Forma, segno, materia: la pittura di Michele Rosa

Forma, segno, materia: la pittura di Michele Rosa

Jackson Pollock una volta sostenne che ciò a cui la storiografia artistica aveva dato il nome di espressionismo astratto non era un modus operandi “senza oggetto, né un’arte che non rappresenta”; e aggiunse: “io a volte ho molta capacità di rappresentare, ma se tu dipingi il tuo inconscio, le figure devono per forza emergere”.

Mi sembrano, queste parole, una premessa necessaria per comprendere a pieno la prassi artistica di Michele Rosa: una pittura che è evocazione, memoria, pura emozione; una pittura che ricerca continuamente la verità dell’artista senza falsi pudori o remore formalistiche.

Se dovessimo leggere il lavoro di Rosa con l’ausilio di semplici parole chiave, riterrei che esse debbano necessariamente essere gesto e materia. Il primo è enfatizzato in quanto momento creativo e lo si potrebbe affiancare al concetto filosofico di potenza; la seconda è il risultato di una scelta ben ponderata portata avanti con consapevolezza affinché ciò che fino ad allora era semplice potenza, possa divenire atto. Potenza ed atto, dunque, pensiero che si fa forma, forma che si fa racconto.

L’informale, dal quale l’artista attinge, diventa, così, un punto di partenza, ma non di approdo, di un discorso che si struttura su diversi livelli semantici; che traccia rotte interpretative potenzialmente infinite che, tuttavia, non perdono mai di vista la realtà e la quotidianità nella quale Rosa vive ed agisce.

 

Una pittura, dunque, nella quale forma, segno e materia felicemente convivono e cooperano al raggiungimento di un comune obiettivo artistico.

 

Luca Palermo

(professore di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale)