LE ATTIVITÀ DELLA MAFIA DI CAMPAGNA

Gli interventi della mafia nelle ELEZIONI/13^ parte. Continua il nostro “viaggio” per raccontare, attraverso la documentazione, l’origine del male. «Nelle sue grandi linee perciò l'interferenza elettorale della mafia non fu concepita e attuata come una semplice espressione di clientelismo a livello personale, ma ebbe invece alle spalle un vero e proprio disegno politico».

LE ATTIVITÀ DELLA MAFIA DI CAMPAGNA
Dal film «In nome della legge» del regista Pietro Germi

L'ultima frase di Genco Russo richiama l'attenzione sul comportamento tenuto dalla mafia in occasione delle competizioni elettorali.

Si è già accennato come questo dell'intervento nelle elezioni sia un dato ricorrente nella storia della mafia. La letteratura è ricca di episodi e di vicende, che documentano in modo certo l'influenza esercitata dalla mafia a favore di determinate formazioni politiche o di singoli candidati.

I metodi usati sono i più vari e spesso consistono in autentiche truffe in danno di elettori ancora inesperti e che non credono nella libertà e segretezza del voto; ma anche dopo che i ceti popolari avranno acquistato fiducia nei sistemi della democrazia, rimarrà tuttavia diffusa la convinzione che l’impenetrabile potere dei mafiosi è in grado di influenzare i risultati elettorali e addirittura di controllare, nonostante la sua segretezza, l'espressione del voto.

L'impiego di congegni tecnici sempre più perfezionati per garantire la libera manifestazione del voto riduce opportunamente, fino a comprimere del tutto, la possibilità di insidiosi interventi truffaldini, ma ciononostante, nel mondo rurale della Sicilia, il mafioso conserva l'autorità sufficiente per trasformarsi in un agente elettorale, magari per distribuire volantini propagandistici, per dare infine «buoni consigli» spesso uniti a velate minacce.

Il fenomeno, in fondo, non è gran che diverso da quelli che hanno caratterizzato, nel secolo scorso, e nei primi decenni dell'attuale, le vicende elettorali di talune zone agricole dell'Italia, specie meridionale, di quelle zone cioè in cui ha dominato per anni la figura del notabile locale, o comunque del «grande elettore», capace di orientare i voti dei ceti popolari, o soltanto con la sua autorità e il suo prestigio, o mediante il ricorso (esplicito o tacito) a lusinghe e minacce.

In Sicilia, però, il fenomeno non solo si è prolungato nel tempo, ma ha anche assunto proporzioni allarmanti e note peculiari, soprattutto perché è stato proprio attraverso lo strumento delle elezioni che la mafia ha cercato, specialmente in passato, uno stabile aggancio con i pubblici poteri, nel tentativo di favorire lo svolgimento di una determinata politica, al servizio degli interessi dei ceti dominanti più retrivi.

In questo senso, l'intervento della mafia nelle competizioni elettorali assume un preciso significato politico, che va spesso al di là dei singoli episodi, in cui si è specificamente manifestato, e che si inserisce al contrario nel quadro più generale di un'azione diretta ad incidere in qualche modo sull'evoluzione sociale e costituzionale del Paese.

Si colloca, appunto, in questo quadro il massiccio appoggio che la mafia diede nei primi anni del dopoguerra al Movimento separatista e che si espresse, tra l'altro, in una vivace e insistente propaganda a favore delle liste indipendentiste.

I risultati elettorali di quei tempi provano con chiarezza l'intervento della mafia a favore dei candidati separatisti e dimostrano come in alcune zone l'elettorato subisse le pressioni e le indicazioni dei mafiosi, non solo, ma anche di veri fuorilegge, come Giuliano e i suoi accoliti condussero a Montelepre e nei paesi vicini una fervida campagna a favore del separatismo, avvalendosi dei più vistosi strumenti di propaganda e facendo uso in particolare di manifesti e volantini, tutti ispirati dall'amore per una Sicilia libera e indipendente dall'Italia.

Puntualmente le popolazioni locali risposero compatte all'appello di Giuliano, tanto che i voti raccolti dal Movimento indipendentista furono 1.521 a Montelepre, 2.612 a Partinico, 443 a Giardinello, con una percentuale in tutti i casi superiore a quella degli altri raggruppamenti politici.

Il fenomeno si protrasse, se pure in forma meno accentuata, anche dopo la scomparsa del separatismo, soprattutto nei centri rurali dell'interno dell'Isola e nelle borgate dei grossi agglomerati urbani, in primo luogo a Palermo.

