'NDRANGHETA e CAMORRA... un triplo appuntamento per Paolo De Chiara

SCUOLA&CITTADINANZA. Tre impegni a Formia per il nostro direttore il prossimo 15 marzo 2024. Due incontri con i ragazzi per parlare di Lea Garofalo (Una fimmina calabrese, Bonfirraro editore) e un dibattito sulla bellezza della denuncia e sulla storia vera e drammatica di un testimone di giustizia (Una vita contro la camorra, Bonfirraro editore).

'NDRANGHETA e CAMORRA... un triplo appuntamento per Paolo De Chiara


UNA FIMMINA CALABRESE e UNA VITA CONTRO LA CAMORRA (Bonfirraro editore) - gli ultimi due libri del nostro direttore Paolo De Chiara faranno tappa anche a Formia, grazie all'impegno dell'Istituto Comprensivo "Pollione" e dell’Associazione “Un’altra città”.

Venerdì 15 marzo 2024, due appuntamenti con gli studenti presso il plesso scolastico Pollione. 

Questa è la storia di Lea Garofalo, la donna-coraggio che si è ribellata alla ‘ndrangheta, che ha tagliato i ponti con la criminalità organizzata. Nata in una famiglia mafiosa, ha visto morire suo padre, suo fratello, i suoi cugini, i suoi parenti, i suoi amici, i suoi conoscenti. Un vero e proprio sterminio compiuto da uomini senza cuore, attaccati al potere e illusi dal falso rispetto della prepotenza criminale.
 

Lea ha conosciuto la ‘ndrangheta da vicino: come tante donne, ha subìto la violenza brutale della mafia calabrese. Ha denunciato quello che ha visto, quello che ha sentito: una lunga serie di omicidi, droga, usura, minacce, violenze di ogni tipo. Ha raccontato la ‘ndrangheta che uccide, che fa affari, che fa schifo! È stata uccisa perché si è contrapposta alla cultura mafiosa, che non perdona il tradimento – soprattutto – di una fimmina. A 36 anni è stata rapita a Milano per ordine del suo ex compagno, dopo un precedente tentativo di sequestro in Molise, a Campobasso.

La sua colpa? Voler cambiare vita, insieme a Denise. Per la figlia si è messa contro il convivente, i parenti, il fratello Floriano.

In questo Paese «senza memoria» lo Stato dovrebbe vergognarsi per come ha trattato e continua a trattare questi cittadini onesti, che hanno semplicemente fatto il proprio dovere. Gli esempi non possono essere accatastati. Devono poter sbocciare come candide rose, per inebriare le nostre menti delle loro passioni, della loro forza e del loro immenso coraggio. Senza dimenticare i familiari delle vittime, nemmeno loro possono essere lasciati soli.

Le mafie, sino a oggi, hanno ucciso più di 150 donne. Solo grazie alle fimmine è possibile immaginare un futuro diverso per questo Paese, un futuro senza il puzzo opprimente di queste organizzazioni criminali, che possono tutto per la loro immensa potenza economica e militare. Per i loro legami secolari con la politica e le Istituzioni. Con Lea e con Denise non hanno potuto nulla.

BONFIRRARO EDITORE 

È stata uccisa perché si è contrapposta alla cultura mafiosa. 

 

“Prima di combattere la mafia, devi farti un esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici.

La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi”.

Rita Atria

Lea Garofalo è nata in Calabria, a Petilia Policastro il 24 aprile 1974, è morta il 24 novembre 2009 a Milano. Uccisa, strangolata e poi bruciata dal clan ‘ndranghetista capeggiato da Carlo Cosco,  suo compagno e padre di sua figlia Denise,  dall’omertà e dalla solitudine. La morte di Lea non ha sorpreso nessuno, tutti sapevano che sarebbe accaduto, tutti sapevano anni prima della sua morte che Lea era stata condannata. La morte di Lea a distanza di anni è diventata un grido e un inno alla giustizia, ma doveva essere la sua vita a gridare, non la sua morte.

