23 maggio di ogni anno: Viva l'IPOCRISIA italiota
In questo strano Paese, dove tutti si trasformano in inutili “paladini del nulla”, non esiste la volontà (soprattutto politica) di accertare la Verità. Ci si appiattisce in continuazione, ci si omologa alle circostanze. L’Antimafia, come sosteneva Sciascia, è diventata una “professione”. La questione riguarda coloro che la utilizzano per le loro carriere, per mascariare le loro malefatte (quanti politici miserabili usano – indegnamente – certe parole, di circostanza?). Ma riguarda anche coloro che, in buona fede, vorrebbero “ricordare”. Ma non basta solo “ricordare”. Serve conoscere, capire, approfondire. Studiare e sviluppare uno spirito critico.
TRENTADUE ANNI di commemorazioni. Da quel maledetto 23 maggio 1992 cosa è cambiato nel Paese delle mafie? La morte di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Antonino Montinaro, Vito Schifani a cosa è servita? L’ipocrisia è stato l’unico baluardo che ha avvolto i tanti protagonisti di un’Antimafia parolaia, che lascia il tempo che trova. Resta, però, dannosa.
Chi ha premuto il pulsante che ha causato la deflagrazione? Chi ha ideato il piano con i 500 kg di tritolo? Sappiamo tutto sulla strage di Capaci? Chi sono i mandanti? E le menti raffinatissime?
In questo strano Paese, dove tutti si trasformano in inutili “paladini del nulla”, non esiste la volontà (soprattutto politica) di accertare la Verità. Ci si appiattisce in continuazione, ci si omologa alle circostanze. L’Antimafia, come sosteneva Sciascia, è diventata una “professione”. La questione riguarda coloro che la utilizzano per le loro carriere, per mascariare le loro malefatte (quanti politici miserabili usano – indegnamente – certe parole, di circostanza?). Ma riguarda anche coloro che, in buona fede, vorrebbero “ricordare”. Ma non basta solo “ricordare”.
Serve conoscere, capire, approfondire. Studiare e sviluppare uno spirito critico.
Quanti soldi sono stati buttati nel cesso in nome dell’Antimafia: cene, pranzi, ricevimenti, iniziative inutili, tavole rotonde deserte, presentazioni di libri. Il 23 maggio tutti si sentono Giovanni Falcone. Basta farsi un giro sui social: le foto e le frasi di “Giovanni” si sprecano. Peccato che il giorno dopo la mentalità continua ad essere quella opposta: furberia, menefreghismo, lassismo. Per non parlare, poi, delle scelte nelle cabine elettorali.
Ma cosa si dovrebbe fare? Per prima cosa bisognerebbe evitare di parlare di “eroi”. Giovanni Falcone – insieme a tutte le altre vittime delle mafie – non è stato un eroe. Ma una persona normale che ha fatto, semplicemente, il proprio dovere. Ha saputo fare il magistrato. Degnamente. Come ci mancano, oggi, questi magistrati.
Poi, bisognerebbe attuare il suo esempio. Partendo dalle piccole cose. È ovvio che non si possono ripetere certe azioni. Falcone è stato geniale (Maxi-Processo, vicenda Carnevale, l’impegno - criticatissimo dai tanti inutili esperti del nulla - presso il Ministero, ect.). Il ricordo passa anche attraverso le scelte quotidiane.
Non basta urlare il nome di “Giovanni” e poi votare i mafiosi nei Comuni, nelle Regioni e in Parlamento.
Conosciamo tutti chi sono questi personaggi da quattro soldi. Da anni hanno occupato le nostre Istituzioni. Ma lo hanno fatto per colpa nostra. Sono stati scelti da noi perché non siamo stati “attenti”.
Altra cosa: le persone vanno difese in vita e non dopo la morte. Giovanni Falcone è stato “colpito” e "massacrato" nel colpevole silenzio generale. Tanti possono essere gli esempi. Ne prendiamo uno: l’attentato all’Addaura. Dissero che se l’era fatto da solo. Per essere credibile – parole sue – bisogna essere ammazzati. Ed hanno eseguito. Platealmente.