Un'influenza effettiva sulla volontà degli elettori si può infatti esercitare solo nell'ambito di comunità popolari di modeste dimensioni ed in questo senso si può ben dire che il clientelismo elettorale (almeno nel significato tradizionale) sia stato una caratteristica tipica della mafia agricola, per assumere poi in altri contesti, se pure non è scomparso, diversi aspetti e una diversa incidenza.

Sulla base di queste premesse, la Commissione ha ritenuto di condurre una specifica indagine, per saggiare la portata reale dell'influsso esercitalo dalla mafia, in tempi relativamente recenti, sul comportamento elettorale delle popolazioni siciliane.

L'indagine è stata limitata, per quanto prima si è detto, ai centri di minori dimensioni ed ha avuto come punto di riferimento la misura degli interventi, mafiosi nella distribuzione dei voti personali e non dei voti di lista.

In realtà, è un dato dell'esperienza che l'influenza clientelare tenda ad esercitarsi anzitutto mediante l'orientamento dei voti a favore di determinate persone, mentre si è anche potuto constatare che una ricerca analitica fondata sull'esame dei risultati elettorali non avrebbe avuto in pratica nessuna speranza di successo se riferita direttamente e soltanto ai voti di lista e non a quelli di preferenza.

Del resto, l'individuazione dell'appoggio mafioso a certi candidati costituisce (indirettamente) una prova della scelta fatta dalla mafia a favore dei raggruppamenti politici che li esprimono, ciò soprattutto nel caso in cui simili interventi facciano registrare una frequenza maggiore e più diffusa nello spazio e nel tempo.

Con questi limiti e nella prospettiva indicata, sono state prese ad oggetto dell'indagine, le elezioni nazionali per la Camera dei deputati che si sono svolte in Italia dal 1953 al 1968 (e più precisamente i voti di preferenza espressi in occasione di tali elezioni), in quanto esse indubbiamente hanno rappresentato le competizioni più importanti, fra tutte quelle che si sono svolte nel Paese ed anche perché il fatto di un'eventuale influenza mafiosa rispetto a queste elezioni connota l'accadimento di particolare significato.

La ricerca peraltro ha avuto lo specifico obiettivo di individuare attraverso la quantificazione percentuale dei dati, quelle situazioni anomale rispetto alle medie nazionali e locali, che potessero suggerire l'opportunità di approfondire l'indagine in altre direzioni, per reperire altre circostanze (di diversa provenienza) che permettessero una interpretazione univoca del dato numerico.

A questo fine, è stata in primo luogo calcolata l'incidenza dell'elemento personale (e cioè la percentuale delle preferenze espresse rispetto ai voti di lista) in otto circoscrizioni elettorali appartenenti a diverse aree geografiche del Paese e l'operazione è stata quindi ripetuta in ventidue comuni della Sicilia occidentale, presi come «aggregato campione» e che sono: Bagheria, Corleone, Monreale, Partinico e Termini Imerese per la provincia di Palermo; Alcamo, Castellammare, Castelvetrano, Mazara del Vallo e Salemi per la provincia di Trapani; Sciacca, Ruberà, Raffadali, Palma Montechiaro, Favara e Licata per la provincia di Agrigento; Mussomeli, Niscemi, Riesi, S. Cataldo, S. Caterina e Villalba per la provincia di Caltanissetta.

Da questa prima indagine è anzitutto risultato che l'indice di personalizzazione segna, per tutti i partiti, sia pure in varia misura, una chiara tendenza dell'aumento nelle circoscrizioni meridionali rispetto a quelle settentrionali.

Con riguardo, poi, ai singoli partiti, si è accertato che la Democrazia cristiana presenta nel Paese un indice di personalizzazione tendenzialmente più elevato di quello di altri partiti ed ha in particolare nella Sicilia occidentale un elettorato ancona più incline ad esprimere il voto di preferenza.

Peraltro, tra i due collegi siciliani, il 29°, che è quello delle province occidentali, registra un indice di personalizzazione sempre superiore a quello delle province orientali.

In linea generale, inoltre, e cioè in tutto il territorio nazionale, l'indice di personalizzazione delle liste democristiane tende a diminuire parallelamente ad un aumento percentuale dei voti del partito, mentre tende ad aumentare o, quanto meno, a rimanere stazionario, nei casi in cui si registra una flessione (sia pure considerevole) dei voti di lista.