Lea è una testimone, e la scelta delle parole non è mai stata così importante. Lei che ha lottato tutta la vita contro il sistema mafioso veniva chiamata negli atti ufficiali “collaboratrice di giustizia” al pari dei pentiti di mafia che per la mafia però hanno vissuto e operato. Lea è una testimone di ciò che non deve essere dimenticato: il coraggio della sua vita, la forza della sua voce, la passione nel suo essere madre, la costanza con cui ha sempre detto no.

Quando Lea Garofalo, figlia scomoda della 'ndrangheta, “fimmina” ribelle e forte, decide di rischiare la sua stessa vita per uscire dal giogo della violenza del padre, del fratello, del compagno, tutti 'ndranghetisti riconosciuti, la giustizia ascolta ma non agisce e Lea sperimenta per la prima volta la vera solitudine.

«Lea in vita si è sentita “una giovane madre disperata”, stanca di chiedere aiuto, di chiedere protezione».

A raccontarlo è Paolo De Chiara, giornalista e autore del libro Una femmina calabrese, così Lea Garofalo sfidò la 'ndrangheta edito da Bonfirraro e arricchito dalla prefazione del magistrato Sebastiano Ardita e dalla postfazione del giornalista Cesare Giuzzi.

«Le mafie, sino a oggi, hanno ucciso più di 150 donne», prosegue De Chiara, «Solo grazie alle fimmine è possibile immaginare un futuro diverso per questo Paese, un futuro senza il puzzo opprimente di queste organizzazioni criminali, che possono tutto per la loro immensa potenza economica e militare».

L’ambiente mafioso è brutale, presuntuoso e non risparmia nessuno, non prevede affetto, rispetto o onore di alcun tipo. Questo è stato il mondo in cui Lea Garofalo ha vissuto dalla nascita e che ha subìto fino alla sua morte. Spiega il magistrato Ardita, «In questo racconto crudo, completo, reale l’autore non fa sconti a quanti non hanno saputo o voluto comprendere l’importanza strategica della collaborazione di Lea, trincerandosi dietro la burocrazia e la incoerenza del sistema normativo».

Lea Garofalo ci costringe ad adottare uno sguardo nuovo sulla 'ndrangheta e la sua collocazione territoriale, le sue ramificazioni, sostenute da legami familiari e patti suggellati col sangue sono ovunque. Quella di Lea «È una storia di Calabria, ma è anche la storia di Milano», spiega il giornalista Cesare Giuzzi«Dove ogni elemento è stato, in qualche modo, concausa e corresponsabile dell’assassinio di Lea, testimone di giustizia. La storia di Lea è un buco nero. Per lei, per il coraggio di sua figlia Denise, per chi doveva proteggerle e invece non l’ha fatto. Un buco nero per lo Stato e le sue istituzioni.».

“La mafia non esiste” sostengono alcuni, ma sappiamo quanto questa dichiarazione sia non solo falsa ma anche violenta. «La mafia esiste e uccide, soprattutto le donne», dichiara l’editore Salvo Bonfirraro«Donne come Lea, una donna sola, vittima delle circostanze, vittima del sistema criminale che non ammette e non consente opposizioni e che elimina ogni ostacolo alla sua ascesa».

Una donna il cui grido è stato afono finché viva, una donna che solo la morte ha reso credibile. Un passo indietro. Ancora una volta la legge è un passo indietro rispetto alle mafie e nella distanza tra la legge e la criminalità scie di corpi di innocenti, donne e bambini.

Lea, la donna coraggio, ha parlato, ha denunciato e per le mafie questo è un punto di non ritorno. Perché è su questo che si regge il gioco della criminalità organizzata, è su questo che la mafia, la camorra, la 'ndrangheta  si fondano: il silenzio.  Un silenzio fatto di voci piccole, famiglie, parenti, amici, testimoni casuali, e voci grandi e pesanti, lo Stato, la Legge, la Giustizia.