Una vita contro la camorra. La storia vera del testimone di giustizia che ha denunciato la camorra
Ha ragione il testimone di giustizia Gennaro Ciliberto: “Oggi, in tanti, dimostreranno di voler combattere le mafie. Ma la tunica della legalità serve solo come spot pubblicitario e per far carriera e scavalcare posizioni nella società. Una bomba di 500 chili che sventra un’autostrada. Un’immagine ancora oggi, a 32 anni di distanza, indelebile per chi ha vissuto quell’epoca. La strage di Capaci, un attentato terroristico-mafioso che fece saltare in aria l’auto del giudice antimafia Giovanni Falcone e le vetture della sua scorta. Un’esplosione devastante che non lasciò scampo. Ma poi oggi, come sempre, c'è l'ipocrisia, la retorica, le mani dei collusi che professano la finta legalità. Un oltraggio alla memoria di chi ha perso la vita per lottare contro le mafie, che perse la vita per responsabilità di insospettabili soggetti che avrebbero dovuto proteggere quelle vite ma che, invece, hanno accompagnato alla morte chi nel suo impegno quotidiano ha contrastato ogni forma di illegalità. Da testimone di giustizia sono nauseato nel vedere costoro, vigliacchi e collusi che hanno costruito la loro fortuna sulle commemorazioni, sulle passerelle e le “frasi fatte” usate ad ogni convegno come un copione. Del resto c'è sempre di più una platea che non vuole vedere la verità. Plagiata dal sistema. Ricorda gli “eroi” solo come tappa fissa segnata su un calendario ma non nell'anima e nel cuore. Quell'anima che fa la differenza tra chi s'impegna fattivamente contro le mafie e chi usa la legalità come uno spot pubblicitario”.
Ecco, il punto è stato perfettamente colto da parte di chi ha messo la sua vita nelle mani dello Stato. Un certo Stato che non merita le persone perbene. Formato da massoni, mafiosi, delinquenti. Assetati di sangue, di soldi e di potere. Per loro le mafie sono necessarie.
Ma questa lotta alle mafie è reale o una mera finzione? Il “nodo è politico”, diceva il giudice Borsellino. Non è mai esistita la volontà politica di annientare le mafie. Molti Uomini dello Stato sono stati mandati a morire. Tra 57 giorni ripeteremo questi concetti per la strage di Stato di via d’Amelio. Invece di continuare a creare le “figurine” o i “santini” si pensi a fare luce sui legami politici e sui mandanti. Evitando la retorica.
Senza Verità non potrà mai esserci Giustizia.
NOTA A MARGINE
Ma è normale, con una inchiesta in corso, leggere la nota dell’Arma dei Carabinieri (foto in basso) in difesa dell’ex generale Mario Mori, indagato per le stragi del 1993?
Riportiamo il punto di vista dell’ex ispettore della Dia, Mario Ravidà: «Pericolosissima e preoccupante, la nota diffusa dall'ufficio Stampa dell'Arma dei Carabinieri. Si può contestare una sentenza o alcune iniziative giudiziarie, sulla base di estreme conoscenze delle risultanze di investigazioni e di "fatti" contenuti nei fascicoli giudiziari, di cui non si è tenuto conto nell'emettere sentenze». Ravidà spiega ancora meglio il suo punto di vista. «Non credo che, in questo caso, l'Arma dei Carabinieri abbia contezza delle nuove risultanze investigative che hanno portato a nuove e gravissime incriminazioni per il generale Mario Mori, a cui si augura di poter provare la sua innocenza. Le solidarietà non possono essere date sulla base di una appartenenza di "giubba"».
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«Credo che l’opinione pubblica abbia non soltanto il diritto ma, oserei dire, il dovere di essere informata sui processi che sono stati celebrati e che non vengono raccontati dalla grande stampa. L’opinione pubblica deve essere informata e chi ha un ruolo all’interno dello Stato, della magistratura e delle forze di polizia, ha il dovere di non fermarsi.»
Nino Di Matteo
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