Il fenomeno può essere spiegato ipotizzando che in occasione di un aumento del suffragio di lista il voto sia caratterizzato da una maggiore incidenza delle motivazioni politiche e da una conseguente diminuzione percentuale delle preferenze, e che in presenza di una flessione del partito, l'elettorato che continua a votare per la stessa lista finisca con l’esprimere, proporzionalmente, un voto meno politico e dunque più personalizzato.

È ad ogni modo evidente che l'accennato rapporto (tendenziale) tra i voti di lista e quelli di preferenza costituisce, per quanto riguarda la Democrazia cristiana, un punto di riferimento di estrema utilità, per ogni comparazione che tenda ad individuare (con riguardo a certe zone territoriali), gli elementi di conformità o di anomalia.

Anche l'elettorato del Partito comunista italiano come quello della Democrazia cristiana conferma la generale tendenza all'aumento degli indici di personalizzazione nei collegi meridionali. Per questo partito, peraltro, il collegio della Sicilia occidentale denuncia indici sempre più alti di quelli delle province orientali con una differenza, minima, nel 1953, ma che è andata progressivamente aumentando, tanto da raggiungere, nel 1968, 39 punti.

Gli stessi rilievi valgono, in termini più o meno analoghi, anche per il Partito socialista italiano, che ha quasi sempre raggiunto, nella Sicilia occidentale gli indici più elevati di personalizzazione rispetto a quelli ottenuti negli altri collegi dalle liste dello stesso partito. L'elettorato del MSI-Destra nazionale invece non si esprime, nel 29° collegio, con una percentuale di voti di preferenza particolarmente elevata, ma anche i suoi candidati ottengono nel meridione più voti personali di quanto non ne abbiano nelle restanti regioni.

Quest'ultimo dato si riscontra pure per le liste del Partito socialista democratico italiano e per il Partito repubblicano italiano, ma mentre per il primo dei due partiti l'indice di personalizzazione nella Sicilia occidentale è sempre stato superiore a quello relativo alle province orientali, ciò è avvenuto per i repubblicani in tre delle quattro competizioni elettorali prese in esame. Al contrario, per il Partito liberale italiano, la percentuale dei voti di preferenza nei collegi occidentali non è stata mai particolarmente alta, tranne che per le elezioni del 1953, e fu comunque inferiore a quella registrata nella Sicilia orientale in occasione delle competizioni elettorali del 1958 e del 1968.

D'altra parte, per ciò che specificamente riguarda i comuni scelti come «aggregato campione» è rimasto accertato che in essi gli indici di personalizzazione delle liste democristiane sono stati sempre superiori a quelli del 29° collegio e che altrettanto è avvenuto per il PSI, salvo che nelle elezioni del 1968, nelle quali gli indici furono inferiori a quelli medi del collegio in tre dei suddetti comuni.

Anche il MSI-Destra nazionale ha fatto registrare, in queste località, indici in genere superiori agli indici del collegio in 19 comuni nel 1953, in 16 nel 1958, in 17 nel 1963 e in 21 nel 1968, mentre per il PCI lo stesso fenomeno è stato registrato in 15 comuni nelle elezioni del 1953, del 1958 e del 1963 e in 12 comuni in quelle del 1968.

Allo stesso modo le percentuali dei voti di preferenza hanno superato le corrispondenti percentuali del collegio, per il PSDI .in 13 comuni nel 1953, m 12 nel 1958, in 5 nel 1963 e in 19 nel 1968, per il PLI in 3 comuni nel 1953, in 14, nel 1963 e in 17 nel 1968 e infine per il PRI in 8 comuni nel 1953, in 6 nel 1963 e in 18 nel 1968, in coincidenza col rafforzamento elettorale che in quelle elezioni ebbe il partito nel Paese e in Sicilia.

Da tutti gli elementi fin qui esposti emerge con chiarezza il dato che, almeno fino al 1968, nelle province della Sicilia occidentale e soprattutto nei comuni dell'aggregato campione (che poi sono quelli in cui è più spiccata l'influenza mafiosa) il voto di preferenza è stato usato per tutti i partiti con frequenza (tendenzialmente) maggiore di quanto non sia avvenuto nel resto d'Italia.

In quelle zone cioè il singolo candidato ha svolto nelle varie competizioni elettorali un ruolo più incisivo rispetto a quello che hanno avuto i candidati al Parlamento nelle altre regioni italiane.

