LA SENTENZA: I COLLABORATORI/5

“TRATTATIVA” STATO-MAFIA/9^ parte. Continua il nostro viaggio per “svelare” la Sentenza di Primo grado, dove i magistrati hanno dimostrato il patto scellerato tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Carmelo D’AMICO (“cosa nostra”), Francesco DI CARLO (“cosa nostra”), Emanuele DI FILIPPO (“cosa nostra”), Pasquale DI FILIPPO (“cosa nostra”).

LA SENTENZA: I COLLABORATORI/5

D'AMICO CARMELO

È stato esaminato nelle udienze del 17 aprile e 15 maggio 2015.

Si tratta di un soggetto che ha fatto parte dell'associazione mafiosa "cosa nostra" nella provincia di Messina per circa un ventennio (dal 1989 al 2009) durante il quale ha commesso innumerevoli delitti, tra i quali, per sua ammissione, "circa" trenta omicidi ("...Poi praticamente negli anni 92, ho incominciato a commettere numerosi omicidi, praticamente sono diventato uno dei killer più attivi del nostro gruppo di tutta la provincia di Messina. Personalmente ho commesso una trentina di omicidi...").

Ha iniziato a collaborare con la Giustizia nel luglio 2014 quando aveva da scontare ancora dodici anni di carcere ("Io ho iniziato la mia collaborazione con la giustizia i primi di luglio 2014, quando ero detenuto a Milano Opera... io avevo una condanna praticamente per l'operazione (PAROLA INCOMPRENSIBILE), ero stato condannato praticamente a diciotto anni di carcere per associazione mafiosa e come capo promotore e poi avevo un'altra condanna per estorsione, per estorsioni e altri processi per estorsioni dai quali ero stato assolto e così via avevo condanne in primo grado, ero stato assolto, comunque come condanne, quando ho collaborato, praticamente avevo solo un dodici anni per l'operazione Sistema 2, per estorsione e una condanna a 18 anni per quanto riguarda l'operazione (PAROLA INCOMPRENSIBILE) che è scattata il 30 gennaio 2009 e sono stato condannato a 18 anni''), spinto, a suo dire, dalle parole del Papa ("Le motivazioni sono state perché volevo cambiare vita, sia per me, sia per la mia famiglia, e non ce la facevo più a fare quella vita e praticamente poi c’è stato il Papa che aveva scomunicato tutti i mafiosi e questo fatto mi ha fatto riflettere tantissimo e ho deciso di cambiare vita e di, diciamo, di dire tutto quello che sapevo...").

L'inizio della collaborazione del D'Amico è stata caratterizzata da reticenze ("...praticamente non... Tutto quello che sapevo ai Magistrati, senza avere nessuna, diciamo, quasi nessuna riserva perché un pochettino ho avuto un po' paura nei primi tempi e mi sono riservato su alcune cose perché praticamente quando ho incominciato a collaborare, già dai primi in poi, dopo quattro giorni, già uscivano articoli sui giornali, su tutti i giornali, e tutti i giorni articoli sui giornali e la mia famiglia ancora praticamente era a Barcellona e quindi alcune cose che praticamente di grande rilevanza mi sono praticamente... "), ma il predetto è stato ammesso, comunque, al programma di protezione ("…Si, si, io sono sottoposto al programma di protezione per i collaboratori di giustizia .. "). Il 4 aprile 2015 D'Amico ha chiesto di essere sentito per integrare le precedenti dichiarazioni con quanto poi riferito nel dibattimento in questo processo ("Perché, dottore Di Matteo, perché le volevo integrare tutti i verbali con queste dichiarazioni...").

Il ritardo col quale il D'Amico ha ritenuto di riferire i fatti così rilevanti concernenti questo processo elevano, indubbiamente, a sospetto l'attendibilità delle sue dichiarazioni.

