La morte violenta per proteggere la Trattativa Stato-mafia/41

Il massacro di Attilio Manca: un omicidio di Stato-mafia. 41^ PARTE/Continuiamo a pubblicare integralmente la nuova relazione sull'urologo siciliano ucciso da pezzi dello Stato, in collaborazione con Cosa nostra.

La morte violenta per proteggere la Trattativa Stato-mafia/41

«Mio figlio non voleva diventare il medico della mafia. Si è rifiutato ed è stato ammazzato.»

Angela Manca, WordNews.it, 2022 (Per approfondimenti CLICCA sul link a sinistra)

Hanno ammazzato una persona perbene perchè aveva riconosciuto il boss latitante di Cosa nostra. Lo hanno fatto nella totale impunità, grazie alle coperture istituzionali. Le stesse coperture che hanno utilizzato per versare fiumi di sangue. Da Portella della Ginestra (1947) in poi.

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LA MORTE VIOLENTA DI ATTILIO MANCA. La famiglia Manca, come tante altre famiglie italiane, merita uno spazio fisso sugli organi di informazione. Su queste vicende vergognose bisognerebbe aprire una "finestra" fino alla definitiva risoluzione del caso. Noi, insieme a pochi altri, ci siamo. E facciamo nostra la convinzione del poeta Pasolini. Continueremo a battere sempre sullo stesso chiodo. E, sicuramente, non ci fermeranno per stanchezza.

WordNews.it, 2022 (Per approfondimenti CLICCA sul link a sinistra)

 

- IL MASSACRO MAFIA-STATO: Attilio Manca è stato ucciso per coprire una latitanza

 

10.2.5 Rosario Pio Cattafi

Rosario Pio Cattafi, classe 1952, laureato in giurisprudenza, è un criminale sui generis. Il suo pedigree giudiziario conta una delle più vaste rose di reati tra affiliati mafiosi ed è verosimilmente l’unico ad aver intessuto legami con persone di potere di ogni genere, da politici nazionali e regionali, mediatori internazionali di armamenti, boss di Cosa Nostra, magistrati, esponenti della destra eversiva, rappresentanti delle forze del­ l’ordine, industriali di livello nazionale e internazionale e addirittura personaggi del mondo dello spettacolo.

E' inoltre uno dei rari mafiosi ad aver ricevuto il deferente appellativo di «zio» da parte del «capo dei capi», Salvatore Riina.

La sua carriera criminale iniziava nella provincia di Messina nel periodo universitario, quando, da studente frequentatore di ambienti di estrema destra, veniva processato e condannato per lesioni e detenzione e porto abusivo di arma da fuoco (la sentenza passerà poi in giudicato).

Agli atti dell’Arma dei Carabinieri, inoltre, risultano a suo carico vicende giudiziarie per spaccio di sostanze stupefacenti e traffico internazionale d’armi e materiale bellico ed altro. Nel 1984 era oggetto di ordine di cattura emesso dalla Procura della Repubblica di Milano poiché imputato dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso e sequestro di persona a scopo di estorsione; nel 1993 era tratto in arresto, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, nell’ambito dell’operazione di polizia relativa all’autoparco SALESI di Milano, nella quale rimasero coinvolti anche soggetti legati alla criminalità organizzata residenti in Lombardia.

Il suo curriculum conta anche processi per i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, armi ed altro.

Plurindagato per altri innumerevoli gravissimi reati, come quello di strage e di associazione con finalità di terrorismo o di eversione, le inchieste e i processi a carico di Rosario Cattafi si concludevano sempre con il proscioglimento o con l’assoluzione, nelle varie forme, tra le quali quella per insufficienza di prove.

Nel 2012, invece, a seguito dell’inchiesta denominata «Gotha 3» condotta dalla Procura di Messina, Cattafi veniva arrestato con l’accusa di associazione di stampo mafioso, con l’aggravante della direzione della cosca, tanto da essere ristretto in carcere in regime ex art. 41 bis O.P..

Condannato in primo grado per aver fatto parte dell’associazione mafiosa barcellonese, dirigendola, dagli anni '70 fino al giorno del suo arresto, per calunnia ai danni del primo pentito barcellonese, Carmelo Bisognano, e dell’av­ vocato Fabio Repici, alla conclusione del processo di appello cadeva l’aggravante della direzione della cosca e la condanna fu limitata al periodo compreso tra gli anni '70 e il 2000.

