italico. A cosa servono le «regole» e i corsi di formazione?

 

- Manifesto per il killer di Lea Garofalo, irrompe l'ex sindaco: «Solo sciacallaggio politico»

Manifesto per il killer di Lea Garofalo, l'intervento delle Agende Rosse di Bisognano (Cosenza): «Il Comune da che parte sta?»

- Manifesto per il killer di Lea Garofalo, il risveglio dell'opposizione

 

Lea Garofalo, 14 anni fa il tentato sequestro di Campobasso

Scempio a Pagliarelle, colpita la pietra che ricorda Lea Garofalo

Premio Nazionale Lea Garofalo, tutto pronto per la tre giorni di eventi in Calabria

- Carlo Cosco, l’ergastolano parlante: «Non fate demagogia pietosa»

Il ritorno della bestia Carlo Cosco

OMICIDIO LEA GAROFALO. Il suo assassino è ritornato per quattro ore in paese, a Pagliarelle (Crotone). Ufficialmente per fare visita a sua madre "moribonda". La donna, Piera Bongera, solo qualche giorno prima è stata vista arzilla e serena in un supermercato. Cosa hanno in mente questi criminali? Perchè sul territorio è rientrato anche il cugino Vito Cosco, implicato nella strage di Rozzano? Per l'avvocato Guarnera: «Hanno preparato l'ambiente per dare un segnale allo stesso ambiente».

 

Carlo Cosco: la bestia si sta riorganizzando sul territorio?

Una strada per Lea Garofalo a Pagliarelle (Crotone)

Una montagna di sterco

Il Coraggio di Dire No a Taurianova

Per non dimenticare la fimmina calabrese che sfidò la schifosa 'ndrangheta

Lea Garofalo. Il Coraggio di dire NO

Lea Garofalo fa ancora paura

- LEA GAROFALO. 5 maggio 2009: il tentato sequestro di Campobasso

LEA GAROFALO. Il tentato sequestro di Campobasso

«Lea Garofalo è una testimone di giustizia»

- Il grido d'aiuto (inascoltato) di Lea Garofalo

“Lea, in vita, non è stata mai creduta”

«Con Lea Garofalo siamo stati tutti poco sensibili»

UNDICI ANNI DOPO

 

- Tutto pronto per la 2^ edizione del Premio Nazionale Lea Garofalo

- Premio Nazionale Lea Garofalo 2022