E, tuttavia, tenuto conto sia delle ragioni esposte per giustificare il ritardo (i timori per l'incolumità sua e della sua famiglia), sia del fatto che non solo è stato accertato che effettivamente il D'Amico ha avuto modo di colloquiare con Rotolo (v. nota del Direttore della Casa di Reclusione di Milano-Opera acquisita all'udienza del 17 aprile 2015 con la quale si comunica che i detenuti Carmelo D'Amico e Antonino Rotolo "dal 3/3/2012 al 11/4/2014 hanno fatto parte del medesimo gruppo di socialità, ed ubicati rispettivamente nelle camere detentive nr. 3 e 30 della Sezione B Primo Piano, evidenziando che le due camere sono l'una di fronte all'altra", mentre "dal giorno 11/4/2014 il detenuto D'Amico è fuoriuscito dal gruppo ed è stato spostato alla camera nr. 3 della Sezione B del secondo piano del reparto 41 bis, ove è rimasto sino al suo trasferimento avvenuto in data 8/7/2014"), ma, altresì, che effettivamente si era instaurato tra gli stessi un rapporto confidenziale, così come si ricava da un passo delle dichiarazioni di Galatolo Vito, il quale, infatti, ha confermato di essere stato detenuto per un periodo nel carcere di Pagliarelli contemporaneamente con Rotolo Antonino (v. dich. Galatolo: "Sì, si, non nella stessa cella, ma nello stesso piano") e, soprattutto, che quest'ultimo gli aveva pagato le spese legali (v. ancora dich. Galatolo: "Ora spiego, siccome io avevo mi sembra il mio Avvocato di fiducia, l'Avvocato Giuseppe Di Peri e poi l'ha sostituito Rosanna Velia e Di Peri è stato sempre Avvocato di mio padre, mentre che eravamo nei passeggi, si parlava. Siccome io a Di Peri non l'avevo più, avevo l'Avvocato Rosanna Velia, dice avrei il piacere che ti assumerei un Avvocato che ti servisse meglio, che al più presto così sei fuori. Dissi: no, zio Nino, non c'è motivo. Ma io non avevo problemi di Avvocati, io ho avuto, a parte quello che c'ho oggi che è un bravissimo Avvocato, anche prima i migliori Avvocati di Palermo, Di Peri, D'Azzò, Velia, Giovinco, Di Benedetto, ho avuto i migliori Avvocati. Non solo mi ha pagato l'Avvocato, ma anche quando è uscito ha mandato a casa mia, tramite se non mi sbaglio Salvino, u studentino, u Sorrentino, dei vestiti, proprio vestiti pregiati per me, ma un regalo a me, a qualche altro detenuto, così, perché mi voleva bene") e, quindi, circostanze di fatto non recenti e assolutamente non note o conoscibili se non per le confidenze ricevute da D'Amico direttamente da Rotolo e che inevitabilmente, non essendo altrimenti spiegabile la conoscenza di esse da parte del D'Amico, superano i rilievi opposti dalla difesa dell'imputato Cinà in sede di discussione anche sotto i profili della sostenuta "impossibilità oggettiva" di comunicazione tra i detenuti e del trasferimento del D'Amico, in data 11 aprile 2014, ad altra cella (v. trascrizione udienza del 22 marzo 2018).

Ne consegue che, per gli elementi di conoscenza acquisiti in questa sede, deve ritenersi che anche D'Amico Carmelo superi il vaglio preliminare di credibilità necessario per affrontare il merito delle sue dichiarazioni, che, tuttavia, per gli elementi di criticità prima ricordati, saranno valutate con estrema attenzione e nei limiti in cui sarà possibile acquisire adeguati riscontri esterni.

 

DI CARLO FRANCESCO

È stato esaminato nelle udienze del 30 gennaio e 27 febbraio 2014.

Storico appartenente alla associazione mafiosa "cosa nostra", essendo entrato a far parte nel 1961 della "famiglia" di Altofonte ("...Maggio-giugno, mi sembra maggio era, del 1961, nella famiglia di Altofonte ... ") nella quale, poi, ha anche ricoperto le cariche di consigliere, sottocapo e, infine, rappresentante ("consigliere, sottocapo e anche rappresentante della famiglia di Altofonte. Rappresentante significa capo famiglia… Consigliere verso i primi anni 70, nel 74 sempre capo e poi nel 76 capo famiglia… Capo famiglia fino anni... Fine 78. Poi mi sono dimesso, perché di capo famiglia o di una carica dentro la famiglia uno si può dimettere. Non può uscire da Cosa Nostra, sennò lo mettono fuori, ma di una carica, o capo decina, si può dimettere"), ha avuto intensi rapporti sia con il capo mandamento Bernardo Brusca sia con Salvatore Riina (''Eravamo quasi giornalieri che ci vedevamo, sia Bernardo Brusca tante volte ha dormito a casa mia a Palermo per non salire a San Giuseppe tardi e anche perché mi sembra dovevano notificare qualche misura, non so se era confine o era sorveglianza, e cercava di non dormire a casa di lui e tante volte è capitato di dormire a casa mia, ma ogni giorno eravamo insieme. E ogni giorno ci vedevamo con Salvatore Riina, Totuccio Riina, chiamato da noi Totuccio").

