UNA VITA CONTRO LA CAMORRA, il nuovo libro di Paolo De Chiara

La storia vera e scomoda di un Testimone di Giustizia.

UNA VITA CONTRO LA CAMORRA, il nuovo libro di Paolo De Chiara

I drammatici eventi che state per leggere si sono verificati in Italia, nel Paese delle mafie. In questa terra corrotta, i “veri” testimoni di giustizia sono trascurati, ignorati da tutti. Le indignazioni sono solo una facciata, parole vuote e prive di significato. Sono solo parole sprecate, una pura apparenza, una illusione. Proclami tediosi.

Questa è la vera storia di un testimone di giustizia.
“In veste di dirigente, ho scoperto molte strutture autostradali al limite del collasso.” Attraverso le sue parole, si dipinge un quadro dettagliato di un percorso pericoloso, pieno di minacce, che ha coinvolto non solo i camorristi, ma anche i vertici corrotti dello Stato e spregiudicati dirigenti aziendali, interessati solo agli affari criminali.

Una vita intera dedicata alla lotta contro la camorra, per debellare il male. Il protagonista di questa toccante storia ha denunciato i lavori di costruzione della passerella di Cinisello Balsamo, il crollo del casello di Cherasco, il casello di Ferentino, i ponti e i caselli di Rosignano, Senigallia e Settebagni, nonché quelli di Firenze; ha denunciato il portale crollato presso Santa Maria Capua Vetere, i lavori sull’A1, sull’A11, la gara pubblica di Locate Triulzi, gli appalti a Trento e presso il carcere di Larino.

Gravi carenze strutturali che costituivano una minaccia per i cittadini italiani, ignari di un sistema che aveva causato numerose vittime negli anni passati. Nel Paese del “giorno dopo,” ci sono grida di scandalo durante i funerali, ma poi tutto passa nell’indifferenza generale.

Il protagonista di questo libro ha vissuto un vero e proprio inferno.

Ha denunciato un sistema corrotto, un intreccio tra la camorra, la politica e l’imprenditoria che trae profitto anche dagli appalti pubblici. Si è rivolto alle Procure italiane per smascherare le anomalie, i guadagni illeciti e i legami con le figure di spicco nel mondo aziendale e istituzionale.

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«C’è il fumo della terra dei fuochi. C’è l’odore acre dei copertoni bruciati ai lati delle strade. C’è il dubbio annoso degli sversamenti nei campi di canapa trasformati in pochi anni in villette a schiera. C’è la statistica crudele dei morti di tumore in eccesso frutto di lustri e lustri di contaminazioni. C’è la corruzione sistematica. Sistema complesso e articolato al servizio della mafia unica, coi servizi asserviti e le istituzioni ammaestrate. C’è tutto questo e tanto ancora nella narrazione di Paolo De Chiara.»

Tratto dalla prefazione di Pino Finocchiaro.

L'illustrazione di copertina è stata realizzata da Luca Di Giovanni.

 

Una vita contro la camorra

La storia vera e scomoda di un Testimone di Giustizia

 

 

ALTRE OPERE DELL'AUTORE

Paolo De Chiara autore del libro

Una fimmina calabrese, così Lea Garofalo sfidò la ‘ndrangheta

Questa è la storia di Lea Garofalo, la donna-coraggio che si è ribellata alla ‘ndrangheta, che ha tagliato i ponti con la criminalità organizzata. Nata in una famiglia mafiosa, ha visto morire suo padre, suo fratello, i suoi cugini, i suoi parenti, i suoi amici, i suoi conoscenti. Un vero e proprio sterminio compiuto da uomini senza cuore, attaccati al potere e illusi dal falso rispetto della prepotenza criminale.
Lea ha conosciuto la ‘ndrangheta da vicino: come tante donne, ha subìto la violenza brutale della mafia calabrese. Ha denunciato quello che ha visto, quello che ha sentito: una lunga serie di omicidi, droga, usura, minacce, violenze di ogni tipo. Ha raccontato la ‘ndrangheta che uccide, che fa affari, che fa schifo! È stata uccisa perché si è contrapposta alla cultura mafiosa, che non perdona il tradimento – soprattutto – di una fimmina. A 36 anni è stata rapita a Milano per ordine del suo ex compagno, dopo un precedente tentativo di sequestro in Molise, a Campobasso.

La sua colpa? Voler cambiare vita, insieme a Denise. Per la figlia si è messa contro il convivente, i parenti, il fratello Floriano.

In questo Paese «senza memoria» lo Stato dovrebbe vergognarsi per come ha trattato e continua a trattare questi cittadini onesti, che hanno semplicemente fatto il proprio dovere. Gli esempi non possono essere accatastati.Devono poter sbocciare come candide rose, per inebriare le nostre menti delle loro passioni, della loro forza e del loro immenso coraggio. Senza dimenticare i familiari delle vittime, nemmeno loro possono essere lasciati soli.

Le mafie, sino a oggi, hanno ucciso più di 150 donne. Solo grazie alle fimmine è possibile immaginare un futuro diverso per questo Paese, un futuro senza il puzzo opprimente di queste organizzazioni criminali, che possono tutto per la loro immensa potenza economica e militare. Per i loro legami secolari con la politica e le Istituzioni. Con Lea e con Denise non hanno potuto nulla.

 

 

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