Alle ore 17.30, presso la sede di via della Conca, n.57 De Chiara, in questo nuovo testo, propone la storia “vera e scomoda” di un testimone di giustizia, che ha denunciato gli appalti pubblici dati in affidamento alla camorra.

Il libro racconta le minacce, le intimidazioni, le pressioni e le violenze subite dal protagonista, dirigente di un’impresa di costruzioni, che ha avuto il coraggio di sfidare un sistema corrotto e criminale, che coinvolgeva non solo i clan camorristici, ma anche i vertici dello Stato e dell’impresa.

Un sistema che ha causato numerose vittime innocenti.

Ha denunciato i responsabili, ma si è trovato solo contro un sistema criminale che lo ha minacciato, perseguitato, isolato. Ha perso tutto: il lavoro, la famiglia, la libertà. Ha vissuto sotto scorta per anni, ma non ha mai smesso di lottare per la verità e la giustizia.

Il libro è un atto di accusa contro l’indifferenza e la complicità di chi ha permesso che il Paese delle mafie continuasse a prosperare, a discapito della sicurezza e della legalità. È anche un atto di speranza e di fiducia in chi, come il testimone, non si è arreso e ha lottato per la verità e la giustizia.

Nel cuore del Paese delle mafie, emerge la storia di un vero testimone di giustizia”, afferma Paolo De Chiara, autore del libro. “Attraverso le pagine di Una vita contro la camorra, ho voluto dipingere un quadro dettagliato di un percorso pericoloso, in cui ho denunciato le gravi carenze strutturali che minacciavano e minacciano la vita dei cittadini italiani. Ho svelato, attraverso il protagonista del libro, un vero testimone di giustizia, un sistema corrotto che coinvolge la camorra, la politica e l’imprenditoria, mettendo in luce i profitti illeciti e i legami con figure di spicco nel mondo istituzionale e camorristico”.

È un racconto avvincente che mette in luce verità sconvolgenti, come il crollo del casello di Cherasco, il casello di Ferentino, i ponti e i caselli di Rosignano, Senigallia e Settebagni, nonché quelli di Firenze; ha denunciato il portale crollato presso Santa Maria Capua Vetere, i lavori sull’A1, sull’A11, la gara pubblica di Locate Triulzi, gli appalti a Trento e presso il carcere di Larino e molto altro ancora.

“’Una vita contro la camorra è un libro che non lascia indifferenti: scuote le coscienze e apre gli occhi su una realtà spesso ignorata o nascosta. Racconta una storia vera, drammatica ma piena di speranza. È una storia che merita di essere conosciuta e diffusa”.

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Paolo De Chiara autore del libro

Una fimmina calabrese, così Lea Garofalo sfidò la ‘ndrangheta

Questa è la storia di Lea Garofalo, la donna-coraggio che si è ribellata alla ‘ndrangheta, che ha tagliato i ponti con la criminalità organizzata. Nata in una famiglia mafiosa, ha visto morire suo padre, suo fratello, i suoi cugini, i suoi parenti, i suoi amici, i suoi conoscenti.

Un vero e proprio sterminio compiuto da uomini senza cuore, attaccati al potere e illusi dal falso rispetto della prepotenza criminale.
Lea ha conosciuto la ‘ndrangheta da vicino: come tante donne, ha subìto la violenza brutale della mafia calabrese. Ha denunciato quello che ha visto, quello che ha sentito: una lunga serie di omicidi, droga, usura, minacce, violenze di ogni tipo. Ha raccontato la ‘ndrangheta che uccide, che fa affari, che fa schifo! È stata uccisa perché si è contrapposta alla cultura mafiosa, che non perdona il tradimento – soprattutto – di una fimmina.

A 36 anni è stata rapita a Milano per ordine del suo ex compagno, dopo un precedente tentativo di sequestro in Molise, a Campobasso.

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Carlo Cosco: la bestia si sta riorganizzando sul territorio?

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