Nel 1982, tuttavia, il Di Carlo è stato messo fuori "famiglia" ed invitato a restare a Londra, ove già da qualche tempo si recava frequentemente ("...Di un orecchio mi è entrato e di un altro... Poi mi fanno sapere, visto che io non tengo ad alcune cose, perché la mia lamentela era che conoscevo e capivo Cosa Nostra come è e come era, ho detto: qua non vi fermate, durerà venti anni questa situazione. Dicendo che c'erano gli ultimi sgoccioli, chiamiamoli sgoccioli, le persone che dovevano morire, ma se tu non vuoi sentirne niente di queste cose, meglio che te ne vai a Londra e ti stai a Londra. Da questo minuto sei fuori famiglia. Va bene... Me l'hanno fatto comunicare tramite i miei fratelli"), pur continuando ad intrattenere rapporti con molti sodali, tra i quali lo stesso Riina.

In Inghilterra il Di Carlo ha subito un lungo periodo di carcerazione per traffico di stupefacenti sino al 13 giugno 1996 quando era stato trasferito in Italia, iniziando, quindi, a collaborare con la Giustizia e mostrando di essere un grande conoscitore della organizzazione mafiosa e delle sue dinamiche interne, oltre che di molte vicende che ne hanno caratterizzato la vita.

Ora, premesso che nel caso del Di Carlo non appaiono emergere le medesime criticità già rilevate per altri collaboratori di Giustizia, va, però, osservato che le sue propalazioni lasciano spazi a dubbi sull'autoattribuzione di ruoli e conoscenze che, seppure in astratto non siano incompatibili con dati fattuali aliunde accertati riguardo al medesimo dichiarante, tuttavia presentano aspetti di limitata verosimiglianza che impongono una utilizzabilità delle stesse

condizionata ad una più approfondita ricerca di riscontri esterni e ad una altrettanto approfondita ricostruzione dei contesti in cui sono maturate le conoscenze riferite.

D'altra parte, devono, sin d'ora, disattendersi alcuni specifici rilievi formulati dalla difesa dell'imputato Dell'Utri riguardo alla attendibilità dello stesso ed alla utilizzabilità di talune sue dichiarazioni.

Invero, all'udienza del 27 marzo 2014 la difesa dell'imputato Dell'Utri ha depositato - ed è stata acquisita al fascicolo del dibattimento - la sentenza pronunziata dalla Corte di Assise di Palermo il 13 febbraio 2004 nei confronti di Savoca Giuseppe (irrevocabile il 29 giugno 2004) relativa all'omicidio di Spinelli Vincenzo, commesso in Palermo il 30 agosto 1982.

Ciò al fine di dimostrare che, all'esito di quel processo, Savoca Giuseppe, accusato del predetto omicidio da Di Carlo Francesco e Onorato Francesco, era stato assolto ritenendo che le dichiarazioni di questi ultimi, entrambe de relato, non potessero riscontrarsi reciprocamente atteso che le rivelazioni del primo erano state successive ai suoi colloqui in carcere con il secondo e data, pertanto, la possibilità di condizionamenti o influenze anche inconsapevoli.

Nella sentenza, invero, si dà atto che "i due collaboranti sono stati infatti codetenuti presso la Casa di reclusione di Rebibbia fin dal 13.1.1997 e hanno socializzato in numerose giornate dei mesi di gennaio, febbraio e marzo 1997 e anche successivamente, fino al 23.7.97" e che tali incontri, dunque, erano "iniziati anteriormente al 21 marzo 1997, data del primo interrogatorio reso dall'Onorato sull'omicidio de quo".

Per completezza, va detto, però, che nella stessa sentenza, così come in quella di primo grado, non è stato mai posta in dubbio l'attendibilità intrinseca del Di Carlo, anzi, confermata anche dalla Corte di Cassazione, che, con la sentenza del 13 novembre 2002 con la quale aveva annullato la precedente condanna del Savoca, aveva, comunque, osservato che tale intrinseca attendibilità era stata oggetto di analitica dimostrazione e che il relativo giudizio positivo emesso dalla Corte di merito era immune da vizi logici.

L'assoluzione dell'imputato, dunque, in sostanza è dipesa, non già da un giudizio negativo sulla attendibilità del Di Carlo, ma dalla considerazione che entrambe le dichiarazioni erano de relato e che i fatti narrati dai due collaboranti in ordine al Savoca provenivano dalle stesse fonti informative ed essendo, quindi, esse prive di una conclusiva rilevanza probatoria autonoma.

