'Ndrangheta stragista: la Corte condanna all'ergastolo Graviano (Cosa nostra) e Filippone ('ndrangheta)

PROCESSO DI APPELLO. "Una strategia unitaria per destabilizzare lo Stato". Cosa nostra e 'ndrangheta insieme per per colpire gli uomini dello Stato. Una guerra dichiarata per mettere a ferro e fuoco il Paese.  

'Ndrangheta stragista: la Corte condanna all'ergastolo Graviano (Cosa nostra) e Filippone ('ndrangheta)

«Credo che l’opinione pubblica abbia non soltanto il diritto ma, oserei dire, il dovere di essere informata sui processi che sono stati celebrati e che non vengono raccontati dalla grande stampa. L’opinione pubblica deve essere informata e chi ha un ruolo all’interno dello Stato, della magistratura e delle forze di polizia, ha il dovere di non fermarsi.»

Nino Di Matteo, WordNews.it, aprile 2021

 

Dopo sette ore di camera di consiglio sono arrivate le condanne all'ergastolo. Tre anni dopo la sentenza di primo grado, Corte d'Assise (luglio 2020), ventinove anni dopo la strage dei due carabinieri (Antonino Fava e Vincenzo Garofalo), la Corte d'Assise d'Appello (presidente Bruno Muscolo) ha confermato la sentenza di primo grado: carcere a vita per Giuseppe Graviano e Rocco Filippone.

 

18 gennaio 1994. I due appuntati dei carabinieri Antonino Fava, 36 anni di Taurianova (Rc), e Vincenzo Garofalo, 31 anni di Scicli (Ragusa) vengono trucidati sull'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, nei pressi dello svincolo per Scilla. E' una serata strana, anomala: una Regata segue l'auto dei militari, un'Alfa 75 del nucleo radiomobile di Palmi. L'azione è pianificata, organizzata nei minimi particolari. La macchina che tallona quella dei due carabinieri usa gli abbaglianti, vuole farsi notare a tutti i costi. 
L'agguato freddo, pianificato e premeditato si materializza. Vengono esplosi colpi di fucile a pallettoni e raffiche di mitra. I due uomini dello Stato muoiono sotto i colpi dei criminali.

I due carabinieri uccisi nel 1994

L'impianto accusatorio del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo è stato approvato dai giudici. La tesi della DDA guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri è stata cristallizzata: la morte dei due militari rientra nella strategia stragista.

"Una strategia unitaria per destabilizzare lo Stato". Cosa nostra e 'ndrangheta insieme per per colpire gli uomini dello Stato. Una guerra dichiarata per mettere a ferro e fuoco il Paese.  

Anni Novanta. La storia di questo Paese è attraversata dalla violenza criminale dei mafiosi, legati alle varie organizzazioni criminali. Cosa nostra cerca e trova l'appoggio della mafia calabrese. L'attacco al cuore dello Stato si è materializzato con la strage di Capaci dove viene massacrato il magistrato Giovanni Falcone, insieme a Francesca Morvillo e agli uomini della sua scorta (23 maggio 1992), poi via d'Amelio (il massacro del giudice Paolo Borsellino insieme agli uomini della sua scorta, 19 luglio 1992). Poi le bombe nel Continente.

Roma (via Fauro, San "Giorgio" in Velabro, San "Giovanni" in Laterano), Firenze (via dei Georgofili), Milano (via Palestro). Volevano far saltare in aria la Torre di Pisa, volevano disseminare di siringhe infette le spiagge italiane. Progetti creati dalle cosiddette "menti raffinatissime". Tutto studiato a tavolino. "Dobbiamo fare la guerra per fare la pace", diceva il sanguinario Riina.

Le mafie colpiscono duramente, lo Stato registra cedimenti.

La reazione dura, decisa, definitiva non si registra. La Trattativa è l'unica risposta adeguata da parte di Istituzioni e personaggi istituzionali inadeguati (politici, rappresentanti istituzionali e delle forze dell'ordine). 

Per colpa di quella scellerata Trattativa moriranno tanti uomini e fiumi di sangue verranno versati.

E' lo stesso filo rosso, infinito, intriso di sangue. Dalla prima strage di Stato (Portella della Ginestra, Primo Maggio 1947) ad oggi. Passando per le bombe sui treni, nelle piazze, nelle stazioni. Tanti (troppi) i morti ammazzati. E i protagonisti sono sempre gli stessi: mafiosi (cosa nostra, 'ndrangheta e camorra), servizi segreti, massoneria, colletti bianchi. 