Si tratta di un dato di per sé significativo, e che è servito di premessa allo sviluppo dell'indagine, in quanto è stato usato come un elemento di paragone nell'analisi dei voti di preferenza ottenuti dai vari candidati nei singoli comuni dell'aggregato campione.

In questo secondo momento, l'esame analitico delle posizioni dei singoli candidati ha avuto lo scopo di individuare i casi di anomalia rispetto al normale andamento (sul piano nazionale o locale) delle singole competizioni elettorali.

In via generale, si può dire che sono stati considerati anomali (riguardo alla norma) i casi dei candidati che abbiano fatto registrare un aumento dei voti personali maggiore di quello conseguito dalle liste di appartenenza o che abbiano ottenuto, da una elezione all'altra, un sensibile aumento di voti, nonostante la relativa stabilità dei voti di lista.

Le ricerche compiute sui risultati elettorali nei ventidue comuni dall'aggregato campione hanno messo in evidenza, per i vari partiti, molti casi anomali del genere ora indicato.

Si possono citare tra gli altri i seguenti esempi di singoli candidati che in due elezioni successive hanno fatto registrare cospicui aumenti di voti personali, passando: a Castellammare del Golfo da 72 a 530 voti, a Palma Montechiaro da 27 a 252 voti, a Bagheria da 540 a 1.392, a Favara da 189 a 591, a Ribera da 118 a 548, a Mussomeli da 511 a 1.401, a Monreale da 101 a 492, a Mazara del Vallo da 68 a 681, a Sciacca da 292 a 1.090, da 282 a 641, da 200 a 615, infine da 175 a 817.

In tutti i casi accennati, gli aumenti delle preferenze non hanno mai trovato corrispondenza in una crescita analoga di suffragi di lista, ma si sono al contrario verificati nei momenti di flessione o di relativa stabilità dei partiti di appartenenza dei candidati più votati.

Ne deriva perciò (data la caratterizzazione mafiosa delle zone considerate) un elemento di sospetto a carico di coloro che nel corso degli anni hanno visto aumentare i propri voti in modo sproporzionato a quelli di lista, anche se si tratti - come è ovvio - di un elemento di giudizio non univoco, ma di incerta interpretazione, essendo ben possibile che l'anomalia della curva dei voti di preferenza sia dipesa, nei vari casi, da fattori diversi, del tutto estranei ad un'ipotesi di collusione tra mafia e singoli uomini politici.

Sta di fatto però che per alcuni dei candidati, rispetto ai quali sono state accertate le descritte anomalie elettorali, esiste agli atti della Commissione una precisa documentazione di Polizia circa i loro rapporti di vario tipo con personaggi della mafia. Tra i casi più significativi, in un elenco comunque parziale e incompleto, si possono incordare i seguenti esempi, tutti relativi a candidati, che in una o più elezioni politiche che si sono svolte tra il 1953 e il 1968, hanno visto aumentare in modo anomalo i propri voti di preferenza nei comuni dell'aggregato campione:

1) secondo la Questura di Palermo un uomo politico, che nel 1958 ottenne 5.000 voti di preferenza in uno dei suddetti comuni, intervenne nel 1959 a favore del capomafia Benedetto Valenza, riuscendo a fargli ottenere la concessione di numerose linee di autotrasporti;

2) a loro volta i Carabinieri hanno riferito di un candidato legato da saldi vincoli di amicizia con il noto mafioso Antonio Di Cristina e pubblicamente appoggiato, durante la campagna elettorale del 1963, dal mafioso Calogero Piccadaci;

3) sempre in occasione delle elezioni del 1963, lo stesso Piccadaci sostenne anche un secondo candidato, il quale inoltre fu visto più volte, durante i comizi, in compagnia di Giuseppe Ferreri e di Salvatore Terranova, sospettati di appartenenza alla mafia;

4) un altro candidato mantenne, come riferiscono i Carabinieri, «contatti politici con d'indiziato mafioso Antonino La Monica», e spese inoltre il suo interessamento a favore di Tommaso Buscetta, scrivendo per lui una lettera di segnalazione;

5) stando alle informazioni dei Carabinieri, i mafiosi Girolamo Mangione, Vincenzo Morello, Vincenzo Catanzaro e Vincenzo Di Carlo ebbero stretti contatti e mantennero buoni rapporti con un noto uomo politico siciliano;