Parimenti, deve essere, come detto, in ogni caso, disattesa l'eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni del Di Carlo sollevata dalla difesa dell'imputato Dell'Utri in relazione ai contatti che il Di Carlo medesimo avrebbe avuto con Onorato Francesco.

Ed invero, a prescindere dalla genericità della detta risultanza della citata sentenza, deve comunque, rilevarsi che "la dichiarazione resa in dibattimento da collaboratore di giustizia, che - in contrasto con quanto previsto dall'art. 13, comma quattordici, D.L. n. 8 del 1991, come modificato dalla l. n. 45 del 2001 - abbia avuto contatti con altri detenuti o collaboratori, non è inutilizzabile, atteso che tale sanzione colpisce solo le dichiarazioni rilasciate, in fase di indagini preliminari, al Pubblico ministero o alla polizia giudiziaria" (Cass. Sez. II 11 aprile 2013 n. 20798, Ravese ).

In sostanza, ove anche si fosse verificata la violazione denunziata dalla difesa dell'imputato Dell 'Utri, la dedotta inutilizzabilità ex art. l 3 comma 14 della legge n. 8 del 199 l, così come modificata dalla legge n. 45 del 200 I, sarebbe priva di ogni rilievo processuale, dal momento che la sanzione prevista dal successivo comma 15 riguarderebbe solo le dichiarazioni rese al P.M. e alla P.G. e non già quelle rese dal Di Carlo nel presente dibattimento nel pieno contraddittorio delle parti ( cfr., ex plurimis, anche Cass. n. 16199/2002 e Cass. n. 16775/2010).

 

DI FILIPPO EMANUELE

È stato esaminato all'udienza del 9 aprile 2015.

Soggetto appartenente alla organizzazione mafiosa "cosa nostra" sin dai primi anni ottanta e partecipe di alcuni omicidi commessi per conto di questa facendo parte del c.d. "gruppo di fuoco di Ciaculli", Emanuele Di Filippo è stato arrestato nel 1994 ed ha, poi, iniziato a collaborare il 26 maggio 1995, confessando le proprie responsabilità e ricostruendo molti episodi delittuosi di cui era stato partecipe o di cui, comunque, era a conoscenza.

Emanuele Di Filippo, a conferma anche della scelta definitiva di collaborare con la Giustizia, non ha esitato ad accusare anche il fratello Pasquale e le sue dichiarazioni sono state sempre riscontrate e ritenute attendibili.

Del tutto positivo, dunque, deve essere il giudizio preliminare sulla credibilità del detto dichiarante.

 

DI FILIPPO PASQUALE

È stato esaminato all'udienza del 20 marzo 2015.

Pasquale Di Filippo, genero del noto Tommaso Spadaro, già indicato dal fratello Emanuele come soggetto pure appartenente alla associazione mafiosa che manteneva anche stretti rapporti con Leoluca Bagarella, è stato posto in stato di fermo il 21 giugno 1995.

Indi, Pasquale Di Filippo ha iniziato immediatamente a collaborare con la Giustizia fornendo le indicazioni decisive per pervenire, di lì a pochi giorni, alla cattura del latitante Bagarella.

Lo stesso collaborante, quindi, forniva indicazioni utili per individuare alcuni immobili utilizzati dall'organizzazione mafiosa, tra i quali uno sito nella via Pietro Scaglione di Palermo al cui interno veniva rinvenuta documentazione di eccezionale interesse che consentiva anche di procedere all'arresto di Antonino Mangano divenuto "reggente" del "mandamento" di Brancaccio dopo l'arresto dei fratelli Graviano.

Anche in questo caso, pertanto, il giudizio preliminare sulla credibilità del detto dichiarante non può che essere assolutamente positivo.

 

Per approfondimenti:

PRIMA PARTE, giovedì 21 maggio 2020Il Patto Sporco: la sentenza dimenticata

SECONDA PARTE, domenica 24 maggio 2020, Stato-mafia: la sentenza

TERZA PARTE, lunedì 25 maggio 2020, Le tappe della Sentenza dimenticata

QUARTA PARTE, martedì 26 maggio 2020, La Sentenza: i Corleonesi

QUINTA PARTE, giovedì 28 maggio 2020, La Sentenza: i Collaboratori/1

SESTA PARTE, sabato 30 maggio 2020, La Sentenza: i Collaboratori/2

SETTIMA PARTE, domenica 31 maggio, La Sentenza: i Collaboratori/3

OTTAVA PARTE, martedì 2 giugno 2020, La Sentenza: i Collaboratori/4