Manifesti funebri per il massacratore di Lea Garofalo. Parla Angela Napoli: «Sono indignata»

L'INTERVISTA. Oggi diamo spazio all'On. Angela Napoli, già componente della commissione parlamentare antimafia. Abbiamo voluto ascoltare anche il suo punto di vista («Lea è stata ammazzata due volte») sulla vicenda che ha acceso i riflettori nazionali sul rientro del feretro (con annessi manifesti funebri del Comune e «festoso» funerale) dell'ergastolano Rosario Curcio, il massacratore che ha bruciato e distrutto il corpo di Lea Garofalo.

Manifesti funebri per il massacratore di Lea Garofalo. Parla Angela Napoli: «Sono indignata»
L'On. Angela Napoli, già componente della commissione parlamentare antimafia

Da diversi giorni stiamo cercando di approfondire la vicenda che tanto sta facendo parlare il Paese intero. Il rientro del feretro dell'ergastolano Rosario Curcio, meglio conosciuto come il massacratore di Lea Garofalo, è stato accompagnato da diverse manifestazioni di affetto, tra cui i manifesti funebri dell'amministrazione di Petilia Policastro.

Il ritorno del "figliuol prodigo criminale" ha dato la possibilità di organizzare un funerale "festoso", con lancio di fiori, palloncini, striscioni, manifesti, post sui social e video imbarazzanti. A noi di WordNews interessa raccogliere le opinioni per far comprendere i fatti e per offrire ai nostri lettori la possibilità di farsi una propria opinione.

- Il VIDEO del funerale di Curcio, l'ergastolano, condannato per la distruzione del cadavere di Lea

- Lea Garofalo: i manifesti per il killer hanno aperto una voragine. Ma chi ha autorizzato il «festoso» funerale?

OMICIDIO LEA GAROFALO: i «festosi» funerali per l'ergastolano Curcio

- Manifesto morte killer Curcio, dopo la tempesta arrivano le scuse del sindaco: «Le mafie fanno schifo»

OMICIDIO LEA GAROFALO, dopo il suicidio di Curcio parla l’avv. Staiano, il suo ex legale: «Uno sventurato, è stato coinvolto nell’omicidio. Non si è potuto rifiutare»

OMICIDIO LEA GAROFALO, si è impiccato in carcere a Opera l'ergastolano Rosario Curcio

Oggi, nel giorno dell'incontro in Prefettura del sindaco di Petilia Policastro (le dimissioni sono in vista?), abbiamo raccolto il punto di vista dell'On. Angela Napoli, già parlamentare e componente della commissione parlamentare antimafia. Il suo giudizio è stato netto: «Sono indignata». Un sentimento che dovrebbe accomunare tutti i cittadini calabresi e italiani. Ovviamente vale per le persone perbene. Gli altri si fanno trovare pronti per applaudire la bara del criminale, condannato definitivamente per la morte e la distruzione del cavadevere di Lea Garofalo, la fimmina calabrese abbandonata da tutti (Stato, associazioni e cittadini) e massacrata dalla 'ndrangheta a Milano e bruciata a San Fruttuoso, un quartiere di Monza, nel novembre del 2009.

Ovviamente con l'On. Angela Napoli siamo partiti dal manifesto funebre realizzato dall'amministrazione comunale, che porta in bella vita il nominativo del sindaco di Petilia Policasstro Simone Saporito.

«Sul manifesto non ci sono scuse che possano reggere. Qualsiasi scusa è semplicemente un alibi e comunque non è accettabile. Intanto perché il tutto viene da un sindaco. E io mi sono permessa sulla mia pagina Facebook di non chiamarlo sindaco con la “S” maiuscola, ma solo con la “s” minuscola. Un sindaco che dovrebbe rappresentare l’intera comunità. Non sono scuse quelle che lo stesso sindaco ha avanzato».

 

Perché?

«Intanto, se fosse vera la telefonata da lui fatta a quello che ha stampato i manifesti alla risposta il manifesto, io Sindaco, sarei uscita immediatamente da casa e l'avrei strappati tutti con le mie stesse mani. Poi trovo assolutamente anomalo il fatto che ci sia questa specie di appalto, non so come chiamarlo, definito dal sindaco per tutti, per qualsiasi lutto. Un appalto che, intanto, mi piacerebbe conoscere la ditta aggiudicataria di questo appalto e, nello stesso tempo, mi piacerebbe sapere se questo appalto è stato affidato in maniera ufficiale e se all'interno dell'affidamento dell'appalto non ci siano clausole di alcun genere. In un paese come Petilia Policastro non si può affidare un appalto sapendo che è un paese, per carità pieno di gente per bene, ma anche pieno di tanti criminali. Allora che non mi si venga a dire che il sindaco, affidando questo appalto non abbia almeno messo la clausola di non fare manifesti di alcun genere nel caso in cui la persona deceduta fosse un criminale.»