Nel 2017 la Corte di Cassazione confermava definitivamente la condanna per calunnia e rinviava il giudizio sul reato di associazione mafiosa alla Corte d’appello di Reggio Calabria, limitatamente agli anni 1993-2000, creando il cosiddetto «giudicato interno» per la condanna fino al 1993 e per l’assoluzione dal 2000 al 2012. La Corte d’appello di Reggio Calabria, dopo un notevole ritardo di più di due anni per fissare la prima udienza del processo a suo carico e di altri due anni per celebrarla, emetteva una seconda sentenza di condanna per associazione mafiosa fino all’anno 2000, ben quattro anni e mezzo dopo il rinvio della Cassazione.

Con il processo venivano confermati i costanti collegamenti e i rapporti privilegiati con livelli altissimi della criminalità organizzata ma­fiosa, primo su tutti, naturalmente, Giuseppe Gullotti, capo incontrastato della cosca barcellonese, alla quale risultava affiliato anche Cattafi, ma anche con esponenti di primo livello della cosca mafiosa catanese del boss Benedetto Santapaola.

Per evidenziare nel modo più completo e, al tempo stesso, sintetico possibile il ruolo di Rosario Pio CATTAFI all’interno della consorteria mafiosa barcellonese, appare utile utilizzare le parole del Pubblico mini stero della D.D.A. di Messina titolare del processo che lo ha visto imputato per associazione mafiosa e calunnia:

«Nello specifico Cattafi Rosario manteneva i contatti fra i vertici dell’organizzazione barcellonese (...) ed altri sodalizi mafiosi riconducibili a “Cosa Nostra” siciliana, fra cui la famiglia Santapaola di Catania e “Cosa Nostra” palermitana, (...) dai primi anni '70 circa sino alla data della presente richiesta. (...)

[Cattafi] viene accusato di essere un soggetto pienamente «organico» alla famiglia barcellonese. Allo stesso si contesta, proprio in virtù di tale qualificata appartenenza, di essere un associato alla famiglia barcellonese deputato, in particolar modo, ad instaurare e a mantenere nel corso del tempo i legami con gli altri sodalizi mafiosi riconducibili a “Cosa Nostra” siciliana. Fra questi altri sodalizi deve annoverarsi tanto la famiglia Santapaola – Ercolano di Catania, quanto “Cosa Nostra” palermitana».

I Pubblici ministeri di Messina, evidenziando la «militanza trentennale» di Rosario Cattafi in seno alla famiglia barcel­lonese, ne delineano il ruolo, che i giudici di secondo grado (che, confermando la condanna per associazione mafiosa, avevano tuttavia fatto cadere l’aggravante della direzione della cosca) hanno definito «peculiare ed anomalo»: Cattafi rappresenta l'«elemento di coordinamento e collegamento, di “trait d’union”, di vera e propria “cerniera strategica” fra la mafia barcellonese e le altre mafie operanti in Sicilia ed al di fuori di essa, funzione, questa, per sua natura molto meno “visibile all’esterno”. (...)

Appare di elementare evidenza, infatti, come un’attività di questo tipo, consistente nello sviluppo e nel mantenimento di “contatti particolari” con altre mafie, con organismi politico – economici, con apparati istituzionali, sia per sua natura molto più sfuggente, meno visibile all’esterno, dunque assai più difficilmente controllabile e riconoscibile dagli inquirenti, rispetto alle “funzioni tipiche” abitualmente svolte da altri, più “normali” consociati (si pensi ad attività “ovvie e banali”, quali il compimento di attività propedeutiche ad estorsioni, la riscossione del “pizzo”, la commissione di azioni di fuoco)».

Il programma criminoso di un’associazione mafiosa è, difatti, molto ricco e, per prosperare, ha bisogno di contributi tanto «visibili» quanto «invisibili» e l’affiliato, in questo contesto, partecipa in modo più o meno diretto alla vita dell’associazione stessa. Da ultimo, sono intervenute le motivazioni della seconda sentenza di condanna in appello emessa nell’ottobre del 2021 a carico di Rosario Pio Cattafi dalla Corte d’appello di Reggio Calabria, su rinvio della Cassazione, e depositate nel maggio 2022.

Queste delineavano puntualmente la figura del criminale barcellonese e dei suoi collegamenti con i «piani alti» del potere: «Carmelo D’Amico, al vertice (militare) del medesimo sodalizio fino al 2009, data del suo arresto, ed a conoscenza delle dinamiche interne alla medesima associazione, di vasta estensione e con ramificazioni in ogni settore economico/politico/sociale del territorio di competenza, ha affermato, senza mezzi termini, all’udienza del 29.09.21, in cui è stato sentito di persona da questa Corte, che “fino al 2009... se lui (Cattafi) non era intraneo più all’associazione o era un Pinco pallino io l’avrei saputo.. me lo avrebbero messo a conoscenza... l’avrei appreso.... io ho parlato sempre di persona con Giovanni Rao, Ciccio Cambria e con gli altri, il Catiafi è sempre stato organico, un soggetto di spessore... se lui se ne sarebbe uscito, Saro Cattafi, l’avremmo subito ucciso, questo non ci piove” (cfr. verb. Ud. 29.09.21, p. 46).

