Un’altra giostra di ipocrisia

GIORNATA NAZIONALE VITTIME COVID19. Abbiamo superato anche questa nuova giornata, colma di retorica, celebrazioni, belle parole. Tutti pronti a celebrare, anche in Abruzzo,a mostrare commozione. Ma dietro il fumo l’arrosto è sempre lo stesso.

Un’altra giostra di ipocrisia
L'Aquila, sede principale Regione Abruzzo

«Un altro giro di giostra», di fronte al succedersi rapido di «giornate» che scandiscono l’italico calendario torna alla mente il titolo del libro di Tiziano Terzani del 2004. Un libro in cui il compianto giornalista racconta le profondità dell’animo umano ma riesce, allo stesso tempo, a metterne alla berlina le miserie. Quelle miserie che troppo spesso vediamo in azione conquistando manu militari palchi, passerelle e scenografie delle «giornate».

La prima giornata nazionale per commemorare le vittime della pandemia non diserta questo copione. Come non pensare alla celebre frase di Brecht su chi marcia alla testa durante i cortei. Le disposizioni per il contenimento della pandemia ci hanno risparmiato i cortei ma la sceneggiatura è rimasta pressoché la testa. A tutti i livelli la corsa al «pensiero» (le virgolette non sono un errore di battitura e non sono casuali) più strappalacrime, alla retorica più altisonante è stata a dir poco sfrenata. Anche in Abruzzo. Abbiamo letto e ascoltato di tutto e di più. Eppure sono mancate due frasi, le uniche che avrebbero restituito una goccia di verità e autenticità: è colpa mia e scusate per i morti, i drammi, i lutti, le sofferenze. L’apoteosi sarebbe stato poi concludere con «e adesso mi ritiro a vita privata e mai più farò attività pubblica» ma mancando la base figurarsi quest’altezza.

Il 18 marzo si sono «piante» le vittime del nuovo coronavirus ma quale sapore possono avere le lacrime in una regione come questa?

La Regione dove da mesi e mesi vediamo come primo interesse liste elettorali, scontri tra partiti, per le poltrone, le cordate e il potere di una classe sdirigente che ci ha fatto consumare ogni aggettivo.

La classe che fa acqua da tutte le parti che per settimane si è battuta, altro primario interesse, per una impossibile riapertura delle piste da sci. L’Abruzzo, anzi per essere precisi la provincia più a sud, dove nel pieno della pandemia il massimo dirigente sanitario locale ha affermato che gli operatori sanitari si sono contagiati per colpa loro.  

La disamministrazione bocciata due volte dalla giustizia amministrativa causando caos e smarrimento nei cittadini. Che, nella regione dove la sanità è stata devastata dai tagli post Sanitopoli, si è preoccupata di regalare 8 milioni di euro per un ritiro calcistico e un milione per una scuola dove imparare a farcire e cucinare bombe alla crema.

La sgiunta che freme da settimane, dopo averci regalato a dicembre settimane di arancione e pure un giorno unico di rosso, per tornare in «zona gialla». Nonostante ormai i pazienti ospedalieri vengono spediti fuori regione, il disastro drammatico della Wuhan d’Abruzzo nell’aquilano non molto tempo fa e tanto altro. Arrivando a dichiarare che un rt superiore a 1 è inferiore ad un rt di 0.9 e centesimi. E la pubblicazione dei numeri quotidiani della pandemia sono accompagnati dall’avvertimento che non sono completamente affidabili perché ci possono essere confusione con i giorni precedenti. Speriamo non anche con i successivi, dovrebbe essere impossibile ma ormai non ci stupiremmo più di nulla.

Tutti commossi e affranti e, nel pieno della terza ondata e l’alba che spazzerà via l’incubo appare lontana, si ammette candidamente di aggirare le disposizioni nazionali così da avere restrizioni minori. Tanto è vero, lo ricordiamo ancora una volta, che in Abruzzo non esistono più «zone rosse». Abolite per ordinanza, sancendo il trionfo dell’economia (di alcuni) sulla salute (di tutti). Scuole di ogni ordine e grado chiuse in Italia, in Abruzzo scuole dell’infanzia e nidi aperti. Ovvero i luoghi dove gli alunni non hanno (data la tenera età) l’obbligo di mascherina e le distanze sono praticamente impossibili. Chi può imporre a bambine e bambini di 3, 4 o 5 anni di rimanere lontani, di non scambiarsi nulla o di non avere nessun contatto fisico deve ancora nascere. E dubitiamo potrà mai nascere. Se poi ci sono ore di attività in comune o si mangia insieme a mensa (rispetterebbe il protocollo? Chissà, Razzi forse direbbe «non creto») che se fa se un bambino risulta positivo al nuovo coronavirus? E se poi i bambini diventano di più? Lasciamo le possibili eventuali risposte ai lettori a cui togliamo solo il dubbio che sia un esempio casuale e che non può accadere. Succede, invece, succede eccome.

Questa pandemia ci ha insegnato, sembra assurdo ma è così, l’importanza dell’igiene personale soprattutto delle mani. Un anno fa abbiamo chiesto come ci si può lavare se manca l’acqua, un anno dopo la situazione è la stessa se non peggiore. Finirà mai quest'emergenza come abbiamo chiesto il 6 febbraio 2020? Intanto abbiamo registrato anche un focolaio di legionella la cui origine è rimasta oscura più del quinto segreto di Fatima.

L’elenco potrebbe essere ancora lungo. Tanto potete trovare nei vari articoli scritti in questi dodici mesi, anche nelle ultime settimane. In attesa della prossima «giostra dell’ipocrisia».

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