 

Il sindaco ha sostenuto che tutti i morti sono uguali.

«È morto, si è tolto la vita, ma rimane il fatto che è un criminale. È vero che di fronte alla morte siamo tutti uguali, però un momento. Un conto è la gente onesta che muore e che viene ammazzata da questi criminali, come appunto Lea Garofalo, e un conto è chi l'ha uccisa. Non si può dire “sono tutti uguali”. E no. Per me le scuse non hanno assolutamente alcuna giustificazione. In più, tra le tante figure che ho visto scorrere in questi giorni, ho visto che anche sul Municipio di Petilia Policastro c'è quella famosa targa beffa che ho iniziato a definirla tale fin da quando è stata affissa sui Comuni e sui Municipi della Calabria».

 

Su queste targhe c’è scritto: “Qui la ‘ndrangheta non entra”. Perché lei parla di targa beffa?

«Una targa beffa. Non è vero che si può scrivere sui Comuni, anche su quelli sciolti per infiltrazione mafiosa, “Qui la ‘ndrangheta non entra”. La ‘ndrangheta è dentro questi Comuni. Non voglio dire in questo caso, saranno le commissioni apposte a verificare il tutto. Però quelle targhe ci sono e sono delle targhe beffa, non hanno alcun senso. E sul Municipio di Petilia Policastro ho visto che c'è anche questa targa. Allora come fa un sindaco ad accettare manifesti di questo genere? Ma come fa anche la cittadinanza? Il tutto non è una questione politica.»

 

Non è una questione politica?

«No, non mi sento di dire che è una questione politica. È una questione culturale ed è quella subcultura, che regna nella mentalità del cittadino calabrese e che è linfa vitale per la ‘ndrangheta. In fondo è una subcultura che porta ad inchinare tutti quanti. Non è giustificabile il fatto che un sindaco dica “ci siamo costituiti parte civile”. Non l’accetto. Anche questo, in molto casi, diventa un alibi. È un atto dovuto per un Comune costituirsi parte civile di fronte a processi di questo genere. Sono degli alibi che vorrebbero dare un'immagine di verginità ma, in realtà, questa immagine non la possono dare».

 

Che tipo di messaggio emerge da questa situazione?

«Assolutamente un messaggio negativo. Il messaggio che, ancora una volta, le Istituzioni si inchinano di fronte alle famiglie mafiose. Incide negativamente anche sulla cittadinanza.»

 

Possiamo approfondire questo aspetto?

«Il cittadino comune, nel momento in cui si trova un manifesto di questo genere fatto dall’amministrazione comunale che in quel momento guida il paese, può dire “io, semplice cittadino dovrei prendere le distanze nel momento in cui l'istituzione principale, in un Comune, queste distanze non le prende?”. È un messaggio assolutamente negativo, non solo per il cittadino di Petilia ma per l'intera Calabria, ma anche a livello nazionale. Ma che messaggio è passato a livello nazionale? Sicuramente un messaggio negativo. Personalmente sono indignata.»

 

Molti stanno chiedendo le dimissioni dell’intera giunta comunale di Petilia. Questa è la giusta soluzione?

«La richiesta di dimissioni, in questo momento, diventa semplicemente una questione politica. Io chiederei altro.»

 

Cosa chiederebbe?

«Intanto, ma queste sono le istituzioni preposte che dovrebbero fare gli accertamenti, di verificare la situazione di questo affidamento dell'appalto alle onoranze funebre per l'affissione del manifesto. Chiederei come mai le Istituzione preposte hanno permesso quel funerale. Una volta vietavano l'ufficialità di determinati funerali. Addirittura quando moriva un criminale, e questo era un criminale (Rosario Curcio, nda), facevano fare il funerale privato, la mattina presto, nel cimitero del Comune. Il funerale pubblico non vietato incita i cittadini.»

 

Che significa?