(...) La Corte Siciliana, nel suo indicato provvedimento, ha, infatti, raffigurato la partecipazione associativa di Cattafi in termini peculiari e distinti dalle condotte dell’ordinario affiliato, ritenendo il primo un associato con modalità atipiche, avente un personale legame fiduciario con Pippo Gullotti, quale capo indiscusso della cosca barcellonese, perlomeno fino alla data del suo arresto, accorso nel febbraio '98.

Ora, a parere di questa Corte, il dato è certamente veritiero ma incompleto, nel senso che, alla luce degli atti assunti, di cui a suo tempo si dirà, nel merito, il contributo di Cattafi è più ampio, ed investe la cosca, in quanto tale, vale a dire che Cattafi non è solo la persona di fiducia del boss Gullotti, ma assume un rilievo ed è riconosciuto dagli affiliati (apicali) del gruppo illecito in oggetto, non agendo solo in rapporto esclusivo con il predetto Gullotti, ma assumendo una condotta adesiva ed in favore del sodalizio, nel suo insieme, i cui capi, non a caso, anche dopo l’arresto di Gullotti, continueranno a intensificarsi con il medesimo Cattafi, segno concreto e sintomatico, dunque, del fatto che quest’ultimo non si rapporta solo con Gullotti, di cui è un fedelissimo, beninteso, “ma va oltre”, reiterando il suo contributo alla cosca, nella sua globalità.

Naturalmente, quanto appena osservato va, poi, congiunto e valutato alla stregua delle caratteristiche personali e di condotta, che descrivono il suo stabile apporto in funzione della cosca, in esame, laddove bisogna pur sempre tenere conto che Cattafi, specie dopo il suo arresto, occorso nell’ottobre '93, sarà un soggetto assolutamente guardingo e prudente, come del resto tutti gli altri affiliati, che sono stati ristretti in carcere per fatti associativi, senza mancare di rilevare che l’odierno imputato è affiliato che opera e si interfaccia con i colletti bianchi, con le Istituzioni (deviate) economiche e sociali, assumendo, pertanto, in seno al sodalizio, compiti riservati e di alto livello, risultando, per ciò solo, assolutamente lontano dall’esercizio di funzioni esecutive e materiali, riservate ad altri soggetti (si pensi a Carmelo D’Amico), con cui, non ha caso, come si vedrà a suo tempo, Cattafi non ha costanti rapporti di frequentazione.

In sostanza, la partecipazione di costui al gruppo illecito, in esame, non è atipica, per i suoi esclusivi e privilegiati rapporti con Gullotti, ma è peculiare solo nel senso che, assumendo compiti e rapporti con le Istituzioni deviate ed i colletti bianchi, ed essendo tenuto, per ciò solo, a particolare prudenza e circospezione, si interfaccia solo con i vertici della cosca (e non solo, dunque, con Gullotti), stando ben attento, specie dopo la sua scarcerazione nel '97, ad interfacciarsi con gli affiliati, facenti parte dell’ala militare ed esecutiva della potente cosca barcel­lonese. Il che è perfettamente in linea con i caratteri strutturali della suddetta associazione mafiosa che, del tutto radicata sul territorio di riferimento, si presenta estesa e ramificata, con tendenziale suddivisione dei ruoli all’interno della medesima, attese le sue consistenti dimensioni, imperando in ogni snodo della vita sociale ed economica ed intrattenendo stabili rapporti con le altre cosche siciliane, aventi altrettanta forza economica e militare, come quella catanese dei Santapaola, con cui la cosca di Barcellona ha profondi legami e cointeressenze associative. (...)

Con un primo rilievo, Cattafi si interfaccia non solo con Gullotti, ma con tutti i (vecchi) vertici associativi della cosca in esame, dall’altra, proprio in forza dei peculiari compiti assunti, il medesimo, anche alla luce della necessaria circospezione da tenere, si guarderà bene dal rapportarsi con la stessa ala apicale del gruppo che, preposta alle azioni esecutive, doveva stare lontana da Cattafi che, difatti, si guarda bene dall’interfac­ciarsi con i capi della medesima, tra i quali, come, ancora si dirà, vi era proprio Carmelo D’Amico. (...)

