Parla il virologo Tarro: «Dobbiamo ripartire, altrimenti moriremo di fame»

INTERVISTA al professore Giulio Tarro, virologo di fama mondiale: «Siamo a un punto molto importante, direi un punto cruciale. Dal 1997 al 2015 sono stati dimezzati i posti letto di terapia intensiva. A gennaio, in Francia, hanno raddoppiato i posti letto e da noi non si è fatto niente. E ci siamo trovati in queste condizioni. Certamente bisogna cambiare mentalità e bisogna cambiare, soprattutto, chi ci governa».

Parla il virologo Tarro: «Dobbiamo ripartire, altrimenti moriremo di fame»

Una voce autorevole per affrontare un tema molto delicato che sta mettendo a dura prova il mondo intero. A che punto siamo con il coronavirus? È così drammatica la situazione? I “bollettini di guerra” aiutano il nostro stato d’animo?

Lo abbiamo chiesto ad un virologo di fama mondiale, il professore Giulio Tarro, già primario dell’Ospedale Cotugno di Napoli.

Il “figlio scientifico” del professore Albert Sabin, lo scienziato polacco che riuscì a sconfiggere la poliomelite. Insieme (nella fotohanno studiato l’associazione dei virus con alcuni tumori dell’uomo presso l’Università di Cincinnati, Ohio, dove Giulio Tarro è stato collaboratore di ricerca presso la divisione di virologia e ricerche per il cancro del Children Hospital e assistant professor di ricerche pediatriche del College of Medicine.

Il prof. Tarro è nato a Messina nel 1938 e si è formato presso l’Università di Napoli. Nel 2015 è stato candidato al Nobel per la Medicina, nel 2018 è stato premiato in America come miglior virologo al mondo.

Ha scoperto la causa del cosiddetto “male oscuro di Napoli”, isolando il virus respiratorio sinciziale nei bambini affetti da bronchiolite. È presidente della Commissione sulle biotecnologie della virosfera Unesco. Nel 2018 il Codacons lo ha proposto, al Ministero della Salute, alla presidenza dell’Istituto Superiore della Sanità.  

Oggi il prof. Tarro si sta occupando del Covid19 e con le sue dichiarazioni sta cercando di far comprendere la seria problematica.

 

Professore, a che punto siamo con questa pandemia?

«Siamo a un punto molto importante, direi un punto cruciale. Finalmente sono arrivate le notizie per i soggetti, soprattutto quelli più gravi, sulla sieroterapia».

 

Cosa è la sieroterapia?

«Sarebbe nient’altro che gli anticorpi del soggetto guarito al soggetto che sta in condizioni gravi, addirittura quando è già attaccato all’intubatore. Questo è un momento molto importante, sono dati scientifici pubblicati, sono dati scientifici che derivano dall’esperienza recente cinese».

 

In cosa consiste?

«Parliamo del sangue del soggetto guarito. Il plasma ha gli anticorpi che sono quelli prodotti nei riguardi del virus. Ecco perché viene neutralizzato e il soggetto guarito. È quello che uno spera di ottenere da un eventuale vaccino. Questi anticorpi sono già pronti e, quindi, si possono utilizzare immediatamente. Questa sieroterapia già viene utilizzata in Germania che, come sappiamo, ha annunciato la fine dell’emergenza».

 

Una specie di vaccino?

«La finalità del vaccino è la produzione degli anticorpi nel soggetto».

 

Secondo lei, perché siamo arrivati a questa situazione?

«La situazione, soprattutto, nel nostro Paese c’è per motivi diversi e, purtroppo, sarebbero stati prevedibili. Dal 1997 al 2015 sono stati dimezzati i posti letto di terapia intensiva. A gennaio, in Francia, hanno raddoppiato i posti letto e da noi non si è fatto niente. E ci siamo trovati in queste condizioni».

 

Con questa emergenza si può immaginare un ritorno ad una sanità pubblica di eccellenza?

«Credo che questo Paese che era stato al primo posto nel mondo come sanità pubblica non può essere finito, prima di questa situazione, all’ultimo posto in Europa. Certamente bisogna cambiare mentalità e bisogna cambiare, soprattutto, chi ci governa».

 

Lei ha affermato che è il momento giusto per ripartire. È possibile ritornare alla normalità?

«Abbiamo una terapia per malati acuti, abbiamo una terapia per la malattia mite e abbiamo, ovviamente, la necessità, come già dimostrato altrove, perché gli israeliani parlano, eventualmente, di isolare gli anziani e far circolare il virus tra i giovani. Abbiamo molte altre Nazioni, come la Danimarca che ha già riaperto le scuole e come la Germania che ha finito l’emergenza. Anche noi dobbiamo riprendere, altrimenti moriremo di fame».

 

E lei fa riferimento anche allo stress, che “determina un calo delle difese immunologiche”. Cosa possiamo aggiungere?

«L’ho detto, addirittura, dall’inizio di questa esperienza, soprattutto ai genitori per tranquillizzare loro e i loro bambini. Lo stress ci viene dall’alimentazione, da uno stile di vita non corretto, da questi continui bollettini di guerra che, alla fine, diminuiscono lo stato immunitario. Lo stato immunitario apre le porte al virus e a tante altre cose».

 

Non bisogna seguire, allora, questi bollettini di guerra?

«No, assolutamente. È stato dimostrato che non avevano senso. Le percentuali sono fatte sui contagiati, sul numero di tamponi fatti quel giorno, sulle morti di quel giorno, purtroppo, gente già ricoverata che si è aggravata ulteriormente e sui dimessi dall’ospedale e, quindi, guariti. Situazioni che non vanno. Tanto è vero che l’Istituto Superiore di Sanità rivedendo le cartelle delle vittime ha visto che su 909 cartelle di morti soltanto 19 erano da coronavirus».

 

Come possono influire le temperature estive su questo virus?

«Dall’esperienza che ci viene data altrove, in particolare dall’Africa dove a certe latitudini il virus è soltanto endemico, non diventa epidemico».

 

In autunno cosa potrebbe accadere?

«Possiamo avere la fortuna della prima Sars, che era già finita con la primavera, o eventualmente ci potrebbe essere una seconda Sars, quella del Medio Oriente, ma senza un effetto epidemico. Forse la cosa più logica sarebbe che diventi una malattia stagionale e regionale».

 

Secondo lei, professore, come è stata gestita questa emergenza?

«La partenza non è stata buona, c’è stato di mezzo questo assottigliamento dei posti di terapia intensiva. Ci siamo trovati di fronte, praticamente, a non avere avuto la possibilità, nello stesso tempo, di poter ricoverare tutti i pazienti che ne avevano bisogno. Questo è stato il maggior errore di partenza».

 

Una riflessione sulla drammatica situazione delle case di riposo per anziani?

«Mi sembra giusto. Bisognava isolare gli anziani. Il coronavirus, purtroppo, ha avuto spazio libero per questi degenti. Rispetto ai giovani che hanno un altro tipo di risposta immunitaria, loro hanno un tipo di infiammazione verso cui sono più pericolosi i danni risultati dal coronavirus rispetto alle loro capacità antivirali naturali».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Il prof. Tarro insieme al collega Pathak)