«Le famiglie di questi mafiosi la prima cosa che fanno è verificare chi, come cittadino, è andato ad onorare al funerale il defunto e chi non ci è andato. Allora molta gente per paura ci va. Purtroppo anche questo fa parte del consenso sociale che regna e che continua a dare linfa vitale alla ‘ndrangheta. Questa storia va al di sopra di qualsiasi appartenenza politica.»

 

Dal manifesto della vergogna passiamo al “festoso funerale”. La salma è stata accolta da palloncini, fiori, striscioni, manifesti, applausi, messaggi di solidarietà, eccetera. Ma sul territorio “qualcuno” doveva controllare tutto questo?

«Anche su questo dico che verranno fatti accertamenti. Con il funerale privato la mattina con ci sarebbe stata un'accoglienza di quel genere da parte dei cittadini.»

 

I cittadini…

«Sono stati, in un certo qual modo, obbligati, vincolati.»

 

In che senso?

«Nel momento in cui succede quello che è successo con i manifesti da parte della istituzione principale del Comune il cittadino comune si sente chiamato, per paura, per mancanza di coraggio, non so come definire, di fare quei gesti di solidarietà che sono stati gesti dimostrativi non per il defunto, che non ha visto nulla, ma sicuramente per i familiari. Hanno dato forza e incremento e sicuramente hanno ucciso, per l'ennesima volta, la povera Lea Garofalo.»

Restano le responsabilità dell'amministrazione comunale. Ma ci sono altre responsabilità istituzionali?

«Secondo me sì, a meno che sia stato tutto controllato, quanto è accaduto, e possa avere delle conseguenze tra un po’ di tempo. Se ci saranno delle conseguenze vuol dire che il controllo c'è stato e che è stato lasciato ufficialmente anche per verificare chi va al funerale e chi non va. Parlo di Istituzioni più alte.»

 

Ragioniamo su questo aspetto. Non potrebbe essere una contraddizione? Non mi riferisco, ovviamente, alle sue parole. Ma se dovesse essere così, l’Istituzione più alta (la Questura, la Prefettura) lascia fare, comunque passerebbe un messaggio devastante (controllo del territorio da parte delle famiglie di ‘ndrangheta e rafforzamento del proprio potere).

«Concordo, concordo. Ma è chiaro che sono le Istituzioni più alte che hanno il polso della situazione sul territorio.»

 

Magari il nome del delinquente non è tanto altisonante. Non ci troviamo di fronte a un Riina o a un Provenzano. Probabilmente hanno sottovalutato tutto questo?

«Può essere questo. Comunque per noi che abbiamo fatto e che continuiamo a fare determinate battaglie non sono solo i nomi altisonanti che vanno combattuti. È la storia criminale del singolo personaggio che va presa in considerazione. E la storia criminale di questo personaggio è indiscussa. Non perché lo diciamo noi. Lo ha detto la magistratura, lo ha detto la giustizia. Forse il fatto stesso del suicidio con lo stesso criminale. Perché il suicidio, probabilmente, sarà una forma di pentimento.»

 

Sempre se si è trattato di suicidio.

«Sempre se si è trattato di suicidio. Anche questo è vero. Ecco perché dico, da esterna, da chi ha sempre combattuto determinati personaggi, mi sento di dire così. Non escludo però che chi è dentro le Istituzioni possa avere degli elementi tali da accettare momentaneamente quanto è successo. Metto tra virgolette il momentaneamente.»

 

- Carlo Cosco, l’ergastolano parlante: «Non fate demagogia pietosa»

Il ritorno della bestia Carlo Cosco

 

Ritorniamo sui cittadini. Rientra Carlo Cosco al paesello e registriamo la calorosa accoglienza dei cittadini di Pagliarelle, la frazione di Petilia Policastro. È rientrata la salma di questo assassino, di questo ergastolano, e si ripete la stessa situazione. Allora, forse, bisognerebbe anche valutare le responsabilità dei cittadini?