D’Amico è sempre fermo (...) nel precisare che Cattafi aveva il compito di gestire i rapporti, per conto della cosca, con i cd. “colletti bianchi”, senza essere un colletto bianco, nel senso che Cattafi era, a tutti gli effetti, “un uomo d’onore, un associato”, secondo quanto, peraltro, reiteratamente riferitogli da sodali del calibro di Di Salvo, Gullotti, Pietro Cannata, Ciccino Cambria, Angelo Porcino, Giovanni Rao. (...) Egli [D’Amico, nda] ha sempre fatto dell’ala militare esecutiva del gruppo, laddove Cattafi ha sempre svolto, insieme a personaggi come Ciccino Cambria, ruoli assai più segreti e riservati, come “...una specie di delega ad avere rapporti con la società, con i professionisti, con i colletti bianchi”.

D’altra parte, a conferma del ruolo assunto, D’Amico riferisce che Cattafi era a capo di una potente loggia massonica che, comprendente uomini politici e personaggi delle istituzioni e dei servizi segreti, dimostra il livello del personaggio in esame.

Sennonché, come detto, D’Amico è fermo nel riferire che il predetto interloquiva, per conto del gruppo, con i colletti bianchi, senza essere tale, posto che egli era, a tutti gli effetti, un associato della cosca de qua. A testuale riprova, osserva sempre D’Amico in udienza, vi è il dato, del tutto eloquente a livello associativo, per cui Rosario Cattafi era uno dei pochi sodali che conosceva il luogo in cui Nitto Santapaola trascorreva la sua latitanza».

Da ultimo Carmelo D’Amico, in occasione di una testimonianza in un processo a suo carico, rivelava inquietanti collegamenti tra Rosario Cattafi e la massoneria deviata italiana:

«Ho saputo da Sem Di Salvo che praticamente questo gruppo massonico operante in tutta la Sicilia era guidato dal... sia da Cattafi e sia del Senatore Nania, Vicepresidente del Senato. Era un gruppo che faceva parte... comprendeva tutta la Sicilia e gran parte della Calabria, stiamo parlando di un gruppo di oltre 1.000 persone, centinaia di persone comunque».

 

L'INTERVISTA ALL'ON. STEFANIA ASCARI 

Omicidio Manca: «In questa storia ci sono anche gli apparati deviati dello Stato»

L'INTERVISTA AD ANTONIO INGROIA

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LE PRECEDENTI PUNTATE:

- La morte violenta per proteggere la Trattativa Stato-mafia/1

- La morte violenta per proteggere la Trattativa Stato-mafia/2 

- La morte violenta per proteggere la Trattativa Stato-mafia/3

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Il massacro di Attilio Manca: un omicidio di Stato-mafia

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IL MASSACRO MAFIA-STATO: Attilio Manca è stato ucciso per coprire una latitanza

 

 

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ANTEPRIMA/1. Le parole della signora Manca (madre di Attilio): «Mio figlio non voleva diventare il medico della mafia. Si è rifiutato ed è stato ammazzato.»

 

IL CASO MANCA: vergogna di Stato

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IL CASO MANCA, la seconda parte

IL CASO MANCA - Una storia tra mafia e Stato corrotto.

 

LA PRIMA PARTE (Video) Attilio Manca è Stato ucciso

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Morte di Attilio Manca, arriva l’assoluzione per Monica Mileti

Omicidio Attilio Manca: un pezzo di Trattativa Stato-mafia

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Attilio Manca suicidato per salvare Bernardo Provenzano

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Caso Manca: i pentiti parlano, lo Stato tace. Intervista alla madre Angela

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«Abbiamo bisogno della vera Antimafia, non quella da passerella»

Ci restano le monete

La sagra dell'ipocrisia

 

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30 anni dopo: la benedizione sui candidati dei condannati per mafia

Un Paese al contrario

 

L'INTERVISTA a Salvatore Borsellino

PRIMA PARTE. «Borsellino: «gli assassini di mio fratello sono dentro lo Stato»

SECONDA PARTE. «Chi ha ucciso Paolo Borsellino è chi ha prelevato l’Agenda Rossa»

TERZA PARTE. Borsellino «L'Agenda Rossa è stata nascosta. E' diventata arma di ricatto» 

 

L'INTERVISTA al colonnello dei carabinieri Michele RICCIO

Prima parte: «Dietro alle bombe e alle stragi ci sono sempre gli stessi ambienti»

Seconda parte: Riccio: «Mi ero già attrezzato per prendere Bernardo Provenzano»

Terza parte: «Non hanno voluto arrestare Provenzano»

Quarta parte: Riccio: «L’ordine per ammazzare Ilardo è partito dallo Stato»