Roma, Stadio Olimpico (1994). Dovevano morire i carabinieri, doveva essere "il colpo di grazia". Lo sterminio, progettato con dovizia di particolari (nel tritolo erano stati inseriti bulloni, chiodi, pezzi di ferro), non verrà portato a termine. Il telecomando non riceverà l'impulso. La macchina con il tritolo verrà ritirata.

Il nuovo Patto tra Stato e mafie viene siglato (con il sangue degli innocenti). Nasce un nuovo soggetto politico. Marcello Dell'Utri, il fondatore di Forza Italia (il partito che ha governato questo Paese per quasi venti anni e che oggi appoggia il nuovo Governo), è stato condannato definitivamente a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Oggi, da uomo libero, sponsorizza altri candidati. La Trattativa iniziata con Vito Ciancimino (in "collaborazione" con i vertici del Ros dei carabinieri) verrà portata a termini dal siciliano Dell'Utri, amico intimo di Berlusconi e di Vittorio Mangano (lo stalliere di Arcore, dove i cavalli non c'erano, definito "eroe" pubblicamente dall'imprenditore milanese). 

«La Trattativa continuò anche con il Governo Berlusconi. Dell’Utri, lo spiegano i giudici nella sentenza, rappresentò a Berlusconi le richieste di Cosa nostra. E dicono i giudici che quel Governo tentò di adoperarsi, non riuscendoci per motivi che non dipendevano dalla volontà del premier, per accontentare alcune delle richieste di Riina. Dice quella sentenza che un presidente del consiglio del Governo italiano, nello stesso momento in cui era presidente del consiglio, continuava a pagare, come aveva fatto nel 1974, cospicue somme di denaro a Cosa nostra». Nino Di Matteo, Roma, 14 novembre 2018

Una strategia mafiosa unitaria. L'unione delle due mafie per infliggere "il colpo di grazia" allo Stato. Per spezzare la schiena al nemico e per vincere la guerra. Persa già in partenza, da parte di quello Stato incapace di tagliare quel "nodo" che ha sempre unito le mafie alla politica italiana. E al potere che gestisce e tiene i "fili" del comando.  

Gli ergastoli sono arrivati: per Filippone e per Graviano è stato confermato il carcere a vita. Entro novanta giorni si potranno leggere le motivazioni.

Mancano - come sempre accade - le responsabilità politiche ed istituzionali. Non bastano più i collaboratori di giustizia mafiosi. Ogni volta che parlano di politica e toccano certi fili ad alta tensione fanno una brutta fine. L'ultimo episodio si è registrato qualche giorno fa. Quel collaboratore (Armando Palmeri), trovato morto, doveva deporre a Caltanissetta (legami con la politica, tra cui un ex Senatore di Forza Italia, e con i servizi segreti). Sembra lo stesso copione scritto per il giudice Borsellino. Entrambi impossibilitati a presentarsi davanti ai magistrati.  

Per svelare i tanti misteri italici sono necessari i "pentiti" di Stato. Una vera e propria utopia nel Paese delle mafie. Istituzionalizzate nel 1860, con l'Unità d'Italia.

Processo d'appello 'Ndrangheta stragista - LA SENTENZA - Reggio Calabria, sabato 25 marzo 2023

Presidente: Bruno Muscolo

Procuratore aggiunto: Giuseppe Lombardo

"La Corte d' Assise d'Appello di Reggio Calabria in nome del popolo italiano Prima Sezione all'udienza del 25 marzo 2023 ha deliberato e resa pubblica mediante lettura del dispositivo la seguente sentenza:

visto l'articolo 605 Codice procedura penale conferma la sentenza emessa in data 24 luglio 2020 dalla Corte d'Assise di Reggio Calabria nei confronti di Filippone Rocco Sante e Graviano Giuseppe e dagli stessi appellata condannando gli imputati alle ulteriori spese di giudizio.

visti gli articoli 538 e seguenti codice procedura penale condanna gli appellanti alla rifusione delle spese e competenze ed è presente in grado di giudizio in favore delle costituite parte civile...

indica in giorni novanta il termine per il deposito e la motivazione e sospende per detto periodo i termini di custodia cautelare

l'udienza è tolta.»


 

 

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