«La responsabilità dei cittadini c'è. Ma purtroppo questa responsabilità non è solo a Petilia. Ora è esplosa in questa triste occasione. Ma se io ti dicessi che sulle mie pagine Facebook quando arrestano un criminale o quando fanno delle operazioni brillanti dove c'è anche la partecipazione di Istituzioni, magari, native di Taurianova non c’è un cittadino taurianovese che mette “mi piace”. Il che vuol dire che il cittadino comune è un mafioso. Fa parte sempre della subcultura, della mentalità che dice “a me non ha toccato, perché devo…”. Quindi preferisce o stare in silenzio e chiudersi in casa e non fare commenti di alcun genere. Tranne magari mi incontrano per strada e mi dicono “Onorevole, avete visto che bello…”. Eh sì, l'ho visto. È bello. Però dillo ufficialmente. Oppure, poi, c'è la gente che ha veramente paura e si associa a questo ufficiale consenso sociale all’arrivo della salma e non si può, purtroppo, far niente. Qui è solo il discorso della cultura ma anche il discorso del cittadino che ha bisogno di vedere che la giustizia viene praticata fino in fondo. Nessun consenso, nessun permesso. Per quanto si possa dire “buona condotta, malattia dei familiari”, quello che vuoi. Un consenso per ergastolani che hanno ucciso persone e la loro morte deve avvenire in galera. Il cittadino comune, nel momento in cui vede che la giustizia ha le braccia larghe, diciamo così, si sente nemmeno protetto.»

 

Riproponiamo, nuovamente, il VIDEO del funerale organizzato per il massacratore della 'ndrangheta Rosario Curcio che, in esclusiva, abbiamo pubblicato ieri. 

 

 

LEGGI ANCHE:

- Premio Nazionale Speciale Lea Garofalo 2022 ad Angela Napoli

- Il VIDEO del funerale di Curcio, l'ergastolano, condannato per la distruzione del cadavere di Lea

- Lea Garofalo: i manifesti per il killer hanno aperto una voragine. Ma chi ha autorizzato il «festoso» funerale?

- Manifesto morte killer Curcio, dopo la tempesta arrivano le scuse del sindaco: «Le mafie fanno schifo»

OMICIDIO LEA GAROFALO: i «festosi» funerali per l'ergastolano Curcio

OMICIDIO LEA GAROFALO, dopo il suicidio di Curcio parla l’avv. Staiano, il suo ex legale: «Uno sventurato, è stato coinvolto nell’omicidio. Non si è potuto rifiutare»

OMICIDIO LEA GAROFALO, si è impiccato in carcere a Opera l'ergastolano Rosario Curcio

 

Giornalismo italico. A cosa servono le «regole» e i corsi di formazione?

 

- Manifesto per il killer di Lea Garofalo, irrompe l'ex sindaco: «Solo sciacallaggio politico»

Manifesto per il killer di Lea Garofalo, l'intervento delle Agende Rosse di Bisognano (Cosenza): «Il Comune da che parte sta?»

- Manifesto per il killer di Lea Garofalo, il risveglio dell'opposizione

 

Lea Garofalo, 14 anni fa il tentato sequestro di Campobasso

Scempio a Pagliarelle, colpita la pietra che ricorda Lea Garofalo

Premio Nazionale Lea Garofalo, tutto pronto per la tre giorni di eventi in Calabria

- Carlo Cosco, l’ergastolano parlante: «Non fate demagogia pietosa»

Il ritorno della bestia Carlo Cosco

OMICIDIO LEA GAROFALO. Il suo assassino è ritornato per quattro ore in paese, a Pagliarelle (Crotone). Ufficialmente per fare visita a sua madre "moribonda". La donna, Piera Bongera, solo qualche giorno prima è stata vista arzilla e serena in un supermercato. Cosa hanno in mente questi criminali? Perchè sul territorio è rientrato anche il cugino Vito Cosco, implicato nella strage di Rozzano? Per l'avvocato Guarnera: «Hanno preparato l'ambiente per dare un segnale allo stesso ambiente».

Carlo Cosco: la bestia si sta riorganizzando sul territorio?

Una strada per Lea Garofalo a Pagliarelle (Crotone)

Una montagna di sterco

Il Coraggio di Dire No a Taurianova

Per non dimenticare la fimmina calabrese che sfidò la schifosa 'ndrangheta

Lea Garofalo. Il Coraggio di dire NO

Lea Garofalo fa ancora paura

- LEA GAROFALO. 5 maggio 2009: il tentato sequestro di Campobasso

LEA GAROFALO. Il tentato sequestro di Campobasso

«Lea Garofalo è una testimone di giustizia»

- Il grido d'aiuto (inascoltato) di Lea Garofalo

“Lea, in vita, non è stata mai creduta”

«Con Lea Garofalo siamo stati tutti poco sensibili»

UNDICI ANNI DOPO

 

- Tutto pronto per la 2^ edizione del Premio Nazionale Lea Garofalo

- Premio Nazionale Lea Garofalo 2022