6) lo stesso Di Carlo e gli indiziati mafiosi Francesco Micalizzi, Adriano Cascio Mule e Maria Rosario Sciortino ebbero rapporti con un altro esponente politico. In particolare il Micalizzi «collaborò con lui durante le campagne elettorali». Inoltre i loro furono contatti di affari, perché soci nella gestione di un mulino. A sua volta, il Mule svolse propaganda elettorale per lui, mentre lo Sciortino «sostenne la sua candidatura»;

7) un biglietto e una lettera autografa provano che uno dei candidati, che fecero registrare forti aumenti di voti preferenziali, intervenne a favore dei mafiosi Antonino Matranga e Stefano Messina per ottenere la revoca della misura della sorveglianza speciale;

8) il capomafia Giuseppe Genco Russo, secondo le informazioni dei Carabinieri, ebbe «rapporti cordiali ed amichevoli» con un uomo politico della sua provincia, la cui candidatura al Parlamento venne inoltre sostenuta, durante le varie competizioni elettorali, da Calogero Piccadaci, Salvatore Terranova, Giuseppe Ferrugia e dal noto mafioso Antonio Di Cristina, che aveva con lui «saldi vincoli di amicizia e di interessi politici»;

9) una serie di lettere, acquisite dalla Commissione (e pubblicate nei capitoli seguenti), documentano l'esistenza di rapporti personali tra un ex parlamentare siciliano (ora defunto) e il boss mafioso Frank Coppola: tra l'altro sarebbe stato lui a presentare a Coppola, Salvatore Greco;

10) durante le elezioni del 1968, in uno dei comuni dell'aggregato campione, un candidato di una delle liste concorrenti riuscì ad ottenere il doppio dei voti di preferenza andati al capolista, che pure era una personalità di livello nazionale. Secondo le informazioni di polizia, l'uomo politico in questione era legato da rapporti di amicizia con la famiglia di un capomafia locale, tale Francesco Di Cristina, tanto che nella sua qualità di consigliere delegato di una società aveva assunto come impiegato di seconda classe un figlio del Di Cristina, Giuseppe, proprio allo scadere di un periodo di soggiorno obbligato. È significativo inoltre che un altro figlio del Di Cristina, Antonio, era sindaco del paese, a cui si riferiscono i fatti ora esposti;

11) risulta ancora dalle indagini di Polizia che i mafiosi Nicolo Trentacoste, Domenico Giudice, Luigi Matese e Calogero Diana mantenevano rapporti di diverso genere e intensità con uomini politici, candidati alle elezioni per la Camera dei deputati, e anche essi avvantaggiati da votazioni preferenziali particolarmente cospicue e comunque non conformi alla norma;

12) infine un dirigente di partito del palermitano, sottoposto al soggiorno obbligato, viene indicato nel provvedimento dell'Autorità giudiziaria come una persona che continuava «a mantenere contatti tra gli associati dalla banda Leggio».

Come già si è accennato, quelli elencati non sono tutti i casi, documentati agli atti della Commissione, dell'influenza esercitata da mafiosi a favore di candidati alle elezioni, ed è facile d'altra parte dedurre, dalla frequenza e dalle caratteristiche che li connotano, come essi siano in realtà rappresentativi di un'esigua minoranza degli episodi di clientelismo elettorale di stampo mafioso che con ogni verosimiglianza si sono dovuti verificare nel corso degli anni, nelle regioni della Sicilia occidentale, sia pure senza lasciare le stesse tracce probatorie di quelli prima citati.

È stato anzi appunto per questa ragione che non si è ritenuto opportuno di fare i nomi delle persone interessate nei casi specificamente ricordati non sembrando equa, più che mai in un'ipotesi del genere, la logica del capro espiatorio ed essendo sempre possibili, in relazione a singole persone e specie in una materia come questa, equivoci od errori.

Si è creduto, tuttavia, di far cenno dei suddetti episodi accertati dalla Commissione e delle interferenze mafiose nelle competizioni elettorali, per non lasciare senza un riscontro obiettivo questo aspetto così importante del fenomeno che qui interessa, ed anche per meglio evidenziare, con la forza degli esempi, come nel dopoguerra tanti uomini politici non abbiano esitato a stringere, in Sicilia, pericolose relazioni con uomini della mafia, pur di averne al momento opportuno qualche vantaggio, normalmente di carattere elettorale.

Le testimonianze acquisite dalla Commissione, attraverso i rapporti della Polizia e dei Carabinieri, non lasciano dubbi in proposito e avallano l'ipotesi che questi rapporti cercati o magari scelti dagli uomini politici con i mafiosi siano stati uno dei fattori, e non dei meno importanti, della potenza della mafia, uno degli strumenti che le hanno permesso di completare il cerchio della sua influenza, di formarsi, come dicono i sociologi, un partito al proprio servizio.

Naturalmente non può escludersi, ma è anzi verosimile, che molti dei casi di interferenze mafiose nelle competizioni elettorali che si sono svolte in Sicilia nel tempo qui considerato non abbiano avuto altro significato che quello di un malcostume personale, tanto pesante da non conoscere confine di partito o di ideologia.

Sta di fatto, tuttavia, che al di là o insieme con episodi del genere il provato interesse della mafia per le elezioni, che ebbero luogo in Sicilia nel dopoguerra, esprime il più vasto disegno di incidere in qualche misura, attraverso lo strumento elettorale, sull'evoluzione politica e sociale del Paese.

I risultati della specifica indagine compiuta dalla Commissione non possono non confermare, sia pure indirettamente (perché si riferiscono ad una epoca più recente), che la mafia - non appena fu chiaro che l'assetto istituzionale e politico del Paese sarebbe stato di nuovo affidato al sistema elettorale – ritenne indispensabile un suo intervento anche in questo settore, per contribuire a mantenere immutate quelle strutture socio-economiche che erano state il supporto della sua forza e, almeno fino allora, della sua stessa sopravvivenza.

Nelle sue grandi linee perciò l'interferenza elettorale della mafia non fu concepita e attuata come una semplice espressione di clientelismo a livello personale, ma ebbe invece alle spalle un vero e proprio disegno politico (non importa stabilire in che misura comportato o spontaneo), il piano cioè di appoggiare quelle forze che apparivano impegnate in un'opera di restaurazione in primo luogo nel rifiuto di una riforma davvero radicale delle strutture semifeudali della società agricola siciliana.

Se è vero che il ruolo giocato dalla mafia, in tutta la sua storia, fu quello di impedire la fine del sistema agrario in Sicilia, è fuori discussione che, almeno nei primi anni dal dopoguerra, fu ispirato a questa stessa intenzione anche il suo intervento a favore di determinati canditati, nelle prime elezioni (nazionali e locali) dell'Italia tornata democratica.

Successivamente, una volta attuata la riforma agraria, l'interesse elettorale dei mafiosi (al di là di casi di corruttela personale) ha avuto evidentemente altri scopi e diversi obiettivi, tutti forse riconducibili all'intenzione di conservare lo status quo; ma all'inizio non è dubbio che la mafia abbia incisivamente adoperato anche lo strumento elettorale, nel tentativo di impedire (mediante il successo di certe forze politiche) la temuta riforma delle strutture agrarie siciliane.

È un dato che qui interessa sottolineare con particolare energia, sia perché si inserisce nel quadro dell'attività di quella che si è convenzionalmente chiamata «la mafia agricola», sia perché esprime emblematicamente (ma con una incidenza incontestabile) come le interferenze mafiose nelle competizioni elettorali non siano soltanto un fatto di mero clientelismo ma abbiano invece rappresentato, nella storia recente della Sicilia, un modo per raggiungere un obiettivo più generale e per segnalare la propria presenza anche politica nel tessuto della società nazionale.

 

Commissione d'inchiesta sul fenomeno delle mafie, VI legislatura, 4 febbraio 1976

 

Per approfondimenti:

Prima parte, venerdì 27 marzo 2020MAFIA, le origini remote

Seconda parte, venerdì 3 aprile 2020La MAFIA nella storia dell’Unità d’Italia

Terza parte, venerdì 10 aprile 2020: Le attività mafiose

Quarta parte, venerdì 17 aprile 2020: I mafiosi

Quinta parte, venerdì 24 aprile 2020Lo Stato di fronte alla mafia

Sesta parte, venerdì 1° maggio 2020La MAFIA degli anni del dopoguerra

Settima parte, venerdì 8 maggio 2020La MAFIA a difesa del latifondo

Ottava parte, venerdì 16 maggio 2020: MAFIA: le vicende del separatismo

Nona parte, venerdì 22 maggio 2020: MAFIA e Banditismo

Decima, venerdì 5 giugno 2020, Le funzioni della MAFIA di campagna

Undicesima, venerdì 19 giugno 2020, Il capo della mafia di Corleone

Dodicesima, venerdì 26 giugno 2020, Il capomafia dell’intera Sicilia